Oltrepassare - ANDARE OLTRE E ALTROVE

01 Novembre 2022 Redazione SoloTablet
SoloTablet
Redazione SoloTablet
share

Il libro di Carlo Mazzucchelli e Nausica Manzi Oltrepassare - Intrecci di parole tra etica e tecnologia è pubblicato nella collana Tecnovisions di Delos Digital 

ANDARE OLTRE, ALTROVE, VERSO L’ALTRO, OLTREPASSARE

 

«La misura dell’intelligenza

è data dalla capacità di cambiare

quando è necessario.»

Albert Einstein 

 

«Più riusciamo a comprendere il legame che ci unisce agli altri esseri, più ci identifichiamo con loro, e più ci muoveremo con attenzione. In questo modo diventeremo anche capaci di godere del benessere degli altri e di soffrire quando una disgrazia li colpisce. Noi cerchiamo il meglio per noi stessi, ma attraverso l’espansione del sé ciò che è meglio per noi è anche meglio per gli altri. La distinzione tra ciò che è nostro e ciò che non lo è sopravvive solo nella grammatica, ma non nei sentimenti.»

 Ecosofia, Ecologia Società e Stili di Vita, Arne Naess, p. 223

 

Il corpo dell’Altro 

Siamo esseri umani intelligenti, capaci di razionalità ed empatia, impegnati costantemente in attività “di strutturazione della nostra esperienza individuale e collettiva attraverso identificazione e relazione[1]”, dotati di un corpo con una elevata densità emotiva e affettiva. Non il tecno-corpo maggiorato, palestrato, tatuato e imbellettato, curato in modo ossessivo dei tempi moderni ma il corpo nella sua dimensione fragile umana e vitale. Un corpo che si esprime nelle lotte sociali, nel nuoto disperato in un mare in tempesta al largo di Lampedusa o di Lesbo, nella resistenza al virus, nella sofferenza (oggi sempre banalizzata) da esso causata e nella sopravvivenza a esso strappata, si manifesta attraverso le emozioni che si sperimentano al momento dell’agire e le abilità che nascono dai suoi organi, gambe, orecchie, mani, muscoli del viso, bocche, voce e naso[2] così come dai movimenti delle mani, della testa, del mento o del collo[3]. Questo corpo è ben diverso da quello digitale, oggi tradotto in semplici bit che comunicano a distanza significati e concetti ma non sanno dare accesso diretto ai sensi. 

Con un corpo cinestetico sempre in movimento siamo alla costante ricerca di senso (Chi sono io? Perché sono qui?), impegnati nel dare un significato alla propria esistenza, nel disperato tentativo di andare oltre, verso un Altrove, un’altra vita, che sempre ci attende, alla ricerca di ciò che ci manca e che continuerà a sfuggirci, causando insoddisfazione e l’emergere di sempre nuovi desideri. Sempre senza rinunciare al nostro corpo, sede del nostro Sé e mai separato dalla nostra anima, dalla nostra mente. 

Questa ricerca, perseguibile ponendosi continue domande sul perché ci si trovi al mondo e sul proprio avvenire, ma anche per sfuggire all’angoscia esistenziale che sempre accompagna la vita, è un viaggio incessante senza una meta definitiva. Non ha destinazioni programmate, ci porta a riflettere sulla nostra limitatezza, incompiutezza, mancanza d’essere e “scarto perpetuo”, alla ricerca di senso, che sempre risiede nell’esperienza individuale e soggettiva della separazione, della propria identità relazionale, e nella presenza dell’Altro. Questa continua ricerca di senso, nel tentativo di riempire l’assenza e la mancanza, è sempre frustrata dal senso di inadeguatezza, illusorietà dei risultati ottenuti, dalla percezione che il senso vero della vita (“the meaning of life is 42”) continui a sfuggirci o sia sempre messo in discussione. Tutto questo vale a maggior ragione oggi, dentro l’era tecnologica del tutti connessi ma soli che ci è data in sorte di vivere. Un’era tecnologica che coltiva il superamento dell’uomo e della sua finitezza con la macchina, con i suoi automatismi e le sue certezze computazionali. 

Tutti coinvolti nell’uso della tecnologia e convinti di abitare comode caverne (piattaforme) confortevoli che ci regalano potenti strumenti e soluzioni per affrontare i nostri problemi esistenziali, abbiamo dimenticato la nostra creatività e vitalità, la nostra umanità, il richiamo impellente a non accontentarci e ad andare (interrogarci) più in profondità. Il richiamo è a Oltrepassare il presente per (re)incontrare sé stessi, ad andare oltre le parole, i gesti e la gestualità, i significati, i comportamenti che ci raccontano e descrivono, rivelando chi siamo e chi vorremmo essere, anche quando vorremmo che tutto rimanesse segreto al mondo e noto solo a noi stessi. Un bisogno paradossale se si pensa alla rinuncia di qualsiasi privatezza e alla superficialità con cui ci si mette in mostra online! 

Oltrepassare è un modo desiderante per scegliere la vita, anche quando sembra non avere senso, per andare Oltre e Altrove, alla ricerca di nuove possibilità, per trovare le motivazioni all’agire e dare forma a nuove scelte di vita. Non per muoversi verso altrovi virtuali e digitali, oggi alla portata di tutti, e neppure verso nuove utopie, ma dentro esperienze esistenziali fatte di scelte e di azioni etiche capaci di dare un senso alla vita, anche a quella degli Altri, rivalutando i volti e gli sguardi, accarezzandoli e prendendosene cura. 

Nella consapevolezza che il nostro essere, in continuo divenire, nella costruzione del proprio sé, è bisognoso dell’Altro, dipende dalla vicinanza e dalla presenza, dalla comunicazione con e dal riconoscimento dell’Altro, dall’essere da esso (oltre)passato, dal suo desiderio a noi rivolto che poi è un desiderio di farsi riconoscere, uguale al nostro. Anche nella conflittualità che ne deriva e da cui nasce il malessere determinato dal sapere di esistere per l’Altro perché l’Altro ci fa esistere. Un malessere collegato alla percezione dei rischi e dei pericoli che derivano dalla volontà di dominio e dalla costante ricerca di riconoscimento che caratterizzano questo tipo di rapporto relazionale.  

Il bisogno dell’Altro, il desiderare ciò che manca nascono dal sentimento di solitudine esistenziale, dal senso di incompletezza e dall’instabilità che accompagnano la vita di ognuno, dal bisogno emergente di dialogare, sempre alla ricerca di senso. Quel senso di cui non si è padroni e del quale si sente la mancanza, la cui ricerca trova espressione nel linguaggio, nel dialogo, nell’incontro con l’Altro. L’incontro avviene attraverso lo sguardo, a volte reificante, giudicante, sconvolgente e destabilizzante (come diceva Sartre: “l’inferno sono gli altri”) ma anche rincuorante perché fa sentire meno soli, capiti, compresi, ci identifica, ci fortifica, riempie il nostro vuoto, attiva in noi nuove possibilità e ci realizza, pur nella contrapposizione, nella negatività e nella conflittualità.  

Oltrepassare, andare oltre 

Con più di 136.000 morti in Italia (cinque milioni nel mondo) l’epidemia da Coronavirus ci ha dato il suo significato della parola Oltrepassare, evidenziando quella che da sempre è l‘angoscia vera dell’uomo, la morte (la fine di ogni cosa ma anche la sorella morte, il nulla, il sonno della Tempesta di Shakespeare) dentro dimensioni di senso e esperienziali che si dipanano per tutta la vita nell’orizzonte della morte, che, come esseri umani, ci attende tutti, inesorabile e inevitabile. 

Non è un caso forse che Oltrepassare sia il titolo di un libro di Emanuele Severino (ormai trapassato oltre da due anni) nel quale il filosofo metafisico cerca di dare all’oltrepassare un significato salvifico, ontologico (“ciò che è non può non essere e, in forza di questa necessità, non può [Ndr: oltrepassare] divenir-altro”. Saremmo quindi eterni, non-oltrepassabili? E poco importa se tutto si origini da un cervello umano, per sua natura finito e mortale, o che oggi pochi siano disponibili a scambiare la notte che segue la fine (morte) da coronavirus come un destino, inteso come ontologica condizione di un essere mortale. Nella speranza che anche il Covid-19 non sia, parafrasando il pensiero del grande filosofo bresciano, anch’esso eterno. 

In attesa di scoprire di essere grazie alla tecnologia ‘transumanamente’ eterni e di provare la gioia che ne deriverà, possiamo sperimentare l’eternità delle cose esercitando il nostro pensiero come un oltrepassamento che non sia un semplice andare oltre, nel vuoto ancora inconoscibile di ciò che ci sta davanti, ma un passare attraverso, un superare la soglia o passare attraverso le porte già aperte da altri, un attraversare ponti stesi tra rive già date. Il tutto tenendo conto del nostro presente, seppure sempre in movimento: un Oltrepassare come ricerca e crescita continua del proprio sé e di quello collettivo della comunità (comunanza) di cui ognuno è colonna portante. 

Oltrepassare è il movimento che rende l’esistenza un’eterna sede di meraviglia commista (da commiscere, mescolato insieme) a forza e fragilità. Un’esistenza dominata dalla sensibilità “io sento dunque sono[4]” lontana dalla perfezione computazionale e automatizzata delle macchine che tutti oggi sperimentano nelle loro vite digitali. Una perfezione, quella delle macchine, entrata nella percezione collettiva e che ha fatto dimenticare quanto esse siano banali se comparate con l’essere umano e la sua complessità. E questo perché “L’essere umano non agisce sempre in modo prevedibile, specialmente nella sua capacità di innovare, di creare e, tramite ciò, di apportare dell’inatteso. [...] ogni vita è una navigazione in un oceano di incertezze attraverso qualche isola o arcipelago di certezze dove fare rifornimento[5]”. 

Oltrepassare le parole e i loro significati, il pensare e i suoi concetti, opera un dislocamento, rinvia a un altrove da cui si genera il discorso, è un modo di essere (“il linguaggio è la casa dell’essere[6]”), di rivolgersi attivamente al futuro, con l’intenzione (la volontà attiva) di dargli nuovi significati, una determinatezza e una forma, nella speranza che il nostro pensiero e le nostre azioni possano farci continuare a sperare nella nostra capacità di cambiare il mondo e le sue molteplici realtà. 

Pensare, riflettere, immaginare, elaborare pensiero, parlare e scrivere oltrepassando le parole è un modo per superare il loro significato scontato e la loro apparenza, scendendo in profondità, arrivando a sentire davvero ciò che una singola parola può suscitare come sentimento, come riflessione, come richiamo alla società, come impegno di verità, come monito, come urlo di disperazione.

Oltrepassare è rintracciare un percorso che vada oltre il suo senso immediato, è un modo per dar voce all’altrove presente nella realtà, per raggiungere una radice di senso perduta, per esistere compiutamente, come uomini dotati di capacità creativa e di linguaggio. Oltrepassare è agire per andare alle fondamenta e scuotere una realtà assopita, oltre i giudizi, oltre le paure, oltre le resistenze di ogni tipo. Oltrepassare può servire a recuperare valori e umanità.  Oltrepassare ci libera dalla narrazione statica e ripetitiva che non porta da nessuna parte e ci permette di mettersi in movimento verso un futuro possibile prefigurandone scenari possibili e realizzabili. 

Oltre e Altrove

Tra le parole pronunciate, lette o scritte ci sono sempre dei vuoti da riempire. Sono vuoti che lasciano intravedere nuove possibilità perché le parole non hanno mai una loro definizione ultima. Queste possibilità, unitamente a tutte le parole risuonano nelle parole Oltre e Altrove. In esse risiede la formula per riscoprire la propria esistenza e ricostruire la struttura di pensiero e d’azione di un mondo in crisi. Una crisi che non è solo quella sanitaria della pandemia ma è globale, sistemica, identitaria e collettiva, emergente in forme sempre diverse, anche se ripetitive in una “società liquida”, “ibridata” e complessa.

Quando parliamo, quando siamo in silenzio, quando ci arrabbiamo o rivendichiamo i nostri diritti, quando semplicemente sogniamo un mondo migliore, viviamo nell'oltre, respiriamo un altrove e siamo quindi costituiti da una dimensione ulteriore di cui però non siamo mai pienamente consapevoli.

Gli esseri umani vivono radicati a terra, e alle volte, questa estrema ma pur necessaria radicalità fa dimenticare loro di avere delle "ali": ali nel senso di essere dotati della capacità di andare oltre, si superare la soglia, di oltrepassare, di catturare e iniziare a vivere al ritmo di oltre ed altrove.

Come scoprire ed attuare tutto ciò? Focalizzandoci sul nostro sguardo. Uno sguardo sul mondo che da passivo si faccia attivo, capace di produrre visioni, dare forma a scenari futuri, (e)utopici e visionari.

Quando guardiamo siamo un altrove incarnato: lo sguardo umano ha la capacità di perforare l'invisibile, di far tornare l'essere umano a sé stesso perché è ciò che lo espone, lo fa immergere nell'Altr(o)-ove, nel luogo dove è l'altra persona, unico dove nel quale egli può davvero ritrovarsi e tornare a esistere davvero. Lo sguardo umano è l'orizzonte di quella ulteriorità in cui recuperare il senso di ciò che siamo e di tutto ciò che è. Quando guardiamo ci apriamo all'altr-ove e lo vediamo davanti a noi come distante, estraneo, come qualcosa di lontano ed irraggiungibile, un luogo fisico e psichico, quindi un'altra persona, diversa e incomprensibile, ma dignitosa nella sua esistenza. Quando poi ci accorgiamo di essere guardati da questo altr-ove, da questo luogo distante, oltre noi e al di fuori di noi stessi, allora, solo in quel momento, iniziamo ad incarnare l'oltre e iniziamo a viverne. Solo in una comunità di sguardi intrecciati, interdipendenti, possiamo trovare una speranza di ricostruire e sciogliere ogni nodo.  Solo dalla consapevolezza di questo intreccio può nascere il superamento dell’individualismo attuale dentro il quale l’Io singolare di molte persone rischia di deperire o perire.

La capacità di guardare e di essere guardati ci rende creature in grado di oltrepassare, di vedere, di distinguere un oltre in cui è racchiuso il vero senso e di catturarlo. Così da testimoniarlo e, seguendone i lineamenti, creando una nuova esistenza che comprenda l’andare al di là, a ex-sistere, a porsi cioè fuori rispetto a tutto ciò che si è cristallizzato e omologato con l’obiettivo di essere inattuali, aprirsi ai mutamenti e alle trasformazioni, prefigurare nuovi avvenire. Per tale missione in cui siamo da sempre coinvolti pur se inconsapevolmente, c'è bisogno di tre elementi:

●      Coraggio: lo sguardo che si espone insegna la bellezza e la responsabilità del coraggio di essere sé davanti a un mondo fatto di tanti altrove sconosciuti ma necessari alla nostra stessa azione e vita. Avere coraggio significa prendere in mano la propria fragilità, è farne ogni giorno la forza per riemergere, rinascere in uno sguardo che mi addita l'oltre. L'oltrepassare, in un altrove che mi costituisce, ha bisogno del coraggio tenero di un occhio umano che scruta e enigmaticamente rivela.

●    Pensiero: lo sguardo quando si scontra con l'altrui, quindi con l'altrove e l'oltre, stimola inevitabilmente domande (chi è? perché mi guarda? A cosa starà pensando?). L'oltre è ciò che fa azionare mente e azione, che collega anima e corpo, che illumina. Quando guardiamo e siamo guardati, ci accorgiamo di poter andare oltre perché siamo in grado di pensare davanti a un volto che ci interpella in modo paradossale con il suo silenzio. Il silenzio dell'altr-ove ci aiuta a sentire il rumore del nostro stesso silenzio interno che inizia a riempirsi inevitabilmente di domande.

●    Cura: lo sguardo ci insegna che l'altrove ha bisogno di essere custodito. Per catturare questo oltre dobbiamo renderci disposti a sacrificare il nostro io, a venir meno alle nostre esigenze e richieste, a sospendere le nostre domande, per curare quell'altr-ove che mi scuote. Lo sguardo che mi guarda (paradossalmente anche il volto digitale che si dà oggi sotto forma di smartphone, tablet, pc ecc.), mi riguarda nel profondo, ne sono cioè responsabile, devo “curarlo”, e solo in questo modo, sono in grado di oltrepassare, di catturare l'altrove che esso racchiude, accarezzandolo, acquisisco consapevolezza e incarno l’oltre e ne vivo donandolo. 

Oltrepassare per vivere di oltre e altrove è un'azione complessa, delicata, profondamente umana, sia impresa etica che tecnologica. Occorre solo reimparare a guardare i volti, ma anche a ascoltare le parole, i gesti: essere portatori di ulteriorità significa non arrendersi mai a ciò che si è già detto o al ciò che si è già fatto, significa andare al di là, divenire orizzonte di vita, perché dotati della capacità di guardare e soprattutto di essere guardati, scoprirsi già un essere umano ulteriore dentro sé stessi perché luogo di altri, per altri e grazie ad altri: altri di carne umana ed insieme digitale, legame esistenziale da ripristinare e responsabilità da assumere per incamminarsi verso un futuro meraviglioso perché progettato e vissuto nella prospettiva dell’ “Altrimenti”. L'ulteriorità ci costituisce, siamo sempre altro e altri in una comunità di sguardi di coraggio, di pensiero e di cura.

Vivere al ritmo di oltre e altrove, oltrepassare, è il modo per tornare ad esistere davvero, interamente, dentro la complessità che ci caratterizza, anche nel nostro rapporto con l’Altro.

 

 

NOTE

[1] Descola Philippe, Oltre natura e cultura, Cortina Editore, 2021, Pag 133.

[2] De Sousa Santos Boaventura, La fine dell’impero cognitivo. L’avvento delle epistemologie del sud, Castelvecchi editore, 2021, Pag. 142

[3] “Gesti e voce sono un connubio sincronico in co-evoluzione, costituiscono un sistema ben integrato, non si sostituiscono l’uno all’altro in successione” Silvia Ferrara, Il salto, Edizioni Feltrinelli. 2021, Pag 192

[4] Berardi Bifo

[5] Edgar Morin, Lezioni da un secolo di vita, Mimesis, 2021, Pag.48

[6] Martin Heidegger

 

 cop oltrepassare

comments powered by Disqus

Sei alla ricerca di uno sviluppatore?

Cerca nel nostro database