Che a richiamare attenzione e riflessione sulla perdita della privacy sia uno splendido novantenne di nome Kotler non è solo interessante ma anche un segno dei tempi. Tempi nei quali la privacy viene ormai considerata una battaglia persa e quindi non degna di essere neppure combattuta. Indice di quanta scarsa sia la comprensione dei fenomeni in corso governati e resi possibili dalla tecnologia e soprattutto degli effetti che ne derivano sulla vita individuale di tutti, nella loro veste di consumatori ma anche di cittadini e forse anche elettori.
Kotler con le interviste che sta rilasciando per promuovere il suo ultimo libro, Brand Activism invita a riflettere su quale debba essere l'equilibrio tra personalizzazione dei messaggi e invasione della privacy6 del consumatore, su come conciliare la responsabilità sociale con l ricerca dei profitti. Un invito condiviso ancora da pochi e che si colloca nello spazio dell'etica della tecnologia. L'invito viene da chi è stato uno dei pionieri del database marketing, della profilazione e della personalizzazione.
Nell'epoca delle intelligenze artificiali, dei chatbot e delle automazione dei processi, Kotler rimarca il ruolo fondamentale dell'intrervento umano in tutti gli uffici di marketing, quelli che ancora (r)esistono in aziende che, perseguendo innovazione e creatività, non si sono ancora arrese allo storytelling conformistico dei social e della tecnologia perchè ritengono insostituibili i professionisti del marketing che ancora oggi operano impostando e influenzando le famose quatto P del marketing.
Kotler offre anche spunti di riflessione sul capitalismo attuale, riaffermando che una impresa o business non possa prosperare semplicemente per garante profitti agli azionisti. Accettare questo principio infatti porta necessariamente a pagare salari minimi ai dipendenti e alla manodopera, a scegliere i fornitori più economici per contenere i costi. Kotler punta al contrario su modelli di business in grado di premiare tutti gli stakeholder.