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La relazione virtuale segue quella reale

La relazione virtuale segue quella reale

26 Settembre 2021 Redazione SoloTablet
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La relazione mediata da un display attenua inevitabilmente tutti i toni. A volte permette addirittura di bypassarli, come può avvenire con l’assunzione di una identità fittizia (profili digitali dalla vita propria e autonoma). Niente di male in assoluto se l’apprendimento precedente è forte e chiaro e precede la crescita nella vita non tecnologica; se così non è ci troviamo a compiere esperienze senza il supporto di una attrezzatura del Sé adeguata; le esperienze senza supporto, inevitabilmente claudicanti, influiranno a loro volta sullo sviluppo del Sé. Un circolo vizioso.

 Le nuove tecnologie e relativi approcci stanno ibridando il mondo fisico, quello digitale e biologico in modo tale da trasformare completamente l’esperienza umana. Quanto questa trasformazione sia positiva dipenderà da come verranno percepiti e affrontati i rischi e le opportunità che da essa deriveranno.”- Klaus Schwab

 

[...] affacciamoci  più in dettaglio nel mondo delle piattaforme applicative di social networking che hanno rivoluzionato il modo di interagire, di relazionarsi e di comunicare. Una rivoluzione caratterizzata da nuovi strumenti, linguaggi, stili di vita e comportamenti che hanno definito una nuova modalità di interagire, in uso pressoché universale tra i giovani nativi digitali (in questo e-book spesso citati come Millennial e Tecnorapidi). È un fronte in rapido divenire, vissuto molto diversamente dalle generazioni, anche quelle più vicine come la Generazione Z.

Tutte le piattaforme e media sociali oggi in uso sono tra loro simili in funzionalità e destinazioni d’uso ma l’uso che ne viene fatto definisce le diversità generazionali e le motivazioni, non sempre dettate da bisogni espliciti, che ne determinano l’uso, ad esempio da parte delle generazioni più giovani. Un breve glossario condiviso in Rete da una ragazza quindicenne illustra molto bene come il mondo digitale delle piattaforme sociali viene  visto e su quali di esse dovrebbe essere posta la nostra attenzione, anche nell’adozione delle buone pratiche da noi proposte in questo e-book: 

  • Facebook è roba da vecchi (laddove tra i cosiddetti vecchi rientra anche il fratello maggiore 22enne)
  • Instagram lo usiamo frequentemente; comodo per la facilità di accesso alle immagini
  • Whatsapp è il più usato quotidianamente per comunicare
  • Telegram lo usano i ragazzi più grandi
  • Twitter è anche divertente, ma non per comunicare con gli amici. Si usa per essere ragguagliati delle ultime novità su cantanti o vip vari, con i quali magari tentare di interagire
  • Youtube è spesso usato per guardare video, ma quelli prodotti da ragazzi della mia età sono imbarazzanti (Gemma)

Media sociali e piattaforme di social networking 

Tutti o quasi sono registrati a Facebook, molti usano Instagram, Twitter o WhatsApp, ma quanti sanno realmente distinguere questi strumenti tra di loro? Sembrano simili ma sono diversi, per funzionalità e destinazione d’uso. Tutti sono categorizzabili come Social Media, strumenti o canali per una comunicazione comunitaria (tribale, di gruppo, sociale, ecc.) fondata sull’interazione, la condivisione di contenuti e la collaborazione online. 

I Media Sociali sono applicazioni Web e Mobile specializzate con destinazioni d’uso diverse: forum, microblogging, crowdsourcing, social networking, social curation, wiki, video, e molto altro. Come applicazioni delimitano l’ambito di operatività dell’utente in senso relazionale e sociale ma anche informazionale e di conoscenza. Facebook ad esempio è esperibile grazie a Internet ma non è Internet, in realtà è un mondo chiuso e delimitato dal suo essere un acquario nel quale offre la possibilità a più di due miliardi di persone di interagire, fare rete e collaborare tra di loro. 

Tra i media sociali principali ci sono:

  • ·  Facebook: il più popolare e popolato, il più frequentato e usato. Ogni utente dispone di un profilo individuale digitale con il quale può intraprendere attività sociali (caricare foto, video e immagini), inviare messaggi, coltivare reti di contatti e relazioni e molto altro).
    • ·  Twitter: servizio di microblogging per lo scambio di brevi messaggi denominati cinguettii
    • ·  Google+ o Gloogle Plus: è la piattaforma di social networking di Google
    • ·  Wikipedia: una piattaforma per la creazione e alimentazione di una enciclopedia online
    • ·  Linkedin: un network di tipo professionale, pensato in primo luogo per i cacciatori di teste ma alimentato da milioni di professionisti in cerca di nuove opportunità lavorative e migliori carriere professionali
    • ·  Reddit: una piattaforma Web di notizie, una specie di forum nel quale le notizie sono curate socialmente e promosse dagli utenti
      • · Pinterest: una piattaforma di social curation per la condivisione di immagini
      • · WhatsApp: applicazione e piattaforma per la messaggistica personale e di gruppo
      • · Instagram: social network visuale e potente strumento di storytelling e narrazione personale

Il quadro complessivo dei Media Sociali è rappresentato da migliaia di applicazioni, tutte più o meno note e tutte con un loro pubblico fidelizzato. Ci sono media sociali per ogni ambito di attività sociale (la classificazione è opera di Brian Solis e reperibile online in forma di mappa grafica): eventi (Eventbrite), musica (Pandora, Shazam, Rhapsody), video TED, Vimeo, YouTube, Hulu), contenuti (Scribd, Slideshare), livecasting (Livestream, Airtime), immagini e fotografie(Flicjkr, Picasa), social bookmarking (Evernote, Delicious), influenza (Kred, Klout), quantified self (Jawbone, Fitbit,), social networking (Bebo, Tagged), blog e microblogging (Typepad, WordPress, Blogger), crowd wisdom (BuzzFeed), Q&A (Answer, Qoora), Commenti (DISQUS, Livefyre), social commerce (Milo, b:), social marketplace (Kickstarter, Etsy), scial streams (Echo, Pheed), location (Sonar, Intro, Banjo), enterprise (Socialcast, Yammr), Wiki (Wikia, Wikispace), forum (Linqia), business (Viadeo, Xing), service networking (Elance, Desk), ratings e recensioni (Yelp, Amazon.com), social curation (Paper.li, Feedy, Pulse) e molte altre ancora. 

I media sociali sono diventati parte integrante della vita individuale, personale, lavorativa e professionale di un numero crescente di persone e stanno determinando cambiamento profondi negli stili di vita, nei comportamenti e nel modo di relazionarsi tra persone. Le attività online producono miliardi di dati che alimentano i Big Data dei proprietari delle piattaforme, permettono l’elaborazione di informazioni e conoscenze utili per scopi marketing e commerciali e di percepire tendenze e fenomeni emergenti (customer/user sentiment). 

La funzione dell’Immaginare 

Il titolo di questo paragrafo-regola è chiaro ma errato. Quale è l’errore? Chi non lo individua subito troverà la spiegazione prima della conclusione di questo capitolo. 

Dopo il dilemma posto al lettore, proponiamo alcune riflessioni su una Funzione. Capiremo più avanti come sia implicata anche nell’utilizzo dei Social. 

Secondo la visione funzionale il bambino è sin dalla sua nascita una persona completa, attiva, capace di relazioni differenziate con persone e ambienti. Il Sé del bambino è costituito da Funzioni ben definite e integrate, senza scale gerarchiche e della medesima importanza e tutte impegnate nel contribuire in modo paritetico alla sua organizzazione. Una di queste funzioni è l’Immaginare. 

Anche a due mesi il bambino immagina: forme, movimenti, colori, elementi della sua esperienza di vita, ancora senza nome e cognome, caratterizzati dalla loro capacità attrattiva (il volto della mamma in prima lista), e al contempo e soprattutto da sensazioni corporee (enterocettive e dall'esterno). Non vi sono barriere, tutto è molto fluido. Possiamo pensare che accadesse anche prima dei due mesi, e presumibilmente già nell’utero della mamma, dove il bambino, è appurato, sogna. Anche noi adulti immaginiamo, come sottolineato precedentemente: oltre a episodi e oggetti, spesso anche sensazioni evanescenti quanto forti, come odori, sapori, emozioni che ci prendono lo stomaco. 

Dai cinque mesi le cose del mondo acquisiscono una maggiore fisicità e il bambino inizia a protendersi verso gli oggetti e le persone. Dirige le braccia nella loro direzione, vi si avvicina, anche se ancora non riesce ad afferrarli. Un’esperienza emozionante per il genitore quando lui stesso è l'oggetto di questo movimento direzionato, accompagnato dallo sguardo del bambino che brilla, dal suo sorriso e dall'eccitazione che fa vibrare tutto il piccolo corpo! Quando il bambino, di lì la poco, riuscirà ad afferrarlo potrà immaginare la stessa esperienza attivamente realizzata (come prima poteva immaginare l'essere passivamente preso in braccio), pregustandola in anticipo. Non avrebbe potuto farlo prima. 

Afferrare oggetti e persone (e poterlo immaginare) è una svolta importante, un passo significativo del Sé, nel percorso che porta a sentirsi in grado di conseguire un risultato per effetto della propria azione. Reiterato tante volte e in modi sempre più complessi diventa un componente della sicurezza di sé: “so di essere in grado di farlo, l'ho fatto più volte e in maniere diverse, posso prevedere come andrà”. L'immaginare consente così di viaggiare tra le esperienze del prima, già avvenute, e le esperienze del dopo, che possono prefigurare l’ulteriore futuro, sulla base delle capacità maturate e dei dati depositati sino a quel momento nella memoria (che è anche emozionale e sensomotoria[1] come meglio vedremo nel paragrafo successivo).

L’Immaginare è quindi una Funzione in divenire (come tutti gli altri processi del Sé in sviluppo). 

Continuità e Limiti nello sviluppo del Sé 

Ciò ci porta ad una seconda riflessione su un altro elemento che caratterizza lo sviluppo che emerge leggendolo in ottica PNEI: la Continuità. Anche di essa capiremo  le implicazioni relative all’uso dei Social. 

Non è una semplice propedeuticità a caratterizzare il percorso evolutivo umano, ma qualcosa di più. La propedeuticità è un concetto lineare, può essere rappresentato con una linea che procede passo dopo passo, per passaggi successivi: via via si aggiungerebbero nuove capacità a seguito della maturazione dei sistemi biologici. È una visione che offre il fianco ad uno sviluppo per salti, per capitoli separati, mentre le forti conoscenze scientifiche attuali, nel proporci la visione di un bambino “competente”, integrato in tutti suoi processi sin dall’inizio, ed in comunicazione molto aperta con l’ambiente esterno sin dalla vita perinatale, sottolinea la continuità dello sviluppo. 

Al concetto lineare di propedeuticità si sostituisce quello di complessificazione[2], che è circolare, come si addice ad una visione sistemica. Crescendo il bambino riesce a maneggiare, in modo sempre più raffinato e complesso, capacità che già possedeva precedentemente, per quanto in forma più rudimentale. Ogni tappa evolutiva riutilizza quanto la precedeva riciclandola in una nuova ristrutturazione (riorganizzazione) dell’intero sistema; come accaduto, a livello filogenetico, con il cervello rettiliano (detto anche primitivo), inglobato in quello mammifero (intermedio, limbico) e poi neo-mammaliano (superiore). Per rappresentare la complessificazione immaginiamo, invece della linea che si allunga, un cerchio (meglio una sfera) che si allarga in tutte le dimensioni, per ampliamenti circolari in continuità. 

Ad esempio la capacità di afferrare, che si manifesta poco dopo i 5 mesi, era presente anche prima di riuscire a farlo intenzionalmente. Il neonato stringe la mano propria e quella (il dito) dell'adulto in modo detto riflesso, senza tante mediazioni cognitive (la banca dati è una biblioteca ancora iniziale) in modo molto diretto, non volontario, istintuale, che coinvolge prevalentemente circuiti nervosi. Nella fattispecie si chiama grasping (riflesso di prensione palmare) è ed è presente in tutti i neonati (i pediatri ne osservano la presenza come indice di normale funzionalità neurologica) sino a circa i 12 mesi quando scompare. Tra i 5 mesi e l’anno di vita l'automaticità del riflesso si integra in circuiti più ampi che permettono l'intenzionalità: il cerchio si è allargato, permettendo esperienze sempre più complesse e ricche; sempre per continuità. 

Tutto lo sviluppo del Sé procede per continuità con le esperienze precedenti, dalla vita perinatale in poi. È in questo legame tra prima e dopo che si colloca la grande responsabilità (ed il potere) che la conoscenza scientifica assegna all'adulto, alle istituzioni sociosanitarie, alla politica: le esperienze della prima infanzia gettano le basi dello sviluppo successivo. È quello il tempo e il luogo (relazionale, etico, sociale e sanitario) privilegiato di costruzione della salute e di prevenzione. Abbiamo già fatto l'esempio del Contatto, Esperienza di base del Sé nel bambino e Funzionamento di fondo essenziale nella vita di relazione. La nostra amica Pan Troglodytes, se privata di contatto con la madre (come le sfortunate scimmie oggetto degli esperimenti dei coniugi Harlow), crescerà disadattata nel mondo delle scimmie ed essa stessa incapace di una relazione di accudimento soddisfacente con i suoi piccoli. 

Sentirsi capace di conseguire un risultato per effetto delle proprie azioni è cosa parimenti complessa, che ci travasa in continuità dagli esiti dei primi afferrare (in cui rientrano anche i pianti che “afferrano” l'attenzione del genitore e ne richiamano l'intervento) ai piani machiavellici di conquista di un partner da adulto. È anch'esso un Funzionamento di Fondo, denominato “Forza”, che risponde a bisogni essenziali ed a capacità da attivare necessariamente per il benessere nella vita. Entrare in modalità Forza implica una coerenza dei processi del Sé diversa che nel Contatto: il tono muscolare aumenterà, così come la concentrazione cognitiva e il controllo, una maggior simpaticotonia[3] e attivazione dell’asse HPA (asse ipotalamo-ipofisi-surrene), uno stato d’animo più sicuro, una postura decisa e autorevole. Disporre in modo pieno di questa possibile taratura psicobiologica ci porta a ritroso, ancora in continuità, col tirocinio di essa nei primi anni di vita. Anche la Forza[4] è utilizzata frequentemente nelle interazioni con le persone. 

I Funzionamenti di Fondo possono essere anch’essi immaginati, anzi devono poterlo essere: frequentemente ci immaginiamo a compiere azioni in svariati contesti, ripensiamo a ciò che abbiamo fatto la sera precedente, magari a ciò che non siamo riusciti a fare ma avremmo voluto, e ci immaginiamo una prestazione differente, programmando una prossima occasione, un dopo in cui la nostra intenzione sarà in modo più efficace espressa in movimenti, tono di voce, postura ed emozione. Non è una operazione meramente mentale, ma un ricalibrarsi sul Funzionamento (Contatto, Forza o altro). L'immaginare ha una base molto concreta e una grammatica sensomotoria collegata ai bagagli acquisiti: già il pensare può suscitare un batticuore. Il prima, presente nell’ora fa sentire in grado di affrontare il dopo

In questo concreto sistema che lega storia, senso di Sé e prefigurazioni di azioni interattive, si colloca la consapevolezza del Limite, del quale abbiamo già precedentemente discusso all’interno del Contenimento. Fantastichiamo anche cose impossibili nella realtà, come volare (esperienza vividamente sensomotoria di molti sogni), ma possiamo farlo solamente attingendo alla stessa memoria incarnata, implicita ed esplicita di avvenimenti e vissuti (sulla Memoria dedicheremo un po’ più di spazio nel paragrafo successivo) che ci pone dei limiti. Nell'immaginario è possibile trasgredirli, ma la loro presenza garantisce di non confondere ciò che è impossibile (non volerò mai su una scopa come Harry Potter), futuribile (potrei inventare una scopa volante a turbina)[5] o possibile (imparerò ad andare in deltaplano, o praticare il bungee jumping). Il limite, integrato nella memoria corporea dalla filiera di esperienze alle quali attingo per immaginare, impedirà di confondermi e di gettarmi dal ponte senza l'elastico del jumping (solo se la confusione tra realtà fosse invece elevata, dall'immaginare salterei nel delirio). 

Analogamente di fronte a un videogioco digitale le capacità incarnate si allargano immaginativamente su orizzonti virtuali e saranno realmente utilizzate nelle esperienze individuali tra le icone e i personaggi dei mondi fantastici online. I  tasti saranno clikkati, e i vari comandi mossi con le stesse intenzioni, emozioni e neuromediatori[6] che avrei (e ho più volte precedentemente) messo in atto nella realtà concreta (in modo magari meno truculento della maggior parte dei videogiochi). Una partecipazione integrata con il vantaggio di non morire nel caso di essere (accidenti!) malauguratamente ucciso. 

Anche qui il Limite è fondamentalmente psicocorporeo prima che norma: sapendo cosa significa correre (fatica e sudore, eccitazione o paura, velocità raggiungibile) posso distinguere la realizzazione virtuale di una corsa immaginaria a 100 km orari da ciò che potrei fare nelle strade sotto casa. Il limite incarnato mi da le coordinate per distinguere gli ambiti di realtà. Grazie al prima, da attraversare pienamente per vivere in modo non confusivo (incerto) il dopo

Invertire il dopo con il prima non avrebbe senso, come non avrebbero senso, per un bambino che ancora non cammina, un paio di pattini, o non ha senso un cellulare, se non come fonte di luci, suoni e colori (e radiazioni elettromagnetiche ...), o un costume due pezzi per una bambina di 5 anni. Alle spalle di queste scelte vi sono motivazioni esterne ai bisogni del bambino. 

La regola che per muoversi nelle realtà possibili (incluse quelle virtuali digitali) ed ancor più nelle relazioni sia necessario sapersi già muovere, utilizzando la grammatica sensomotoria precedentemente appresa[7], è scritta anche nel cervello; e con questo approdiamo (finalmente!) alle piattaforme tecnologiche dei Social Network. 

Le piattaforme di social networking 

La scoperta dei neuroni specchio è un esempio di propedeuticità sistemica che getta una luce sull’empatia e la comprensione dell’altro. Ci dice che l’osservazione di movimenti, specie se emotivamente espressivi, nell’altra persona accende in chi osserva i medesimi circuiti motori neurali nel cervello, come se fosse lui stesso ad effettuare il movimento. Ma ci dice anche che ciò è possibile solo su un “noto” preesistente: i neuroni motori di chi osserva si accendono solo se ciò che riflettono è già interiorizzato e corrisponde a schemi neurali precedenti. Non si accende ciò che non c’è. Anche qui c’è un prima (legato alle esperienze concrete registrate nelle banche dati psicobiologiche) e un dopo.


Neuroni specchio 

La scoperta dei neuroni specchio, rilevati per la prima volta verso la prima metà degli anni novanta da Giacomo Rizzolati e colleghi presso il dipartimento di neuroscienze dell'Università di Parma, è stata una delle più rilevanti per tutte le neuroscienze contemporanee. I neuroni specchio costituiscono una classe di neuroni sensoriali e motori al contempo, ma anche attivatori di comportamenti complessi.  Individuati per la prima volta in scimmie da laboratorio (Macaca nemestrina) sono poi stati rilevati negli uccelli e negli esseri umani. La caratteristica di questi neuroni è di scaricare (attivarsi) sia quando è direttamente compiuta un'azione sia quando la stessa azione è osservata in un'altra persona.

La loro caratteristica è di fornire una rappresentazione immediata e pre-riflessiva di quello che si sta osservando accadere, una specie di risonanza motoria interna, automatica (una “simulazione incarnata” per Gallese, 2014), che evidenzia l'acquisizione di una conoscenza corporea profonda di quanto sta succedendo intorno al soggetto che osserva, e che viene da lui associata all'esperienza fatta quando egli stesso ha compiuto e compie la medesima azione. 

La loro scoperta ha dato nuovo valore al sistema motorio, per troppo tempo relegato da una visione semplificata in una funzione puramente meccanica ed esecutiva fatta di percezione-cognizione e movimento. Il sistema motorio nel cervello umano si presenta come un "mosaico di aree frontali e parietali strettamente connesse con le aree visive, uditive, tattili e dotate di proprietà funzionali molto più complesse" (G.Rizzolati, C. Sinigaglia, 2005). La scoperta è nata dall'osservare che questi neuroni si attivano quando il soggetto si limita a osservare il comportamenteo di un'altra persona. 

Nell’uomo i neuroni specchio sono stati rilevati, attraverso tecniche come la risonanza magnetica funzionale, la stimolazione magnetica transcranica e l’elettroencefalografia, nelle aree motorie e pre-motorie (aree parietali inferiori e corteccia prefrontale) ma anche nell’area di Broca, nell’insula, e nella corteccia parietale inferiore. Si è scoperto che sono associati anche all'espressione osservata nell'altro di emozioni e stati d’animo (disgusto, angoscia, terrore, ecc.) così come al linguaggio (ad esempio quando una persona ascolta un racconto che descrive delle azioni). Il rispecchiamento collegherebbe così le aree motorie con i circuiti emozionali contribuendo alla creazione di una piattaforma empatica nella quale ci si riconosce, come umani, negli altri e in ciò che stanno facendo. Il successo della teoria dei neuroni specchio sta così nell'offrire una comprensione di molti fenomeni legati all'intersoggettività: dall'identificazione, all'empatia, al contagio emozionale. 

Attualmente sono in corso numerosi esperimenti sia per confermare e consolidare le scoperte fin qui fatte, sia per falsificarne la validità. Chi volesse approfondire l’argomento può fare riferimento alla amplissima bibliografia (paper scientifici ma anche molti libri divulgativi) oggi esistente ma soprattutto iniziare con la lettura illuminante del libro del neuro-biologo Giacomo Rizzolati e del filosofo Corrado Sinigaglia “So quel che fai. Il cervello che agisce e i neuroni specchio”, 2005. 

Così per lo meno sono sempre andate le relazioni da 200.000 anni. Fino all'avvento delle tecnologie. Oggi con le piattaforme social è invece possibile vivere esperienze relazionali di realtà virtuali digitalmente mediate[8] sia prima che durante, oltre che dopo.


Non che allacciare relazioni virtuali non potesse accadere in epoca pre-tecnologica: fino agli anni '70-'80 esistevano gli “amici di penna”, generalmente ragazzi di pari età, spesso abitanti in altre nazioni, con cui si intrattenevano corrispondenze epistolari. Si contavano sulle dita di una mano, uno solo, a volte qualcuno in più. La relazione poteva andare avanti anche per anni, quasi sempre senza mai incontrarsi. Anche quelle erano relazioni virtuali, pure importanti in età evolutiva, ma occupavano al massimo una manciata di ore mensili. La differenza con le relazioni virtuali tecnologiche è elevata: come accessibilità (posso entrare in relazione in qualunque momento e luogo), numero di relazioni (dalle poche unità alle decine o alle centinaia), quantità di tempo dedicato (da ore mensili a ore giornaliere), Funzioni del Sé implicate (a sostegno della rapidità e immediatezza invece che della lentezza), multimedialità (non solo testo scritto, ma immagini e video in tempo reale), privacy (una lettera poteva essere fatta leggere a qualche amico, o al limite spiata da pochi, una foto su Instagram può essere preda immediata di una platea indefinita di fruitori e per sempre). 

La frequentazione dei social è così diffusa da rendere possibile che molte relazioni sorgano, si sviluppino e concludano sempre in modo virtuale. Anche gli scambi con le persone che compongono la rete di contatti personali sono mediati in modo massiccio dalle tecnologie utilizzate: ritrovarsi nella piazza virtuale di Facebook, Google Plus o Instagram è importante tanto quanto (e a volte di più) ritrovarsi in quella reale (attuale) del quartiere. Non se ne può fare a meno. 

In quanto a modalità di interagire tra persone i social hanno implicazioni  maggiori del far scoppiare un palloncino o  uccidere uno zombie. Richiedono la padronanza di capacità più raffinate, precedentemente sviluppate e in costante divenire. Quando devo incontrare una persona in strada posso anticipare l'incontro immaginandone il volto, l'espressione, la reazione alla mia presenza ed alle mie azioni, ma anche il proprio modo di porsi (sicurezze da mostrare e goffaggini da evitare). L’immaginare si sviluppa parallelamente alla complessificazione delle capacità e sempre in continuità con lo stato precedente. Sugli esiti attesi dell'incontro (in funzione delle motivazioni) regolerò i registri della mia interazione predisponendomi a utilizzare un tono più dolce o aggressivo, uno sguardo accattivante o minaccioso, un battito del cuore più accelerato. Già nel prefigurarsi l’esperienza, l’organismo di registrerà sulla “modalità” (Funzionamento di fondo) adeguata. Le reazioni dell'altro costituiranno poi un feedback continuo al quale riadattare il mio modo di pormi. Qui i neuroni a specchio saranno in piena attività. Un processo di adattamento complesso che nel vissuto personale significherà batticuori, tentativi e fallimenti, frustrazioni e aggiustamenti, scoperta di sfumature nuove che arricchiranno il bagaglio psicobiologico e diverranno apprendimenti ulteriori. 

La relazione mediata da un display attenua inevitabilmente tutti i toni.  A volte permette addirittura di bypassarli, come può avvenire con l’assunzione di una identità fittizia (profili digitali dalla vita propria e autonoma). Niente di male in assoluto se l’apprendimento precedente è forte e chiaro e precede la crescita nella vita non tecnologica; se così non è ci troviamo a compiere esperienze senza il supporto di una attrezzatura del Sé adeguata; le esperienze senza supporto, inevitabilmente claudicanti, influiranno a loro volta sullo sviluppo del Sé. Un circolo vizioso. 

Il rischio è in funzione di almeno tre fattori che costituiscono, tanto per cambiare, anch'esse una unità. Sono prospettive diverse ma collegate con cui leggere lo stesso fenomeno e che approfondiremo nel successivo paragrafo: 

  • l'età, ovvero la maturazione e consistenza del Sé
  • la quantità di tempo dedicato
  • la quantità, il contenuto e la qualità del tempo dedicato ad altro 

Dai fattori di rischio agli effetti specifici 

La realtà virtuale, (vedi finestra qui sotto) non è solo quella digitalmente accessibile tramite le piattaforme social, ne è meno reale della realtà non virtuale in quanto determina esperienze realissime nei loro effetti[9]. Le due realtà non sono separate e separabili ma assieme mescolate. Navigare in rete implica l'utilizzo di Funzioni senso-motorie concrete (come premere tasti e strusciare lo schermo, focalizzare l’attenzione) mentre la vicinanza è virtuale. D’altro canto preparare una cena per gli amici implica una scelta tra possibilità, tutte virtuali, di cibi, ricette e allestimenti della tavola, mentre l’arrabattarsi ai fornelli e l’acquolina in bocca sono attività molto concrete.


Virtuale, reale, attuale e digitale 

Virtuale e digitale sono due termini diventati popolari, usati da tutti ma non da tutti compresi nei loro significati. Termini che tutti sembrano comprendere senza problemi ma i cui significati cambiano a seconda dei contesti nei quali sono usati, denotando  livelli diversi di astrazione e categorie concettuali tra loro differenti. Virtuale e digitale sono due concetti che slittano uno nell’altro, si auto-contengono permettendo la coesistenza di punti di vista diversi e il continuo adattamento alle realtà in essi contenute. Raccontano l’evoluzione del linguaggio umano in corso così come quella concettuale e cognitiva, passata e recente. Comprendere in modo adeguato questi termini-concetti è il primo passo per poter conoscere le molteplici ambiguità del linguaggio e delle parole (anche dei verbi…) con cui descriviamo il mondo esterno e noi stessi, soprattutto se queste descrizioni sono usate per sottolineare la lontananza o la vicinanza dei due concetti con quello di ‘Realtà’. 

I due concetti sono venuti via via fondendosi, assimilandosi, nel tentativo di raccontare (raccontarsi) e dare un senso alle novità di cui sono stati portatori, ma sempre a partire da ciò che li ha preceduti e da esperienze reali vissute. Se identifichiamo i due concetti in uno, quello espresso dal termine Virtuale, è importante superare la superficialità con la quale lo si usa per descrivere molte esperienze tecnologiche attuali (occhiali alla Oculus Rift, Head Mounted Display (HDM), Google Glass, ecc.) e accettare che siamo da sempre immersi nella virtualità (anche la voce introdotta nel cinema muto fu un’espressione di virtualità), semplicemente perché il virtuale non è un mondo alieno, alternativo a quello reale ma l’espressione di una realtà in potenza, in continua trasformazione. Virtuale (dal latino virtualis, virtus, vir, vis – forza, potenza, uomo, ciò che esiste solo in potenza) non è sinonimo di falso, illusorio, effimero o immaginario ma “semplice espressione dei molti modi possibili di vivere la realtà intesa come attualità” (Maria Bettettini). Il virtuale non è opponibile al reale ma da esso dipende, è una sua possibilità e non riguarda solo la sua componente digitale che si esprime nel cyberspazio e nella vita sui social network. Come scriveva Pierre Levy nel lontano 1997, a essere investititi dal fenomeno della virtualizzazione “[…] non c’è solo l’ambito dell’informazione e della comunicazione ma anche il corpo, il sistema economico, i parametri collettivi della sensibilità e l’esercizio dell’intelligenza”. E ancora “lungi dall’opporsi al reale, il virtuale rappresenta una diversa modalità dell’essere (Levy, 1997; Levy, 1996); 

Comprendere fino in fondo l’evoluzione del termine virtuale nel mondo tecnologico attuale significa percepire la specificità del momento che stiamo vivendo. Una realtà in trasformazione, di passaggio tra due mondi, pre-tecnologico e tecnologico-digitale, che non verrà neppure più percepita nel momento in cui, anche a livello cognitivo, avremo completamente assimilato tra di essi non solo i concetti di virtuale e digitale ma anche quelli di virtuale e reale. La prova dell’assimilazione in atto si ha nella crescente difficoltà a separare mondo virtuale (ad esempio dei social e delle fake news) e mondo reale (il fatto quotidiano, ciò che è attuale, la verità ultima), determinata dalla ripetitività del gesto tecnologico (swipe, scroll, Like, ecc.) che si traduce in assuefazione. Si ha nel fatto di sentirsi completamente a proprio agio nei nuovi contesti definiti e mediati tecnologicamente, nel filtrare la realtà attraverso display e interfacce capaci di simulare le nostre esperienze nel modo più ‘reale’ e fedele possibile. 

Il display attira per la sua lucentezza e trasparenza ma è sempre contenuto, anche nel suo essere metonimicamente interfaccia, dentro uno schermo che impedisce il suo superamento e di guardare oltre l’interfaccia. La vita sullo schermo non è molto diversa da quella reale, è anch’essa fatta di tanta arte dell’arrangiarsi, di tentativi falliti e altri riusciti, di regole osservate e regole negate, di relazioni fiduciarie, persistenti diffidenze e sfiducie. La differenza sostanziale percepita sta tutta nella percezione dello schermo come strumento per sfuggire, pur sempre e solo momentaneamente, dall’attualità (termine usato dal filosofo francese Pierre Levy per indicare il reale) e dalle sue problematicità, difficoltà, trappole, controlli e resistenze. Ciò che non si comprende è che, come ha ben descritto Slavoj Zizek nel suo libro “Che cos’è l’immaginario, il digitale, il virtuale, […] i byte o piuttosto le serie digitali sono il Reale dietro [ndr. Dentro] lo schermo”. Non siamo mai solo e soltanto dentro la simulazione del mondo reale, non stiamo mai giocando il gioco delle apparenze tipico delle piattaforme digitali online, ma ci portiamo sempre appresso una parte di Reale, anche se digitalizzato. 

La vita sullo schermo non è una semplice e astratta simulazione della vita reale. La vita reale non è un’altra finestra apribile attraverso la semplice icona di una APP. La realtà fuori dallo schermo non è la sola vera realtà alla quale aggrapparci. Il gioco virtuale della simulazione (dal latino similis, rendere simile) segue e contiene quello reale anche se offre esperienze immersive (vista, tatto, udito, orientamento, ecc.) capaci di superare, in alcuni ambiti di applicazione, quelle della vita reale. L’esperienza è diversa ma pur sempre un modo di leggere la realtà, vivendola e sperimentandola in forma astratta come il prodotto di algoritmi matematici, sensori, piattaforme e linguaggi. In questo senso il virtuale, nella sua espressione di Realtà Virtuale come soluzione o prodotto tecnologici, può essere usato come specchio o lente. Come tale può diventare un modo per guardare al mondo con un occhio diverso, attraverso una lente potente che permette di comprendere meglio non soltanto la realtà nella sua tangibilità e materialità ma anche gli schemi concettuali, le analogie e le mappe mentali con le quali la percepiamo e interpretiamo. 


Ambedue le realtà determinano apprendimenti che vengono depositati nelle memorie per essere riutilizzati (come vedremo ancora più avanti); ma mentre la seconda può esistere senza la prima (l'homo sapiens si è evoluto senza la componente digitale del virtuale), non è possibile il contrario. Solo la fantascienza ci propone scenari post umani, in cui sono le macchine a prendersi cura della nascita e dello sviluppo dei bambini e nei quali mondo e relazioni vissute sono frutto di algoritmi e programmi in stile Matrix. 

Per adesso, interagire tra umani si basa su capacità apprese prima nelle relazionali strade cittadine che nelle autostrade digitali telematiche. È ancora nella relazione di accudimento prima e nelle relazioni con i pari poi, che si sviluppano e consolidano i Funzionamenti di Fondo necessari a percorrere tutte le vie, incluse quelle digitali. 

Arrivare non attrezzato (o meglio con l'attrezzatura in corso di sviluppo), senza un solido bagaglio psicobiologico acquisito prima, grazie alla mano che regge il sellino, ad esperienze relazionali digitali è come imparare da solo ad andare in bicicletta nel traffico cittadino prima che in un cortile protetto. Non è impossibile, è solo molto rischioso. 

Un primo ordine di effetti è sulla qualità dell'esperienza 

  • che si carica facilmente di ansia: dover conoscere le App che i compagni utilizzano e saperle maneggiare, produrre materiale, rispondere rapidamente alle sollecitazioni per restare al passo, oltre all'ansia da Wi-Fi disponibile che oramai condiziona anche le vacanze.
  • una volta soppiantata l'ansia con la specializzazione (cosa che accade spesso in tempi brevi) non diminuisce lo stress da attivazione costante e ripetuta della motricità fine e veloce (Vedi 2.3). L'asse HPA rischia di essere troppo frequentemente sollecitato prima che le capacità per disattivarlo siano sufficientemente mature.
  • le relazioni si declinano più facilmente su registri di superficialità in assenza (o drastica riduzione) di feedback sensoriali provenienti dal linguaggio del corpo che arricchiscono e da senso alla comunicazione.
  • una conseguente scarsa coltivazione dell’empatia. Il display filtra sguardi, odori ed emozioni.
  • una tendenza a sottovalutare e trascurare, per sé e per l’altro, gli effetti, delle azioni digitalmente mediate. 

Ma gli interlocutori sono sempre in carne ed ossa e il rischio di farsi e fare male ad altri si incrementa. 

La relazione digitale implica una distanza che non facilita l'empatia necessaria ad un incontro. 

Già Denis Diderot, alla metà del '700, riprendendo la Retorica di Aristotele, sosteneva come la distanza nel tempo o nello spazio indebolisca ogni sorta di sentimenti, ogni forma di coscienza, perfino quella del delitto (Discorso sulla poesia drammatica, 1978). Altro riferimento letterario classico è il Père Goriot di Balzac, dove al protagonista viene proposta la possibilità di arricchirsi purché disposto a causare magicamente la morte, dall'altra parte del mondo, di un mandarino in Cina. 

Tema sviluppato anche da Dino Buzzati nel racconto la Giacca stregata del 1968. Qui una magica giacca acquistata da un misterioso sarto consente di pescare denaro dalle sue tasche, in quantità corrispondenti a crimini in luoghi lontani che si verificheranno successivamente, causando morti. L'atto del prendere il denaro dalla tasca diventa così omicidio. Domandiamoci in cuor nostro: se disponessimo di una giacca simile saremmo sicuri di non utilizzarla? Probabilmente no se causasse danni a conoscenti, ma se provocasse la morte di uno sconosciuto in Cina? O di un'anziana signora in un'altra città del mondo? La distanza attenua empatia ed etica e può impedirci di non renderci conto di quanto stia ordinariamente avvenendo: per esempio il surplus di consumo di metà del mondo non è forse pescato da una giacca che determina penuria per l'altra metà? Il vetro del display reso spesso da distanza, stili di vita, privilegi ritenuti naturali, può pure farci distogliere lo sguardo da guerre lontane e non coglierne le concause anche nel nostro stile di vita, e possiamo perfino irritarci per i barconi colme di persone in fuga dalla miseria che approdano ritenendoci non parte in causa, ma … 

Caro lettore che sei arrivato a questo punto del libro, oramai oltre la metà, prosegui nella lettura, questa parentesi è chiusa; torniamo alle distanze digitali nei mondi possibili e globalizzati dei nostri smartphone e tablet. 

Fare male a chi è distante, non presente in carne ed ossa (e provare compassione per) e non genera un feedback integrato (e immediato) sensoriale ed emozionale (e biologico vedi neuroni specchio) è più facile. 

Un famoso esperimento di psicologia sociale effettuato dallo psicologo statunitense Stanley Milgram lo testimoniava già nel lontano 1961. Consisteva nel mettere un campione di persone casuale nella condizione di dover legittimamente produrre dolore ad altre persone se non rispondevano correttamente a quesiti a loro posti. Il dolore era provocato con scosse elettriche la cui intensità aumentava con gli errori. Gli esecutori erano incitati dalle guide autorevoli del test, ed erano ignari che la scossa elettrica, provocata premendo tasti di intensità crescente, era fittizia e che chi la subiva recitava solamente di provare dolore. 

Ideato per verificare quanto l'obbedienza all'autorità influisse sul comportamento, facendo superare il limite dei propri valori etici (nesso confermato), l'esperimento metteva in evidenza un’altra variabile significativa: il grado di obbedienza all'autorità variava sensibilmente in relazione alla distanza tra chi punisce e il viene punito. Furono infatti testati quattro livelli di distanza: 1° in cui non era possibile né osservare né ascoltare i lamenti della vittima; 2° in cui era possibile ascoltare ma non osservare la vittima; 3° in cui era possibile sia ascoltare sia osservare la vittima; 4° nel quale per infliggere la punizione era necessario afferrare il braccio della vittima e spingerlo su una piastra. Nel primo livello di massima distanza (e quindi di minor empatia), il 65% dei soggetti andò avanti sino alla scossa più forte; nel secondo livello il 62,5%; nel terzo livello il 40%; nel quarto livello di minima distanza il 30% ( Stanley Milgram, Obedience to Authority; An Experimental View, 1974, Harpercollins). È evidente che la vicinanza sia un regolatore della relazione importante, e che al suo diminuire, l'empatia progressivamente tenda a diminuire. 

Le persone reclutate per l’esperimento di Milgram erano tutte adulte, con una solidità di valori e sviluppo del Sé che si presume elevato. Su bambini e ragazzi in corso di sviluppo la distanza, o la deprivazione della vicinanza, ha maggior impatto, cosa che ci porta al successivo … 

Secondo ordine di effetti, ancor più grave, perché ricade sul futuro e sullo sviluppo del Sé. Se nutrito di esperienze sbilanciate rischia di produrre ansia, superficialità, non solo durante ma per il futuro. La conoscenza assodata che ribadiamo ancora è che: tutto ciò che impatta con un Sé in sviluppo ha effetti che incidono sullo sviluppo stesso e che non rimangono temporalmente circoscritti. Gli effetti negativi (se ripetuti cronicamente, non se occasionali) alterano lo sviluppo psicobiologico dei Funzionamenti di fondo. 

Sono molti i Funzionamenti di fondo implicati nelle relazioni: il Contatto, il Contenimento, la Forza, la Consistenza (che consente di non farsi abbattere dalle frustrazioni), la Gioia e la Vitalità. In fondo relazione è vivere con l’altro e quindi interagire con tutte le modalità. E tutte si apprendono durante l’età evolutiva, nel misurarsi con feedback ravvicinati sensoriali ed emozionali (e biologici, vedi i neuroni specchio) che collegano in continuità la filiera esperienziale dai primi contatti pelle-pelle, ai giochi tra cuccioli umani, ai batticuori, alla scoperta sempre più raffinata di produrre effetti sull’altro, alle frustrazioni e adattamenti, alla chiarezza di limiti tra il realizzabile e l’irrealizzabile. 

Un apprendimento sin dall'inizio della vita quanto il bambino ha imparato che fare arrabbiare la mamma determina reazioni e che vi è un limite, molto tangibile prima che etico, alle proprie azioni. Il limite (ne abbiamo parlato col Contenimento) esiste anche per poterlo consapevolmente trasgredire, ma rimane la discriminante tra un immaginario connesso alla realtà e un delirio.

Le esperienze di relazione digitale se precedono e soppiantano gli incontri diretti tra corpi non permettono di apprendere limiti, non consentendo di “incarnarli” psicobiologicamente. Senza limiti, la reale capacità di lasciare segni, produrre effetti sull'altra persona, rischia di assomigliare pericolosamente al delirio. 

Forza e senso di Sé, maturata in ambito digitale, sono difficilmente esportabili oltre il display, mentre è vero il contrario. In questo senso l'orizzonte digitale può essere un recinto, simile allo zoo per la scimmia nata in cattività. Ma le azioni che partono dallo zoo producono ugualmente effetti fuori da esso. Lo spintone virtuale ha effetti anche se parte da una forza delirante. Il delirio di un altro diventa atto concreto, sogno pericoloso come Freddy Krueger di Nigthmare... 

Non conosciamo la soglia di sballo, la percentuale critica di rapporto tra i due modi. Sappiamo però che l'età evolutiva non deve preparare allo zoo.

Ogni genitore desidera per il figlio una vita ricca di esperienze, di relazioni affetti e amore, con la capacità di districarsi nei problemi inevitabilmente incontrati. Non sono i  social a creare lo zoo, ma la deprivazione di altre esperienze. Divengono invece una estensione di capacità relazionali, se queste sono parallelamente, prima e contemporaneamente sufficientemente praticate.

Anche se la spinta culturale a correre nelle autostrade digitali (immagine alternativa allo zoo) è irreversibile, non è impossibile, rallentare, fare soste in autogrill, prendere via laterali, approfondire rapporti e goderne. 

Questa è la responsabilità formativa dell’adulto: consolidare il prima ed accompagnare nel dopo, tema che approfondiremo negli ultimi tre paragrafi del nostro e-book. Prima però passiamo alla Regola o buona pratica successiva che nega ai Social Network la funzione di scorciatoia. Il capitolo che segue terminerà con una serie di norme prudenziali che tutti i genitori possono adottare e fare proprie. 

 

 

[1]MEMORIA SENSOMOTORIA: è caratterizzata dal processo percettivo, attraverso il quale vengono captati

vari stimoli provenienti dai sensi. Qualsiasi tipo di informazione (immagine, suono, sensazione tattile o

olfattiva) deve essere in qualche modo trattenuto al fine di poter essere elaborata in modo più specifico o

essere immediatamente abbandonata (Silvana Contento e Francesca Gattullo)

[2] Il fatto di diventare complesso o più complesso. 

[3]Prevalenza funzionale del sistema nervoso ortosimpatico rispetto al sistema nervoso parasimpatico. Ne sono note caratteristiche lo psichismo vivace, la tachicardia, l’occhio lucido con midriasi e spesso con esoftalmo, la cute secca, pallida, fredda, l’instabilità termica. Si distingue una s. fisiologica, costituzionale, che si osserva per lo più in soggetti longilinei e microsplancnici, spesso tendenti alle ptosi viscerali, da una s. patologica, assai marcata, che ha la sua forma più completa nel complesso dei disturbi neurovegetativi che caratterizzano il morbo di Basedow (Enciclopedia Treccani) 

[4]Non confondiamo la Forza con la Rabbia. Quest’ultima generalmente richiede Forza se espressa e non ringoiata, ma la Forza è indipendente dalla rabbia; né confondiamo la Forza con la violenza che della prima è negazione

[5]In realtà, disponendo di 381.000 Euro, da Luglio 2018 posso già comprare nei grandi magazzini Selfridges a Londra una tuta a turbina volante tipo Iron Man) 

[6]In chimica un neuromediatore (o neurotrasmettitore) è una sostanza che, nella trasmissione sinaptica, veicola le informazioni fra i neuroni. I neuromediatori sono contenuti in vescicole sinaptiche addensate alle estremità distali dell'assone nel punto in cui esso attiva una connessione sinaptica con altri neuroni. 

[7]Su questa motivazione nell'epoca digitalmente preistorica degli anni ’80, presso l’allora Centro Studi W.Reich di Napoli, bambini di 3 anni venivano educati all’uso sostenibile del pc. Prima di cimentarsi con monitor e mouse, il pavimento di una grande sala diveniva lo schermo del pc e i bambini vi impersonavano (con tanto di codine attaccate dietro) i “topini” che poi avrebbero ritrovato virtuali. Il lavoro sfociò in un convegno dal titolo “Il bambino, il corpo e il computer”. 

[8]Una dizione così lunga “realtà virtuali digitalmente mediate” è indizio per l’individuazione dell’errore, che è concettuale, contenuto  nel titolo del paragrafo.

[9]Risolto il giochino? Il termini Virtuale e Reale, non sono in contrapposizione; c’è un virtuale anche nella vita concreta di tutti i giorni e il Virtuale è una esperienza che fa parte del Reale. La finestra “Virtuale, reale, attuale e digitale approfondisce e chiarisce il rapporto tra questi termini di uso comune.

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