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La realtà tecnologica cambia, i concetti usati per comprenderla no!

La realtà tecnologica cambia, i concetti usati per comprenderla no!

10 Aprile 2022 Interviste filosofiche
Interviste filosofiche
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Fino a quando nelle scuole non verranno dedicate delle ore finalizzate all’educazione digitale è difficile coltivare una visione ottimistica del futuro. Avere una cultura sulle tematiche inerenti alla tecnologia e ai suoi effetti non può essere solo priorità di alcune classi sociali o culturali. Questi argomenti hanno la stessa importanza delle materie canoniche studiate normalmente negli istituti.

Interviste di SoloTablet 2020

 

"Diogene […] obiettò una volta che gli si facevano le lodi di un filosofo: “Che cosa mai ha da mostrare di grande, se da tanto tempo pratica la filosofia e non ha ancora turbato nessuno?” Proprio così bisognerebbe scrivere sulla tomba della filosofia della università: “Non ha mai turbato nessuno” (F. Nietzsche, Considerazioni inattuali III. Schopenhauer come educatore, tr. it. di M. Montinari, in F. Nietzsche, Opere, vol. III, tomo I, Adelphi, pag. 457)."

Tutti sembrano concordare sul fatto che viviamo tempi interessanti, complessi e ricchi di cambiamenti. Molti associano il cambiamento alla tecnologia. Pochi riflettono su quanto in profondità la tecnologia stia trasformando il mondo, la realtà oggettiva e fattuale delle persone, nelle loro vesti di consumatori, cittadini ed elettori. Sulla velocità di fuga e volontà di potenza della tecnologia e sulla sua continua evoluzione, negli ultimi anni sono stati scritti numerosi libri che propongono nuovi strumenti concettuali e cognitivi per conoscere meglio la tecnologia e/o suggeriscono una riflessione critica utile per un utilizzo diverso e più consapevole della tecnologia e per comprenderne meglio i suoi effetti sull'evoluzione futura del genere umano.

Su questi temi SoloTablet sta sviluppando da tempo una riflessione ampia e aperta, contribuendo alla più ampia discussione in corso. Un approccio usato è quello di coinvolgere e intervistare autori, specialisti e studiosi che stanno contribuendo con il loro lavoro speculativo, di ricerca, professionale e di scrittura a questa discussione.

In questo articolo proponiamo l’intervista che Carlo Mazzucchelli  ha condotto con Marco Mozzato.

 

Buongiorno, può raccontarci qualcosa di lei, della sua attività attuale, del suo interesse per le nuove tecnologie e per una riflessione sull'era tecnologica e dell'informazione che viviamo? 

Mi chiamo Marco Mozzato, sono laureato in filosofia all’Università di Padova e ho un master in filosofia del digitale all’Università di Udine.

Da sempre coltivo e intreccio due interessi: da una parte la filosofia, dall’altra la tecnologia. Mi affascina in particolare il mondo delle intelligenze artificiali, delle realtà virtuali e di tutti quei cambiamenti che l’era tecnologica sta portando nella quotidianità di ciascuno di noi. Nello specifico nella mia ultima esperienza universitaria ho focalizzato la mia attenzione sulla tematica della scelta nell’era digitale e di come quest’ultima ci illuda di darci più opportunità e più libertà ma, al contrario, ci paralizza nella decisione oppure rende viziate le nostre deliberazioni. 

Secondo il filosofo pop del momento, Slavoj Žižek, viviamo tempi alla fine dei tempi. Quella del filosofo sloveno è una riflessione sulla società e sull'economia del terzo millennio ma può essere estesa anche alla tecnologia e alla sua volontà di potenza (il technium di Kevin Kelly nel suo libro Cosa vuole la tecnologia) che stanno trasformando il mondo, l'uomo, la percezione della realtà e l'evoluzione futura del genere umano. La trasformazione in atto obbliga tutti a riflettere sul fenomeno della pervasività e dell'uso diffuso di strumenti tecnologici ma anche sugli effetti della tecnologia. Qual è la sua visione attuale dell'era tecnologica che viviamo e che tipo di riflessione dovrebbe essere fatta, da parte dei filosofi e degli scienziati ma anche delle singole persone? 

Innanzitutto ci tengo a sottolineare che negli ultimi anni si sta cominciando a notare una certa tendenza nello sviluppare una sensibilità riguardo alle tematiche in ambito tecnologico e digitale. Sia gli “addetti ai lavori” che i semplici consumatori/utenti sono più vigili ai cambiamenti che quest’ultima rivoluzione sta portando. Questo tuttavia può significare tutto e niente; essere a conoscenza delle criticità di queste nuove realtà che stiamo sperimentando è un primo passo ma bisogna anche agire, mettere in atto delle contromisure.

Se per il primo punto si sta muovendo qualcosa, per il secondo invece siamo sempre estremamente in ritardo. Paradossalmente pare che lo sviluppo umano non vada di pari passo con quello tecnologico. La legislazione è sempre incompleta e parziale, l’educazione digitale è pressochè inesistente e l’utente non è mai veramente padrone di ciò che fa online e dei rischi che corre.

Credo quindi che un punto essenziale da prendere in considerazione per tenere il passo di questa esplosione dell’era digitale sia fare in modo che termini e concetti come algoritmo, bias, riconoscimento facciale, intelligenza artificiale, dati biometrici, profilazione etc diventino così conosciuti da diventare di uso comune, noti a tutti e studiati e analizzati. È inconcepibile che nel 2022, periodo storico in cui le IA e gli algoritmi decidono perfino se dobbiamo essere assunti, licenziati, arrestati o multati, buona parte delle persone non sappia né che queste realtà ci pervadono né tanto meno come, anche in linea di massima, funzionino e influenzino le nostre vite. 

Miliardi di persone sono oggi dotate di smartphone usati come protesi tecnologiche, di display magnetici capaci di restringere la visuale dell'occhio umano rendendola falsamente aumentata, di applicazioni in grado di regalare esperienze virtuali e parallele di tipo digitale. In questa realtà ciò che manca è una riflessione su quanto la tecnologia stia cambiando la vita delle persone (High Tech High Touch di Naisbitt) ma soprattutto su quali siano gli effetti e quali possano esserne le conseguenze.  Il primo effetto è che stanno cambiando i concetti stessi con cui analizziamo e cerchiamo di comprendere la realtà. La tecnologia non è più neutrale, sta riscrivendo il mondo intero e il cervello stesso delle persone. Lo sta facendo attraverso il potere dei produttori tecnologici e la tacita complicità degli utenti/consumatori. Come stanno cambiando secondo lei i concetti che usiamo per interagire e comprendere la realtà tecnologica? Ritiene anche lei che la tecnologia non sia più neutrale? 

Il problema forse è che la realtà tecnologica cambia mentre i nostri concetti che usiamo per comprenderla no. Faccio un esempio pratico, le telecamere: queste esistono da moltissimi anni, è una tecnologia abbastanza semplice con cui conviviamo tranquillamente da sempre, il problema però è un altro. Le telecamere che abbiamo ora non sono uguali a quelle che c’erano invece 30 anni fa, ora tracciano, raccolgono dati, memorizzano volti, catalogano, hanno database. Questo per dire che la tecnologia è cambiata ma le nostre riflessioni a riguardo no.

Sono veramente poche le persone che si interrogano sulle questioni derivanti da queste novità inerenti ai dispositivi di sorveglianza. Quasi nessuno infatti parla di legittimità, di tutela della privacy e, in questo caso, anche di razzismo, perché sì, anche un sistema di videosorveglianza può essere razzista. Questo punto in particolare si ricollega alla seconda domanda a cui mi sento di rispondere che la tecnologia non è mai neutrale. Non è neutrale per molti motivi ma mi limiterò ad elencarne un paio: in primo luogo ormai la tecnologia è appannaggio del GAFAM ossia di pochissime aziende (Google, Apple, Facebook, Amazon, Microsoft) che controllano tutto questo mondo.

Va da sé comprendere che se esiste un sistema che è controllato da aziende la priorità delle aziende è guadagnare, non di certo sensibilizzare, istruire o far socializzare. Dove c’è guadagno non esiste neutralità. Per quanto riguarda invece il mondo social ormai è ben noto che la struttura stessa del social network è impostata in modo da creare assuefazione e dipendenza. Abbinando questi due fattori ad una martellante pubblicità fatta di post e sponsorizzazione di influencer è un dato di fatto affermare che la tecnologia non è neutrale. Uno strumento basato su stimoli analoghi a quelli delle slot machines (lo scrollare dei social è identico allo scorrere dei giochi delle slot) non può che essere un rischio reale. 

Secondo il filosofo francese Alain Badiou ciò che interessa il filosofo non è tanto quel che è (chi siamo!) ma quel che viene. Con lo sguardo rivolto alla tecnologia e alla sua evoluzione, quali sono secondo lei i possibili scenari futuri che stanno emergendo e quale immagine del mondo futuro che verrà ci stanno anticipando? 

Personalmente ho una duplice visione sul futuro.

Sono molto ottimista su determinati ambiti come quello medico, delle biotecnologie e anche dell’intrattenimento (il mondo del gaming e le piattaforme come Youtube e Twitch offrono molti spunti interessanti) ma sono altrettanto pessimista su altri come per esempio la privacy, la tutela dei dati, le dipendenze, il consumismo, il controllo del tempo, le fake news, le radicalizzazioni degli estremisti online e si potrebbe andare avanti per ore. Il fatto che ci abbia messo più tempo a trovare pochi lati positivi piuttosto che i molti negativi elencati (mi) fa capire che propendo decisamente verso la visione pessimista del futuro digitale.  

Secondo alcuni, tecnofobi, tecno-pessimisti e tecno-luddisti, il futuro della tecnologia sarà distopico, dominato dalle macchine, dalla singolarità di Kurzweil (la via di fuga della tecnologia) e da un Matrix nel quale saranno introvabili persino le pillole rosse che hanno permesso a Neo di prendere coscienza della realtà artificiale nella quale era imprigionato. Per altri, tecnofili, tecno-entusiasti e tecno-maniaci, il futuro sarà ricco di opportunità e nuove utopie/etopie. A quali di queste categorie pensa di appartenere e qual è la sua visione del futuro tecnologico che ci aspetta? E se la posizione da assumere fosse semplicemente quelle tecno-critica o tecno-cinica? E se a contare davvero fosse solo una maggiore consapevolezza diffusa nell'utilizzo della tecnologia? 

Non credo di far parte di nessuno di questi due estremismi tuttavia come ho detto poco fa propendo decisamente per la visione distopica.

Mi sbilancio su questa previsione proprio perché ritengo che la consapevolezza sia il punto chiave che sventa la distopia ma allo stato attuale delle cose non vedo una vera spinta in questa direzione. Fino a quando nelle scuole non verranno dedicate delle ore finalizzate all’educazione digitale non riuscirò ad avere una visione ottimistica del futuro. Avere una cultura su queste tematiche non può essere solo priorità di alcune classi sociali o culturali, ormai sono argomenti che hanno la stessa importanza delle materie canoniche studiate normalmente negli istituti.

Se il software è al comando, chi lo produce e gestisce lo è ancora di più. Questo software, nella forma di applicazioni, è oggi sempre più nelle mani di quelli che Eugeny Morozov chiama i Signori del silicio (la banda dei quattro: Google, Fcebook, Amazon e Apple). E' un controllo che pone il problema della privacy e della riservatezza dei dati ma anche quello della complicità conformistica e acritica degli utenti/consumatori nel soddisfare la bulimia del software e di chi lo gestisce. Grazie ai suoi algoritmi e pervasività, il software, ma anche la tecnologia in generale, pone numerosi problemi, tutti interessanti per una una riflessione filosofica ma anche politica e umanistica, quali la libertà individuale (non solo di scelta), la democrazia, l'identità, ecc. (si potrebbe citare a questo proposito La Boétie e il suo testo Il Discorso sulla servitù volontaria). Lei cosa ne pensa? 

Questo è un punto fondamentale perché questi software gestiti da queste grandi aziende tecnologiche sono definiti “black box”, scatole nere quindi; si sa che esistono, si sa che decidono cosa farci vedere, cosa farci comprare e cosa nasconderci ma non si sa come, sono oscuri, nessuno conosce come funziona l’algoritmo, questo strumento potentissimo che organizza la nostra vita in rete che non sappiamo nemmeno cosa fa. Il problema è complesso anche per gli esperti che faticano a correggere gli errori perché le micro operazioni che questi software svolgono sfuggono anche a loro, sono così tante e così complesse che nel momento in cui si verifica un errore o un problema non si riesce a risolverlo efficacemente perché non si è in grado di capire il motivo per cui determinate scelte vengono prodotte. Da non sottovalutare inoltre che questi software vengono creati da una determinata cerchia di persone di un certo tipo di estrazione sociale e di una specifica provenienza geografica. Questo per dire che la tecnologia è frutto dell’intelligenza umana ed essendo “figlia” dei nostri costrutti mentali spesso e volentieri capita che possa portarsi dietro gli stessi limiti nostri. Se una macchina deve effettuare una scelta e i criteri per questa scelta vengono stabiliti da uomini bianchi, di ceto medio-alto, americani e con un’istruzione elevata non è che detto che questa decisione rispecchi i canoni etici di un’intera società. In linea di massima direi che gli algoritmi dovrebbero essere tutti pubblici e in molti ambiti estremamente limitati, sono dell’idea che nelle decisioni umane il ruolo della tecnologia dovrebbe rimanere altamente circoscritto. 

Una delle studiose più attente al fenomeno della tecnologia è Sherry Turkle. Nei suoi libri Insieme ma soli e nell'ultimo La conversazione necessaria, la Turkle ha analizzato il fenomeno dei social network arrivando alla conclusione che, avendo sacrificato la conversazione umana alle tecnologie digitali,  il dialogo stia perdendo la sua forza e si stia perdendo la capacità di sopportare solitudine e inquietudini ma anche di concentrarsi, riflettere e operare per il proprio benessere psichico e cognitivo. Lei come guarda al fenomeno dei social network e alle pratiche, anche compulsive, che in essi si manifestano? Cosa stiamo perdendo  guadagnando da una interazione umana e con la realtà sempre più mediata da dispositivi tecnologici? 

Non sono una di quelle persone che crede che i social network abbiano minato l’interazione umana, anzi, forse questo è uno dei pochi punti in cui non sono eccessivamente critico. Non vedo le piattaforme online come dei sostituti all’interazione vera e propria ma anzi spesso sono luoghi di ritrovo virtuali che sfociano in relazioni umane e, nel caso in cui non si tramutassero in rapporti de visu, anche gli scambi virtuali hanno il loro valore intrinseco. Unico enorme problema è che la rete, essendo un filtro e garantendo un parziale anonimato dà sfogo ad una serie di atteggiamenti che nella realtà farebbero fatica ad avere luogo. Su quello c’è da lavorare in primo luogo a livello culturale e in secondo luogo in ambito legale. 

In un libro di Finn Brunton e Helen Nissenbaum, Offuscamento. Manuale di difesa della privacy e della protesta, si descrivono le tecniche che potrebbero essere usate per ingannare, offuscare e rendere inoffensivi gli algoritmi di cui è disseminata la nostra vita online. Il libro propone alcuni semplici comportamenti che potrebbero permettere di difendere i propri spazi di libertà dall'invadenza della tecnologia. Secondo lei è possibile difendersi e come si potrebbe farlo? 

Credo sia possibile difendersi ma fino ad un certo punto. È come decidere di essere anticapitalisti vivendo in una società occidentale. Qualsiasi cosa tu faccia, che sia lavorare, comprare, vestirti, informarti etc sarai sempre all’interno di una logica capitalista e non può sottrarti a questo se vuoi vivere una vita “normale”. Non puoi scegliere di non farne più parte una volta che ci sei dentro, non puoi essere sia civilizzato che anticapitalista, purtroppo. La stessa cosa accade con la tecnologia, serve per fare ogni cosa, non puoi non utilizzarla anche se sei consapevole che non è neutra nei tuoi confronti, l’unica cosa che ti resta è sapere con cosa hai a che fare e comportarti di conseguenza. Bisogna accettare dei compromessi ma avere consapevolezza ti permette di decidere fino a che punto accettare questi compromessi. 

Vuole aggiungere altro per i lettori di SoloTablet, ad esempio qualche suggerimento di lettura? Vuole suggerire dei temi che potrebbero essere approfonditi in attività future? Cosa suggerisce per condividere e far conoscere l'iniziativa nella quale anche lei è stato/a coinvolto/a? 

Per approfondire le tematiche affrontate essenziale è l’apporto del professore Luciano Floridi. La politica statunitense Alexandria Ocasio Cortez è una delle poche a tratte questi temi. Su Netflix inoltre ci sono un paio di documentari importanti: Coded Bias e The Social Dilemma. Numerose ricerche sulle analisi dei dati delle telecamere sono consultabili online per avere un’idea precisa delle problematiche ad esse collegate, per esempio lo studio della dott.ssa Boulamwini. Infine il libro Armi di Distruzione Matematica dà una visione lucida della potenza degli algoritmi. 

Cosa pensa del nostro progetto SoloTablet? Ci piacerebbe avere dei suggerimenti per migliorarlo! 

Ottimo progetto che riesce a concentrarsi anche sugli aspetti critici della tecnologia (finalmente!) e che sto conoscendo ora. In caso mi venissero suggerimenti in futuro li farò presenti

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