OLTREPASSARE LE PAROLE

01 Novembre 2022 Redazione SoloTablet
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OLTREPASSARE LE PAROLE

Il libro di Carlo Mazzucchelli e Nausica Manzi Oltrepassare - Intrecci di parole tra etica e tecnologia è pubblicato nella collana Tecnovisions di Delos Digital 

OLTREPASSARE LE PAROLE 

Ogni parola ha conseguenze. Ogni silenzio anche.

-       Jean Paul Sartre 

Le parole sono come cuscini: quando sono disposte nel modo giusto alleviano il dolore

- James Hillman

Facendo proprio il pensiero, già citato, del filosofo Ernst Bloch[1] (“pensare significa oltrepassare”) è possibile porsi in modo critico nei confronti della realtà e del presente. Pensare oltrepassando non significa andare oltre lasciandosi alle spalle il presente ma esplorare, mettersi in viaggio verso l’Altro (inteso anche come persona) e verso Altrovi davanti a noi. Futuri da costruire, scenari da immaginare, oggi tutti mediati da esperienze vissute dentro un carpe diem reinterpretato edonisticamente attraverso una esperienza asmatica del tempo tecnologico attuale, che ci costringe ad accettare anche ciò che non tolleriamo. 

Il pensiero debole dominante e in crisi di respiro cerca di evitare i percorsi difficili sposando un presentismo declinato in tempo reale (onlife[2] direbbe un filosofo pop del momento), nel quale tutto viene percepito in evoluzione e trasformazione, senza tregua, sempre teso a far dimenticare il passato e ad ipotecare il futuro. Inconsapevoli della costrizione e dell’inganno, incerti su ciò che si pensa e si dice, si finisce per non esporsi e non riflettere (farlo non è mai automatico) contribuendo alla celebrazione del presente sincronico, anche nel dominio del pensiero, in tutte le sue raffigurazioni, dimensioni e forme. Invece di pensare diacronicamente si celebra la linearità e sequenzialità nel tempo di eventi, frammenti, vissuti particolari, il tutto nutrito da tanto autocompiacimento, insorgente e diffuso nichilismo[3], tanta vanità o forse semplice cecità. Il presente continuo, sempre in movimento, sembra subire accelerazioni costanti che si lasciano indietro, ridimensionandolo, tutto ciò che non sta accadendo ora, dentro il big now (Google Now) dell’era digitale. Ma il presente, anche quello analogico, ci è sempre troppo vicino per poterlo cogliere nella sua valenza effettiva. Spingendoci in modo miope a accelerare ci obbliga alla concentrazione, rubandoci l'attenzione che ci servirebbe per focalizzarci sulla fragilità umana dell’essere, sulla vita, sulla morte, sulla caducità delle cose, sul nostro essere semplicemente e responsabilmente umani. 

L’era moderna, all’interno di un processo accelerato di globalizzazione (commerciale, economica ma anche cognitiva, culturale e linguistica) e in modo faustiano e prometeico, ha indotto la convinzione di avere superato tutti i limiti, non solo quelli fisici dei confini tra gli stati, ma anche quelli culturali che hanno permesso a civiltà diverse di in(s)contrarsi, interagire e fondersi. Come se sfidare i limiti, passare il segno, fosse un imperativo del nostro tempo accelerato. Come se fosse un male porsi dei limiti, ribellarsi a modelli di sviluppo che spingono verso un progresso planetario continuo, sempre pensato antropologicamente, che “[...] rispetta una sola regola: ignorare ogni confine naturale, geopolitico, etico, antropologico e simbolico [...][4]”. 

L’intera condizione umana continua a essere insediata, forse anche assediata, dentro dei limiti. I limiti non sono spariti, anzi si sono ripresentati in forme diverse, spesso legati a mentalità, culture, religioni e comportamenti che hanno contribuito a erigere nuove barriere con l’obiettivo di proteggersi e difendersi. Il limite sempre presente ha introdotto un bisogno di “ulteriorità”, ovvero di ricercare e trovare una via d’uscita, una speranza che si insinui in tutte le manifestazioni, situazioni ed eventi, una chiave che possa aprire la porta stringente di quei limiti (confini) e far giungere Oltre, Altrove, superando così ostacoli di mentalità e comportamenti per tornare a una radice di senso dimenticata, proprio lì alla soglia della porta-limite. Una porta facile da superare se la speranza è relegata in quelli che Ernst Bloch descriveva come “paradisi a prezzo scontato” come il supermercato e i molteplici desideri alimentati dalla pubblicità. Più difficile da soddisfare se è pensata in termini di utopia e come strumento per guardare alle cose nella loro evoluzione e nei loro continui cambiamenti. La speranza ha bisogno di limiti così come l’uomo ha bisogno di aria. Un gas formato dal miscuglio di sostanze diverse allo stato gassoso che può essere un ostacolo per chi corre ma che rende possibile il volo. 

Nell’illusione di avere superato ogni limite, a livello globale, la realtà si è andata omologando sull’apparenza più che sull’esperienza, rendendo difficile l’arte del saper distinguere, impedendo la lentezza (per un approfondimento diverso sul tema leggete il libro di Jared Diamond Il mondo fino a ieri. Che cosa possiamo imparare dalle società tradizionali) necessaria alla riflessione e alla elaborazione di pensiero critico. L’una e l’altra necessarie per esercitare la (tecno)consapevolezza[5] e il senso di responsabilità, per contrastare la passività e la pigrizia cognitiva, il conformismo di massa (oggi si esprime anche in forma di populismo), il senso comune dominante e la chiacchiera (chiacchiericcio), tipica delle piattaforme tecnologiche, portatrice di tanto data trash, di false verità, di menzogne camuffate da sincerità e di innumerevoli e inverificabili verità alternative. E per continuare a sperare! 

L’epoca che viviamo è impregnata di individualismo di massa, egocentrismo individuale, corporativismo, dogmatismo, relativismo (non esistono fatti ma solo interpretazioni[6]), di tanto onanismo digitale e soprattutto diffuso scetticismo. Ne derivano conseguenze imprevedibili, determinate dall’impossibilità di giungere a forme di conoscenza assoluta e dall’illusione di avere conquistato spazi incondizionati di libertà individuale: si vive una vita apparente e si perde continuamente la propria radice di senso. 

Una prima conseguenza è stata la rinuncia a ricercare la verità che poi altro non è che un viaggio di scoperta, un “continuo oltrepassare sé stessa, ‘nel fare il punto’, a ogni tappa per poi proseguire[7]. Una seconda conseguenza è stato l’abbandono dell’humus etico fatto di valori (coraggio, solidarietà, responsabilità, ecc.) coerenti e tenaci, il tipo di valori oggi necessari per affrontare scenari futuri pieni di rischi. Futuri contrassegnati da sempre nuove crisi emergenti, per le quali, come ci ha insegnato la pandemia da Coronavirus, servono anticorpi resistenti adeguati, oltre che azioni moralmente responsabili e eticamente coerenti. E le prossime crisi già in formazione acuiranno malessere e solitudine, frustrazioni e aspirazioni individuali negate con conseguenze psichiche, oltre che sociali, esplosive. 

Dentro questa realtà presente e futura il linguaggio, inteso più come medium nel quale siamo tutti immersi e meno come semplice strumento del comunicare, i concetti e le parole assumono un ruolo e un’importanza fondamentali nel definire e raccontare la realtà della realtà. Le parole in particolare hanno acquisito un peso rilevante nel determinare la nostra percezione e adesione alla realtà, la nostra conoscenza, comprensione e consapevolezza. 

Dalle parole è necessario partire, per tornare a individuarne, decifrarne e oltrepassarne il significato corrente, l’apparenza e il senso nascosto, per scendere in profondità nei loro significati polisemici, sondarne la capacità a suscitare sentimenti e riflessioni o semplicemente a segnalarne abusi e mistificazioni. È necessario quindi farsi tramite ed eco di quel fondamentale concetto aristotelico secondo il quale la realtà, l’essere si “dice in molti modi[8]: ogni elemento del reale ha in sé una dimensione ulteriore che lo costituisce, nulla è esclusivamente ciò che appare, esiste la molteplicità ed è da essa che prendono vita identità e singolarità, senso di comunità e quindi relazioni personali, politica e linguaggio stesso. 

Il concetto si dice anche con molte parole. È sufficiente pensare alle parole che nelle varie lingue parlate servono come segni per esprimere uno stesso concetto (solidarietà, solidarity, Solidarität, solidaridad, solidarité, солидарность, αλληλεγγύη, ecc.). Nessuna parola è uguale a un’altra (much, many) ma il concetto trova la sua via per emergere attraverso di essa. Anche i segni possono essere qualsiasi cosa (graffiti, numeri, icone, emoji, parole, ecc.), nel loro essere semplici referenti, evocativi di una relazione, ma anche grandi bugie, vere e proprie sabbie mobili dalle quali non è mai facile sganciarsi.  In ogni parola si addensano concetti, trovano spazio le numerose analogie da cui essi originano, emergono orizzonti di senso frutto di un lavorio continuo della nostra mente per incasellare (categorizzare, classificare) ciò che è nuovo o ignoto ma sempre a partire da ciò che è già conosciuto e sperimentato. Ogni pensiero, espresso in parole, nasce da esperienze individuali e sociali, dalla pratica condivisa di mondi linguistici e patrie culturali. È un pensiero incarnato e astratto al tempo stesso. Incarnato perché nasce da esigenze/esperienze concrete del vivere umano dentro esperienze fatte attraverso un corpo fisico. Astratto perché “per sopravvivere, gli umani fanno affidamento sul confronto tra ciò che sta loro accadendo ora, con ciò che è loro accaduto in passato, sfruttando la somiglianza delle esperienze passate con le nuove situazioni, lasciandosene guidare sempre e ovunque[9]”. 

Di questo legame tra pensiero incarnato, concreto e pensiero astratto noi siamo per lo più inconsapevoli. Così come lo siamo in numerose altre interazioni con il mondo intorno a noi. Un mondo percepito come imprevedibile e caotico al quale il nostro cervello cerca di dare un ordine, un significato[10], un senso. E lo fa evocando inconsciamente delle parole. Ogni parola, quando emersa ed espressa, non è soltanto una sequenza di suoni (anche gli usignoli comunicano con centinaia di suoni diversi) o un insieme di lettere ma è anche portatrice di una molteplicità di significati che la collegano ai concetti da cui è derivata, alle situazioni dalle quali è agita. Questi concetti non sono mai chiari, hanno sempre in sé qualche forma di vaghezza, indeterminatezza e flessibilità. Dentro questa vaghezza e flessibilità nasce l’opportunità dell’Oltrepassare, come esperienza di focalizzazione, di messa a fuoco che, andando sempre più in profondità, permetta di dare forma ai concetti, sostituire quelli che nel frattempo sono diventati obsoleti, crearne di nuovi, aggregarli e perfezionarli. E si può Oltrepassare sia “affinando costantemente il repertorio concettuale [personale] sia acquisendo un numero crescente di parole[11]”, sia dando a queste parole significati anche etici, contestualizzati dentro la realtà tecnologica che a tutti è oggi data la possibilità di vivere. 

Dentro la narrazione statica e ripetitiva e la brutalità del linguaggio odierni che divide e allontana, andare Oltre, Oltrepassare, è diventata un’urgenza reale, un modo di lanciare un monito, rivolgendo un richiamo alla società tutta, anche sotto forma di urlo di disperazione. L’urgenza è suggerita dalla necessità di coltivare l’ascolto, il dialogo e la comprensione reciproca, pratiche rese vane o complicate dalle forme della comunicazione digitale prevalente. Oltrepassare è un modo creativo per andare alle fondamenta e scuotere una realtà assopita, oltre i (pre)giudizi, oltre le paure, oltre le resistenze di ogni tipo, prefigurando futuri possibili da costruire. 

Come semplici significanti, le parole vengono dopo la loro elaborazione in forma di pensieri, hanno una loro forma e struttura, stanno dentro spazi linguistici e culturali, assumono ruoli e pesi politici, sociali, economici, relazionali, amicali, affettivi, ecc., ma soprattutto hanno un loro valore intrinseco, generativo, grammaticale e semantico (meaning, signification, sentido, bedeutung, ecc.). Un valore che in molti casi sembra andato perduto e andrebbe al contrario recuperato, riscoperto, indagato e condiviso. Superando i problemi della comunicazione che sono per loro natura semantici (come riconoscere uno stesso significato per uno stesso significante), di tecnica comunicativa (canali e mezzi usati, contesti materiali, ecc.) e formali. 

Sulle parole gli autori hanno costruito questo libro che nasce dal progetto OLTREPASSARE (accessibile sul portale www.solotablet.it).  Il progetto ha visto la partecipazione di numerose persone alle quali è stata offerta l’opportunità di contribuire con i loro testi anche al libro. I contributi pervenuti, in forma di riflessioni su singole parole, danno forma alla sezione seguente del nostro libro.  Le persone che hanno partecipato hanno scelto di prendersi cura delle parole focalizzando la loro attenzione su singole parole, proponendo una loro personale interpretazione e lettura. L’approccio adottato da tutti è quello di decomporre, decostruire e sezionare le parole alla ricerca delle loro radici, dei loro orizzonti, dei loro segni e significati, dei concetti da cui traggono origine e dalle analogie che partoriscono, dai sinonimi, le diversità e i confini che le caratterizzano, con l’obiettivo di proteggere le parole, in particolare quelle (migliori) che sembrano in via di estinzione. Ne esce un panorama di significati da recuperare, da abbandonare, da ricostruire e inventare, andando anche contro il politicamente corretto e il conformismo interpretativo del nostro tempo, superando sterilizzazione della lingua, censure e autocensure. 

Quello che ne è generato è un viaggio, una danza, dentro parole buone, giuste, libere, utopiche, etiche, trattate con affetto, gentilezza e cura. In opposizione alle troppe parole che oggi sono usate superficialmente, anche in forma di memi, semplici etichette convenzionali incapaci di rispecchiare gli orizzonti di senso da cui sono originate. Parole spesso usate in modo violento a supporto di un linguaggio cattivo e malevolo, brutale nelle sue espressioni razziste, misogine, omofobe e populiste. 

Il viaggio qui intrapreso è stato fatto in lentezza, forse con un libro in mano o in compagnia e dialogando, condividendo pensieri prolifici perché elaborati lentamente. Ha visto protagonista una comunità di persone pensanti, generose, interessate alla collaborazione e alla reciprocità, a relazionarsi con gli altri, ad ascoltare e a farsi ascoltare. Il viaggio si è così trasformato in dialogo vero, condotto anche attraverso i potenti strumenti oggi a tutti disponibili, una conversazione continua, fatta di racconti, riflessioni filosofiche dotte, poesie, condivisioni di esperienze di vita, sogni e molto altro. 

Dentro questo raccontare e conversare: 

●      Nausica ci parla di CAREZZA, una parola che richiama alla profondità dell’esistenza. La carezza che da semplice gesto si fa veglia che consola, speranza di rinascita e futuro, un vegliare delicato sulle ferite personali e altrui, modalità d’esistenza capace di generare tenerezza ma anche brivido che scuote il corpo e l‘anima.

●      Massimo ci ricorda l’etimologia della parola CANTO che descrive l’angolo dell’occhio dove le palpebre s’incontrano, ma anche il verbo incantare (cogliere qualcosa per portarlo a sé) e che ci ricorda quanto lo sguardo, come la voce (il canto delle sirene), possano affascinare.

●      Francesco riflette sulla realtà digitale dominata dal surplus informativo per suggerire di (re)interpretare la parola COMUNICARE a partire dal binomio oggetto-relazione, come una pratica pragmatica e comportamentale di condivisione (con gli altri ma anche con l’ambiente), dal valore di scambio, di messa in comune, di auto-riconoscimento del Sé, di auto-identificazione e auto-consapevolezza.

●      Anna propone un excursus filosofico sul CORPO inteso come struttura fisica dell’essere umano dall’esistenza ambigua (il corpo che si ha e/o il corpo che si è), un corpo che pone in evidenza vulnerabilità e finitudine degli esseri umani ma suggerisce anche una riflessione ampia e critica su quanto sta succedendo nell’era della digitalizzazione della realtà e dell’ibridazione tecnologica, della singolarità delle macchine celebrata da alcuni (Kurzweil e non solo) e delle intelligenze artificiali.

●      Luca e Maria Giovanna hanno oltrepassato la parola CURA. Luca propone una dotta dissertazione tra pensiero greco, riduzionismo e Bio-Tecno-Medicina a partire dalla cura come un “esistenziale”, una conditio sine qua non dell’esistenza nel mondo con gli altri (Mit-Dasein) di un essere umano composto da anima e corpo, nella sua dimensione biologica, sociale ed esistenziale nel mondo con gli altri. Maria Giovanna riflette sulla cura intesa come relazione nell’accezione di mezzo di guarigione (l’amore ha una forte valenza terapeutica) e di protezione, di cura di sé, utile per cercare la serenità interiore culminante in momenti di felicità sia nel senso di felix sia di fecundus.

●      Marta parla di DOMANI raccontando la sua esperienza personale dei momenti di futuro della sua vita: dalla visita dal dentista da bambina all’appuntamento magico del Natale, dalle domande su cosa fare da grande alla sensazione di non voler crescere mai, dalla percezione adolescenziale ottimista del futuro a quella dubbiosa, impaurita e pessimistica dell’età adulta. Un racconto con una sua morale: vivere ogni momento (cogli l’attimo!) del presente al massimo, fare bene quello che si sta facendo, con impegno e cura, essere attenti a chi è con noi, prestare ascolto a chi ci sta parlando. Un modo per rimanere fortemente attaccati alla realtà. E quando il futuro arriverà sarà solo un altro presente da vivere fino in fondo.

●      Silvia riflette sulla parola EMPATIA (sentire dentro, comprensione dell’animo altrui) come la capacità altruistica di percepire quell’essenza che gli occhi non sono in grado di distinguere.

●      Nausica oltrepassa INCERTEZZA, parola dalla radice etica, in grado di mettere in discussione la nostra anima e l’intera società. Oggi l’incertezza la fa da padrona, nasce dalla complessità del forse come luogo dentro di noi che ci avvolge nel presente. La sua complessità regala la certezza di esistere, offre la possibilità di ripensarsi, di eliminare, di creare, rinascere e ripartire, sono sinonimi di apertura, di possibilità di sperare e di esistere altrimenti.

●      Carlo si sofferma sulla parola FRAGILITA’ per evidenziare di ogni materia e di ogni animale, compreso quello umano, il lato concavo, la parte più nascosta, il punto debole da proteggere.

●      Di GENTILEZZA parla Anna Maria Palma come parola da sviluppare, coltivare e praticare per la nostra crescita, come una pratica che nasce da un moto interiore affettuoso, da un senso di cura, di interesse, accompagnata da un morbido sorriso.

●      Umberto, riportandoci alla cruda realtà del lockdown e della pandemia, si è cimentato sulla LENTEZZA come qualità intrinseca dell’Oltrepassare perché il superare un certo limite, l’andare oltre, deve essere lento, come lo scavalcare di un crinale o la conquista di una vetta (“Festìna lente[12]). Lentezza è contemplazione, ritualità, solennità, calma, scioltezza, flessibilità, tensione che si allenta. La lentezza è lenitiva (dal latino lenire), è progettazione a lungo termine, è goccia capace di scavare la roccia e una stalattite che impiega anni per formarsi, è considerazione sistemica del cambiamento minimo ma continuo. Lentezza è la soluzione Zen per l’homo technologicus moderno, digitale e urbanizzato.

●      Claudia, passando da Aristotele a Kant, all’Antropocene[13] alla rivoluzione digitale, ci porta oltre il LIMITE interrogandosi/ci sulla sua esistenza nelle sue molteplici sfumature: dimensione sicura e protettiva e/o impedimento per la piena realizzazione delle potenzialità umane. L’invito è a riflettere sul limite, proprio quando la tecnologia e il progresso sembrano promettere il superamento di ogni barriera, e a recuperare il significato del limite nella sua accezione eminentemente positiva. Un limite orizzonte di senso, alla base di un’etica del rispetto e della cura, capace di dare un senso alle vite individuali e collettive così come al nostro essere nel mondo come identità portatrici d valori.

●      Maria Luisa, nel tempo dell’usa e getta dell’epoca consumistica attuale, con MANUTENZIONE (manutenere, tenere con la mano, gli altri ma anche noi stessi, costruire ponti) ci guida dentro una parola matrioska dagli innumerevoli significati: reggere, sorreggere, fermare o restare in equilibrio (responsabilità, desideri e bisogni, reciprocità e partecipazione condivisa), tenere, nel senso di conservare, custodire, avere a cuore, avere con sé, avere cura.

●      Michele ci ricorda che noi siamo il MONDO e il mondo è in tutti noi, che l’OLTRE è un oceano immenso e sconosciuto situato in un pianeta alieno, sperduto tra le stelle che popolano un remoto angolo dell’universo.

●      Giulia ci propone una dotta e interessantissima riflessione sulla parola ORGASMO (essere pieno di ardore), una parola che richiama entusiasmo fatto carne, abbandono del sé, esperienza profana che si fa sacra e forse la più oscena di quelle spirituali. Orgasmo è assalto al tuo confine e insieme incursione in nuovi lidi abbaglianti, è esperienza filosofica, è vissuto poetico, connette corpo e mente, è evento paradossale che ti trascina fuori di te come una danza sciamanica e un rapimento estatico.

●      Con la parola PENSIERO Maurizio ricordandoci la sua etimologia dal latino pensare, pesare con cura, ci aiuta a comprendere che nel pensiero è insita la cura, il prendersi il tempo necessario per svolgere il nostro compito senza fallire, per essere-per-gli-altri senza pre-occuparci ma occupandocene. Il pensiero ferma l’azione, il pensiero blocca, il pensiero fa pensare. Il pen­siero ha una grande forza su di noi, sulla realtà: ci immobilizza, “ci toglie da”, ci isola, taglia i rapporti, le chiacchiere, allontana la decisione. Il pensiero non è calcolo; non è progettare ma contraddirsi, scoprire che dentro di noi siamo in due o più, e che ognuno va per conto suo, per strade che a volte non si toccano. Non c’è pensiero se non c’è dialogo, scambio molesto tra il mio volere e un altro volere che si mostra ancora mio, ma in modo diverso. Pensare è vita, la vita della mente, di questa cosa che non sappiamo cosa sia e dove sia.

●      Giuseppe riflette sulla parola RESPONSABILITA’ nel suo duplice significato, quello descritto dai vocabolari e quello vissuto dalle persone che implica una relazione e un rendere conto, una relazione dell’altro “su di noi”.

●      Partendo dallo SCARTO come caratteristica dell’epoca consumistica attuale Carlo invita a Oltrepassare la parola nel suo significato esistenziale, collegandolo all’era tecnologica e agli effetti che sta producendo sulle esistenze di tutti, per cogliere lo scarto che rimane tra ciò che eravamo e ciò che siamo diventati, tra ciò che vogliamo essere e non siamo, tra ciò che ci raccontiamo e ciò che la realtà racconta in modo pragmatico a tutti noi, tra le verità che sposiamo e sosteniamo (la terra è piatta, il Covid-19 non esiste) e la ricerca di una verità, tra le nostre molteplici identità e personalità e quella uniforme, omologata e condivisa dei nostri profili digitali, tra ciò che sentiamo essere importante e ciò che fingiamo essere tale nelle nostre molteplici attività online.

●      Marta con la parola SCAVALCARE ci invita a superare gli ostacoli passandoci sopra per guardare oltre, verso mondi sconosciuti e bellissimi, ma anche a scavalcare la noia e i pregiudizi, le abitudini e la banalità.

●      Con la parola SGUARDO racconta quanto esso possa fare la differenza perché lo sguardo è tutto e permette di guardare la realtà con occhi diversi che fanno vedere anche a ritroso, lo sguardo d’amore vede più lontano, lo sguardo che sa meravigliarci ci salva la vita.

●      Rosanna ha declinato la parola SEMPLICITA’ per rivalutarla dal suo essere spesso associata a ciò che è facile, elementare, banale, ingenuo, sprovveduto, e proporla, citando Saramago, come una strategia di uscita e di riconfigurazione della realtà, come atteggiamento mentale, come modo di porsi verso le cose, come orizzonte esistenziale a lungo termine e attenzione all’altro.

●      Con una poesia Silvia paragona il SOFFIO a una carezza che si agita tra l’erba, tra i rami, tra i capelli, un alito di vento che scuote e assopisce, che solleva la speranza e smarrisce la meta abbracciando i sogni indifferente alla corsa ostile dell’uomo.

●      Anna Maria ci richiama alla Tolleranza come qualità, un valore nelle relazioni.

●      Claudia ci invita a ripensare la VULNERABILITA’ come parola correlata alla paura e alla ricerca di rassicurazione dentro contesti sociali nei quali si vuole essere riconosciuti, che poi è un modo per essere visti ed essere accettati. Non a caso vulnerabilità deriva dal latino vulnus-ferita a denotare una fragilità di fronte ad agenti esterni. Una fragilità da usare abitando il dubbio, lo spaesamento e la paura per elaborare pensiero critico e accumulare conoscenza. L’uno e l’altra utili a comprendere quanto la nostra forza derivi dalla capacità di lasciarsi andare alle paure e accettare la nostra perentoria vulnerabilità.

 

[1] Ernst Bloch è stato uno scrittore e filosofo tedesco marxista, nonché teorico del "principio speranza" che ebbe ricadute sulla "Teologia della speranza" del protestante Jürgen Moltmann.

[2] Luciano Floridi, autore di Infosfera

[3] “Il deserto cresce: guai a chi è divenuto deserto”, Poesie postume autunno 1884, Nietzche

[4] Serge Latouche, Limite, Bollati Boringhieri, 2012

[5] Neologismo coniato da Carlo Mazzucchelli e che dà il titolo a uno dei suoi libri pubblicati da Delos Digital nella collana Technovisions: Tecnoconsapevolezza e libertà di scelta. Alla ricerca di senso nell’era tecnologica e digitale

[6] Pensiero di Nietzsche

[7] Da una intervista a Remo Bodei

[8] Per approfondire: Aristotele, Metafisica, libro V.

[9] Douglas Hofstadter, Emmanuel Sander, Superfici ed essenze. L’analogia come cuore pulsante del pensiero, Edizioni Codice, Pag. 29

[10] Il termine significato ha due significati: referenza e senso. Il senso non è necessariamente nella testa di qualcuno ma è ciò che caratterizza un concetto sotteso a una parola. Un significante che i singoli parlanti possono conoscere in misura variabile e sempre determinata da eventi, situazioni e contesti che fanno da sfondo a ogni relazione (dialogo) umana. “Nella misura in cui le persone hanno in testa un qualche concetto corrispondente al senso di una parola, è possibile dire che sanno che cosa quella parola significa” /Steven Pinker)

[11] Ibid. Pag. 89

[12] Festìna lente è una locuzione latina attribuita all'Imperatore Augusto dallo storico latino Svetonio. In realtà, nel testo di Svetonio, viene riportata una citazione di Augusto in greco antico: σπεῦδε βραδέως, spéude bradéos, della quale "festina lente" è la traduzione latina. Wikipedia

[13] L'Antropocene è una proposta epoca geologica, nella quale l'essere umano con le sue attività è riuscito con modifiche territoriali, strutturali e climatiche ad incidere su processi geologici. Wikipedia

 

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