Ciclo della vita o delle macchine?
Nell’immaginario scientifico, ma non solo, un’immagine di successo è il ciclo della vita, del quale facciamo parte e dal quale traiamo il significato della nostra esistenza: nascita, amore e morte. Le macchine – a differenza di noi che rappresentiamo la vita e l’umano – non hanno avuto, almeno finora, un loro senso autonomo perché non fanno parte di questo ciclo e vi contribuiscono solo nella misura in cui noi le utilizziamo. Le macchine sarebbero quindi, per quanto sofisticate, semplici strumenti, passive protesi prive di autonomia e prive di valore intrinseco.
Tutto questo sta, sempre più rapidamente, cambiando. L’impressione è che un nuovo ciclo, altrettanto autoreferenziale e autonomo, si sta affiancando a quello del biologico: il ciclo delle macchine. Se fino a ieri, tra una macchina e l’altra, c’erano sempre degli esseri umani (progettisti, inventori, costruttori, utilizzatori), oggi è sempre più frequente il caso in cui la catena del valore e il ciclo dell’esistenza si chiudono senza che alcun essere umano intervenga. A dire il vero, il ciclo delle macchine non è ancora completo, molte sue parti richiedono ancora un intervento umano. Tuttavia, se fino a qualche anno fa, le macchine erano solo protesi degli umani, oggi il rapporto si è invertito. In molti casi siamo noi a essere le protesi dei sistemi artificiali (da Google al Blockchain). L’essere umano si avvia a essere il sistema riproduttivo delle macchine.