OLTREPASSARE COME STRUMENTO SOCIALE E POLITICO

01 Novembre 2022 Redazione SoloTablet
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Il libro di Carlo Mazzucchelli e Nausica Manzi Oltrepassare - Intrecci di parole tra etica e tecnologia è pubblicato nella collana Tecnovisions di Delos Digital 

OLTREPASSARE COME STRUMENTO SOCIALE E POLITICO

 

“La vita non è una serie di lampioncini disposti simmetricamente; la vita è un alone luminoso, un involucro semitrasparente che ci racchiude dall'alba della coscienza fino alla fine.”

 Virginia Woolf, Gita al faro

 

È la stessa cosa pensare ed essere”

( Parmenide,Intorno alla natura, frammento 3)

 

“Vivere è navigare in un oceano di incertezza facendo rifornimento in isole di certezze”

- Edgar Morin, Lezioni da un secolo di vita 

 

Sguardi puntati sull’orizzonte 

La società contemporanea è un vasto orizzonte di bellezza straordinaria, di possibilità, di futuri già presenti e in formazione, ma anche di momenti di crisi, di sconforto, di nebbia fitta che ostacola incontri, sguardi e passi. L’intero mondo è un orizzonte che mostra speranza e al contempo genera disperazione. 

La parola “orizzonte[1]” (dal latino horīzon -ontis e dal greco ρζων -οντος)   ispira etimologicamente una visione ariosa di infinità ma significa anche “confine che limita”, “cerchio di confine”. Il termine evoca quindi la centralità dello sguardo umano, circondato da questo confine a forma di cerchio (circolo, κύκλος) che sembra contenerlo e imprigionarlo, abbracciarlo, ma alle volte anche divorarlo. Esso sottintende quindi l’esistenza di occhi che, ponendosi al centro, lo scrutano. L’orizzonte sembra quindi delimitare una società di sguardi, ponendosi come un ambivalente abbraccio che, da un lato protegge quotidianamente e dall’altro ostacola i movimenti. Un abbraccio che allargandosi continuamente conduce alla perdizione: l’orizzonte è l’ambivalente abbraccio che nasce da una società umana che si forma a partire da un intreccio di sguardi. L’orizzonte abbraccia e al contempo soffoca un Noi il cui sguardo bisognoso, nonostante tutto, non smette mai di trovare in lui rifugio. 

L’orizzonte attrae lo sguardo del Noi, infatti esso ha un enorme potere su ognuno di quegli occhi che ospita tra le sue braccia spalancate ma delimitanti: ne culla pensieri, ne influenza stati d’animo, ne alimenta speranze o lacrime. Proprio durante questi momenti, in cui la potenza dell’orizzonte si fa sentire in maniera dirompente nelle esistenze individuali e insieme necessariamente anche "collettive", emerge un particolare, un’eccedenza, una ulteriorità che sempre sfugge allo sguardo di quel Noi che si perde nell’orizzonte. Tale eccedenza si chiama Oltre. L’orizzonte è confine, abbraccio ma soprattutto mediatore dell’oltre, ciò che ci consente di “oltrepassare”, di andare al di là di ciò che vediamo, delle convinzioni personali, dei (pre)giudizi, delle consuete parole e abitudinari modi di dire e di fare, per afferrare qualcosa che rende ogni singolo essere umano nuovo, trasformandolo in luce per lo sguardo di quel Noi che, confuso, guarda all’orizzonte. 

L’Oltre è la parola chiave per riflettere sul nostro essere nel mondo e sul significato di essere umani, per tornare a ripensare la società contemporanea da un punto di vista sociale, relazionale e quindi politico. Oltre è la parola che unisce insieme pensiero e azione, passando attraverso la possibilità di comprendere, interagire, fare esperienza di sé stessi, degli altri e della realtà in modo nuovo. 

Andare Oltre, Oltrepassare diviene quindi uno strumento sociale e politico.  In che senso?

E in quale modalità? 

Voglia e bisogno di comunità 

Ci troviamo in una società che ha perso prima di tutto il senso di essere comunità, di avere una lingua comune (la κοινὴ διάλεκτος dei greci antichi) capace di dare forma a ritualità, narrazioni e mitologie comunitarie. Ha perso anche il significato della parola stessa e delle sensazioni che è capace di evocare. Essere una comunità significa saper fare del proprio sguardo il mezzo per risvegliare la propria luce identitaria e vocazionale grazie all’incontro con gli altri e alla loro presenza. 

La parola comunità deriva, infatti, dal latino cum-munus, il termine munus  significa sia dono che compito...l’essere umano è nato costituito da pluralità[2] e responsabilità.[3] 

Comunità è compito e missione, condivisione di sguardo e capacità di incarnare la modalità di una carezza per esistere e rapportarsi agli altri in qualsiasi ambito. In una comunità[4] tutto riguarda tutti perché tutti si guardano. 

Con la tecnologia che avanza il termine comunità ha finito per essere associato ad ambiti relazionali diversi quali per esempio rete (una rete di relazioni personali interconnesse​​), rete sociale, gruppo (insieme di individui che si considerano un gruppo). A differenza di quanto accade negli spazi siderali della Rete, il termine comunità suggerisce una sua identità nella molteplicità, un ethos (ἦϑος, una casa dove sentirsi accasati), un luogo caldo, accogliente, intimo, confortevole, rilassante, fatto di sguardi vicendevoli che riparano e proteggono. Tutto il contrario delle forme comunitarie digitali, espresse da reti sociali (es)temporanee, gruppi e tribù di persone senza appartenenza, caratterizzate oggi anche dalla violenza del linguaggio, da litigiosità, rancore, freddezza relazionale e impossibilità per i volti (non le facce) di guardarsi. 

Entrato nelle conversazioni di tutti i giorni legate al tema della sicurezza e della libertà nella vita fattuale, il termine comunità ha colonizzato anche la vita digitale.  La sua popolarità e (ab)uso comune ne fa un termine da (re)interpretare e oltrepassare dentro contesti diventati da tempo altamente tecnologici e digitali. 

Dunque, le reti e i gruppi digitali trasformano il senso originario della parola “comunità”: appartenere senza appartenenza, soffocare le diversità per far prevalere un’uguaglianza forzata e dimentica della bellezza delle sfumature dei colori delle identità personali e insostituibili di ciascuno, un condannare l’uso del pensiero per porre sul trono il re dell’immobilismo e dell’indifferenza. A partire dal linguaggio fino a coinvolgere ogni ambito della nostra contemporaneità, occorre dunque far risuonare l’oltre di senso radicale e rivoluzionario contenuto nella parola comunità.  

Ma come si oltrepassa il termine comunità?  

Esercitando semplicemente l’arte dello sguardo: essere sguardi di carne e ossa che ne incrociano altri, anch’essi incarnati, per essere carezze e custodi della propria interiorità, necessariamente legata e costituita da quella dell’intera comunità. 

La comunità si oltrepassa tornando a guardarla: “La communio è quel livello di reciprocità che si raggiunge quando si tocca l’io di una persona senza volerlo analizzare o studiare, ma solo per (ri)conoscerlo e custodirlo”.[5]

Quindi, Oltrepassare è uno strumento sociale e politico che conduce a apprendere l’arte dello sguardo: 

●      È uno strumento sociale perché sposta “il punto di vista” dall’egoistico e narcisistico trono dell’io al punto di vista degli altri, considerati elementi che costituiscono l’interiorità personale. Il cambiare “orizzonte” permette così ad ognuno di esistere “altrimenti”: vivere in modo rinnovato grazie ad altre anime, grazie allo scoprirsi responsabili di quelle e da esse strettamente dipendenti e connessi. Oltrepassare è bussola filosofica per nuove navigazioni e esplorazioni comunitarie, è portatore di giustizia e creatore di carezze di esistenza. Oltrepassare come strumento sociale insegna a ogni sguardo umano a divenire un essere altrimenti prima di tutto dentro di sé, nelle rughe del proprio sguardo che è sempre rivolto all’"altro da sé", unica via per tornare a guardare dentro di sé, nella propria anima. 

●      È uno strumento politico “militante” di svelamento perché apre gli occhi di ogni individuo sulla società che ha attorno e sulle sue molteplici dimensioni. Una realtà diviene comunità quando, oltrepassandola, ognuno la riscopre come parte fondante della sua stessa complessa identità: un dono e al contempo una responsabilità. Da tale sentimento nasce quindi la politica, intesa come arte del governare uno stato, ma soprattutto come azione sociale e collettiva che affrontando il nodo delle relazioni umane, si fa azione politica.  Lungi dall’essere connaturata all’essere umano (l’uomo politico di Aristotele) la politica ha bisogno di essere sempre costruita, di progettualità, di sguardi diacronici, di superamenti. Nella postmodernità che viviamo la politica è, nella sua valenza esistenziale, bisognosa di uno sguardo che sappia anche e soprattutto tramutarsi in agire, alla ricerca di nuove categorie cognitive e filosofiche per mappare la realtà nel suo essere reale e virtuale, fattuale e digitale. Oltrepassare come strumento politico quindi insegna a ogni sguardo umano che, nel suo essere altrimenti, può farsi promotore di un’azione legata al coraggio di pensare e di cambiare mentalità per aprirsi a nuovi orizzonti di esistenza. 

Soltanto, forse, durante questi lunghi giorni in cui un virus ha cambiato e cambia la nostra vita senza sosta, possiamo renderci conto in maniera maggiore di come comunità e politica si intreccino continuamente in ogni ambito esistenziale: diventa essenziale quindi salvarsi dal naufragio della confusione e disperazione, elementi che vorrebbero divenire guida e padroni della nostra esistenza. L’unico strumento di salvezza è l’apprendere la pratica esistenziale dell’Oltrepassare. 

Parlare di Oltrepassare come strumento sociale e politico quindi significa essere capaci di andare al di là della mentalità corrente contemporanea, lasciandosi guidare dall’arte dello sguardo. Significa essere e agire altrimenti, ovvero essere lungimiranti: assumere e praticare la lungimiranza come arte del guardare lontano, Oltre per l’appunto. 

Dunque, oltrepassare è strumento politico e sociale perché fa acquisire un nuovo modo di essere al mondo, lungimirante e rivoluzionariamente tenero: pensiero e agire si uniscono nella potenza e nell’arte del guardare. Lo sguardo umano è la chiave per Oltrepassare la nostra stessa realtà, trovare un modo nuovo per esistere ed inventare la società in tutti i suoi aspetti, amministrativi, giuridici, economici, sociali ecc. 

Oltrepassare come strumento politico e sociale serve innanzitutto per tornare ad utilizzare il linguaggio in maniera responsabile, consapevole e matura: le parole hanno bisogno di essere saggiate e soprattutto ascoltate nella loro profondità. Di esse deve emergere in particolare ciò che rivelano nella dimensione del “sottovoce” quando vengono pronunciate. È nel sottofondo che si trova l’ulteriorità capacità di reinventare mentalità e intera umanità. Ciò che avviene nella dimensione del sottovoce è la cosa più importante, non occorre urlare per farsi davvero comprendere. 

Ripensare tecnologia, Stato e democrazia 

Oltrepassare come strumento sociale e politico serve anche per ripensare la tecnologia, la dimensione che avvolge, soffoca ma che, inaspettatamente, come uno specchio, consente di guardare all’umanità attuale, ai suoi limiti e alle sue potenzialità. La capacità di Oltrepassare e di incarnare tale modalità nella vita quotidiana vuole infatti condurre il pensiero e l’azione umana a un uso critico e maggiormente consapevole della tecnologia: Oltrepassare come strumento sociale e politico fa della potenza tecnologica il nodo principale di quel legame tra interiorità ed esteriorità di cui si fa portatore. 

Come si può comprendere e quindi incarnare questo legame di cui, a livello sociale e politico, Oltrepassare come nuovo modo di esistere, si rende necessario strumento? A partire da una parola chiave, quella di Stato, un termine che riesce a descrivere in maniera completa l’Oltrepassare, inteso anche come strumento sociale e politico. 

La parola Stato può avere due significati: 

●      quello esteriore, inteso come entità di cui si è parte fondamentale e che necessita di essere amministrata, protetta, difesa e curata. In tale significato lo Stato è da intendersi come scenario politico, insieme di ordinamenti e leggi che danno possibilità di essere all’intera comunità umana. In questo senso lo stato è la realtà complessa che abbiamo intorno e che ci (co)stringe a relazioni, regole, istituzioni e responsabilità. Lo stato esteriore è il mondo delle “regole” che necessitano di tornare alla carne umana. 

●      quello interiore, inteso come modo di rispecchiare il mondo esteriore dentro la propria interiorità, il proprio Sè, la propria anima. In questo senso, si parla di stato d’animo, dimensione profonda, oltre e ulteriore, che è radice relazionale, personale e collettiva, insieme comunità e individualità. Lo stato interiore è quella carne che bisognerebbe riconsegnare e ricordare allo stato esteriore. Stato, quindi, parola che connette interiore e esteriore, è il nome del legame che descrive al meglio l’Oltrepassare come strumento sociale e politico, capace di determinare campi di conoscenza e di sapere che vanno oltre i bisogni personali contribuendo a definire spazi pubblici condivisi, siano essi reali o virtuali, dai quali possano svilupparsi relazioni feconde tra persone e con il mondo. 

Oltrepassare quindi diviene una modalità d’esistenza da apprendere anche per riscoprirsi cittadini, uomini e donne impegnate, responsabili di sé stessi e per questo anche degli altri. Cittadini che non accettano l’asservimento passivo a forme di governo sempre più prive di rappresentanza così come al potere degli algoritmi che esercitano in forma coercitiva il loro controllo sulla vita digitale online. Cittadini alla ricerca resistente di vie di fuga, non dal tecnologico e dal digitale, ma dalla loro configurazione attuale finalizzata alla sorveglianza e al controllo, al consumismo e alla mercificazione, all'omologazione sociale e al conformismo narrativo e linguistico. 

La tecnica dell’Oltrepassare obbliga oggi a riflettere e a parlare anche del concetto di democrazia, dei suoi significati e delle interpretazioni correnti, della sua fase di evoluzione virtuale attuale (è possibile la democrazia da schermo? quanto è reale e non frutto di manipolazione mediale e pubblicitaria?), per molti diventata mefitica e dall’aria irrespirabile che rende il tempo presente un periodo non democratico[6]. Democrazia, governo del popolo, potere derivante dalla libera espressione di pensiero, di scelta e di azione sono solo alcuni dei significati della parola. Ma pur avendo questo fondamentale significato, tale termine appare oggi vuoto nel suo pronunciarsi e svuotato nel suo darsi nelle pratiche. Per questo necessita di essere ripensato, incarnato e quindi oltrepassato. 

Oltrepassare come strumento sociale e politico serve quindi anche a ripensare l’attuale uso della parola democrazia, sempre più semplice suono, talmente vuoto da poter essere riempito da significati a piacere. Serve a ripartire da quell’orizzonte nel quale lo sguardo del Noi si sente perso, abbracciato e gettato nell’oltre, e per riconsegnare a quel “popolo” il suo reale potere. 

Quindi, se proviamo a utilizzare la pratica dell’Oltrepassare, cos’è davvero la democrazia? Essa diviene quel Noi di cui si parlava all’inizio, nodo di comunità e interiorità (c’è un bisogno di democrazia dentro di noi?), politica nel senso di scoperta di una chiamata responsabile, dono e missione, spirito comunitario, stato d’animo interiore e stato esteriore. 

Democrazia, pur nella sua incompletezza, parzialità, mascheramento e transitorietà, diviene quindi sinonimo di umanità: Oltrepassare la democrazia significa divenire artefici di oltre. Significa riscoprirsi esseri costituiti da un orizzonte ulteriore, non assimilabile all’esperienza di un presente vissuto di corsa, privo di coraggio, memoria e orizzonti futuri. Un orizzonte altro, dentro i propri stati d’animo che, se ripensati, diventano lo specchio di carne ed ossa di quello stato esteriore di regole e istituzioni sempre da rimodellare, ricostruire, ripensare. 

La democrazia è il primo passo di un’azione rinnovata di un’umanità oltrepassante, ovvero capace di scoprirsi e divenire mediatore dell’oltre. L’oltre è dimensione che diviene strumento sociale e politico e quindi nuova forma di realtà da incarnare per cambiare punto di vista, per rinnovare il proprio sguardo e fare di quell’orizzonte che ci circonda, e che a volte fa paura, una pista per decollare verso nuovi obiettivi, piccoli aeroporti da Oltrepassare continuamente, verso l’unica meta, attraente perché sempre inesauribile, di una nuova umanità.


[1]  “Sempre caro mi fu quest’ermo colle, e questa siepe, che da tanta parte dell’ultimo orizzonte il guardo esclude. Ma sedendo e mirando, interminati spazi di là da quella, e sovrumani silenzi, e profondissima quiete …” . Giacomo Leopardi 

[2] “Sii plurale come l'universo!”. direbbe Fernando Pessoa

[3] Nausica Manzi, Custode di esistenza, Gruppo Albatros, 2020, p. 53.

[4] "Il senso di comunità è un sentimento di appartenenza che i membri hanno, la sensazione che i membri contino l'uno per l'altro e per il gruppo, e una fede condivisa che i bisogni dei membri saranno soddisfatti attraverso il loro impegno a stare insieme" McMillan, 1976

[5] Nausica Manzi, Custode di esistenza, Gruppo Albatros, 2020, p.55.

[6] Lo sostiene Vittorino Andreoli nel suo libro Il rumore delle parole.

 

 cop oltrepassare

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