La tecnologia, Internet e nuovi media hanno pervaso ogni ambito della vita individuale e sociale delle persone e ogni disciplina finendo per tessere la trama e l’ordito di ogni realtà. Il modo con cui ci relazioniamo, interagiamo, comunichiamo gli uni con gli altri, prendiamo decisioni e facciamo scelte, sperimentiamo e apprendiamo come vivere le nuove realtà in movimento è completamente permeato e mediato dall’informazione, dalla tecnologia e dai suoi algoritmi. In ogni istante, grazie alla interazione tecnologica di miliardi di persone, viene generata una quantità di informazioni tale da poter essere gestita solo attraverso automatismi e algoritmi computazionali. Una necessità di tipo tecnico e operativo che si è però affermata in modalità tali da suggerire oggi qualche riflessione sul nuovo ruolo assunto dalla tecnologia e sulla diversità di questo ruolo rispetto al passato.
Siamo entrati nell’era del cyber-capitalismo caratterizzato dalla globalizzazione e dall’automazione (sostituzione di posti di lavoro umano con macchine intelligenti e robot) ma anche dalla pervasività tecnologica in ogni ambito e disciplina. Il 65% delle transazioni di Wall Street ad esempio già oggi sono opera di semplici o complessi algoritmi software, intelligenti e capaci di prendere decisioni e fare scelte in tempi più rapidi e, per alcuni in modo più efficiente, di quanto non possano fare trader in carne ed ossa.
Una realtà difficilmente contestabile e forse anche auspicabile considerando l’enormità dei dati in circolazione e la rapidità necessaria per elaborarli in modo da essere competitivi e vincenti su un mercato diventato globale. La presenza di algoritmi nel software delle Borse non è che la punta dell’iceberg di una realtà diffusa che sta permeando tutto, compresa la produzione culturale e la vita cognitiva delle persone. La loro pervasività e capacità di diffondersi deriva dal loro essere disponibili e disseminati ovunque online, spesso nel Cloud, e di offrire servizi e strumenti utili per analizzare, gestire e usare le numerose informazioni di cui tutti fanno largamente uso e che producono loro stessi attraverso interazioni sociali e pratiche online.
Dalla sua invenzione, fatta risalire al nono secolo ad opera del matematico persiano al-Khwarizmi e originariamente riferito a una sequenza di regole per eseguire un calcolo matematico con numeri arabi, l’algoritmo tecnologico attuale è diventato un insieme definito di istruzioni in codice (procedure) applicati a dei dati in input, secondo sequenze finite, con l’obiettivo di generare un output. In pratica un algoritmo è oggi un potente mezzo per eseguire dei calcoli elaborando dati e informazioni in modo automatico. Una evoluzione passata attraverso l’impiego di idee di scienziati e matematici come Babbage, Ada Lovelace e soprattutto Alan Turing che ne ha definito l’astrazione concettuale e la formalizzazione finale, rendendone possibile l’uso anche in mondi diversi dal computer o della semplice macchina (personal computer, server, mainframe) come quello di Internet e del Web.
A favorire la diffusione degli algoritmi è stata la diffusione della Rete con i suoi link e URL che hanno facilitato la loro interazione interconnessione e collaborazione che ha finito per determinare l’emergere di una specie di algoritmo medio (definizione del filosofo francese Pierre Levy) a cui gli utenti della Rete fanno riferimento sia per collaborare e creare sia per memorizzare ed elaborare nuova conoscenza.
Oggi gli algoritmi tecnologici giocano un ruolo chiave in tutti gli spazi che caratterizzano il web sociale e interattivo dei social network e dei media sociali. Servono per decidere come allestire e personalizzare le pagine degli utenti ma soprattutto, così facendo, a raccogliere informazioni su di loro, sulle loro attività comportamenti, contatti e preferenze. Algoritmi simili sono usati da Google per visualizzare link che non forniscono risposte concrete alle domande fatte ma presentano risposte sulla base della percezione o idea che si è fatto dell’autore della ricerca. Una conoscenza e una percezione che derivano dall’uso di algoritmi sempre più intelligenti. Non può essere senza algoritmi una realtà come Amazon che li usa per suggerire ai lettori nuovi libri da leggere, recensioni ama anche e-reader da acquistare e usa algoritmi anche Twitter per calcolare quali siano le parole più usate nei cinguettii e definirne i trend emergenti che le riguardano e così li usano tutti gli altri social network e le piattaforme 2.0 che stanno caratterizzando il web sociale della Rete.
Gli algoritmi tecnologici che come i ragni meccanici del film Matrix sono in grado di scoprire sempre cosa si fa, dove si è e cosa si sta usando, seguono le nostre tracce ovunque. Dopo averle trovate eseguono le istruzioni che li caratterizzano per raccogliere dati, indicizzare informazioni e studiare comportamenti, relazioni e abitudini districandosi tra la montagna di dati interconnessi e interallacciati prodotta. Sono algoritmi capaci di apprendere e adattarsi a nuovi utilizzi che l’utente fa delle applicazioni e degli spazi tecnologici online e di registrare ogni azione, ogni messaggio e ogni cambiamento legato alle esperienze utente.
Gli algoritmi si sono diffusi con la complicità benevola degli utenti che ne fanno uso per le loro navigazioni e attività online in cambio della rinuncia alla privacy e senza riflettere criticamente su quali informazioni questi algoritmi siano oggi in grado di catturare e elaborare e sulla destinazione d’uso dei dati e delle conoscenze acquisite. Un uso quasi sempre di tipo commerciale finalizzato al consumo e alla promozione di merci. Un uso che si alimenta di dati e informazioni prodotti gratuitamente dalla forza lavoro composta dalla maggioranze degli utenti online che lavora gratuitamente al successo degli algoritmi e al benessere economico di chi li ha creati.
La riflessione necessaria dovrebbe essere di tipo epistemologico, politico e sociale. Automatismi incontrollabili, impercettibili, imperscrutabili e invisibili, capaci di avere accesso e raccogliere dati personali, anche sensibili, violano l’etica della privacy e della riservatezza, agiscono all’insaputa dell’utente e senza la sua autorizzazione e lo trasformano in semplice forza lavoro e oggetto. La loro invisibilità deriva dalla complessità del software che anima i molti mondi tecnologici che frequentiamo. La loro impenetrabilità è protetta da leggi che regolano i diritti di proprietà e la segretezza dei codici (è recente il caso Apple e FBI sulla decrittazione dei codici di accesso all’iPhone).
La specificità degli algoritmi, nella loro fase di evoluzione attuale è caratterizzata dalla loro capacità crescente di prendere decisioni e fare delle scelte in modo automatico e sostituendosi agli esseri umani. E’ un’abilità che pone numerosi quesiti sulla trasparenza e liceità di alcune decisioni e sul ruolo sempre più importante che entità esterne a noi sono in grado di svolgere nel plasmare il mondo, con o senza la nostra collaborazione esplicita. Il tema è reso complesso dalla dubbia neutralità degli algoritmi e da quella ancora minore di chi li ha creati ma anche dalle conseguenze che possono scatenare analizzando dati e nuove informazioni da essi generati applicando logiche, schematismi e automatismi non necessariamente aggiornati e predisposti per comprendere le novità che sempre caratterizzano l’agire umano.
L’influenza crescente degli algoritmi tecnologici pone problemi importanti, in particolare per la diffusa inconsapevolezza sul loro ruolo e sulle loro finalità, per la passiva accettazione della loro esistenza e attività e per la difficile comprensione e conoscenza di cosa effettivamente fanno e di cosa possono causare.
Nell’impossibilità di conoscere, governare o bloccare molti degli algoritmi che ormai caratterizzano le piattaforme tecnologiche commerciali online, all’utente non rimane che impegnarsi (Programmiamo per non essere programmati nel Grande Presente (The Big Now)) nell’imparare le caratteristiche insite nelle tecnologie che usa e adottare un approccio critico. Ad esempio si potrebbero usare sistemi che rendono esplicito l’uso e la finalità degli algoritmi impiegati, frequentare social network commerciali facendo attenzione alle informazioni cedute e promuovendo buone pratiche capaci di ingannare gli algoritmi in azione, incoraggiare un uso e buone pratiche simili anche da parte dei propri contatti e reti sociali di appartenenza, contribuire alla riflessione critica con l’elaborazione di nuove narrazioni (Pensieri critici e fuori dal coro sulla tecnologia) capaci di influenzare l’opinione pubblica e attrarre maggiore attenzione da parte degli utenti della Rete, sostenere in crowdsourcing nuove iniziative finalizzate alla trasparenza e al rispetto della riservatezza dei dati e/o ad un loro utilizzo non commerciale.
L’impegno individuale sarà vano se non sarà accompagnato da scelte politiche e culturali di istituzioni ed entità pubbliche forti abbastanza da resistere alle lobby delle corporazioni e alle loro logiche commerciali che puntano a corrompere l’idea di bene pubblico che è stata costruita negli ultimi cinquant’anni di storia.
In attesa che qualcosa cambi si dovrà continuare a fare i conti con i suggerimenti insistenti di Amazon, con le personalizzazioni delle ricerche di Google, con i suggerimenti di Facebook e le promozioni delle grandi Marche o catene di fast food come Pizza Hut o di provider di servizi di intrattenimento come Sky.