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Opacità e trasparenza digitale

Opacità e trasparenza digitale

12 Aprile 2018 Redazione SoloTablet
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Segnaliamo un interessante articolo di Alessandro Biamonte dal titolo "Internet of things (IoT). L’opacità dei nuovi spettri nell’era della trasparenza digitale.". Un ariflessione approfondita per una lettura non semplice ma molto istruttiva sui temi all'ordine del giorno come quello della trasparenza e dell'opacità dei media tecnologici. L'autore vede nelle rivoluzioni tecnologiche "Più potenzialità, ma anche maggiori rischi...l’interconnessione dei dispositivi sta modificando l’intelligenza umana e le dinamiche dell’elaborazione umana delle informazioni, senza considerare l’incidenza in termini di decrescita della capacità di concentrazione e dell’atteggiamento da gratificazione istantanea, che prelude a una riduzione della capacità critica." Un buon contributo a chi ci legge sul tema della tecno-consapevolezza.

 Un articolo di Alessandro Biamonte che può essere lettop interamente a questo indirizzo web.

 “Gli spiriti non moriranno di fame, ma noi periremo”[1] .

Così, Kafka, nelle Lettere a Milena, con imperante angoscia, analizza – a suo modo – il processo dispercettivo che sarebbe sotteso all’utilizzo del mezzo epistolare, interpretato come un medium comunicativo disumanizzante: “Come sarà nata l’idea che gli uomini possano mettersi in contatto tra loro mediante lettere? A una creatura umana distante si può pensare e si può afferrare una creatura umana vicina, tutto il resto sorpassa le forze umane”. Pertanto, anche ogni bacio, semplicemente scritto, finirebbe con l’essere fagocitato dagli spettri; quei fantasmi che continuerebbero ad alimentarsi per mezzo di fattori mediati, che eliminano l’elemento del contatto reale.

Del resto, la comunicazione umana si compone di elementi metaverbali di natura tattile che si realizza nella stratificazione di forme polipercettive e pluridimensionali, che trasformano la semplice trasmissione delle informazioni in un profondo dialogo biunivoco destinato a fondare il suo senso profondo nella natura corporea (e interiore) dell’alterità.

Anche il medium digitale – in questi termini – alimenta il rischio di una moltiplicazione esponenziale di quegli spettri descritti da Kafka, e, dissimulando il mito della (apparente) trasparenza sinora vissuta come fine escatologico, può trasformarsi antiteticamente in enorme buco nero che attrae tutto in sé, anche la luce: ecco l’opacità si oppone alla trasparenza del digitale [2] . Dall’”altro” all’”uguale” il passo è breve e finisce per segnare, in termini involutivi, la parabola umana, in cui l’alienazione, superati gli schemi classici del conflitto sociale, si traduce in autosfruttamento. Dissolto il confine tra il Sé e l’Altro, seguendo lo schema freudiano [3], energie egoiche contribuiscono a una congestione narcisistica della libido che genera sentimenti di angoscia, senso di colpa e vuoto: la perdita del senso dell’alterità, cioè della percezione oggettuale della realtà (condizione che, in situazione di normalità, stabilizza l’io), genera quel sentimento di vuoto che è sintomo della depressione e del disturbo borderline di personalità. E’ per questo motivo che, in un’ottica di analisi della società, di fronte alla presa d’atto dell’inesorabile processo di destabilizzazione delle coscienze, Byung Chul Han finisce per concludere che questo costituisce l’esito consapevole della “perfida logica del neoliberismo…: l’angoscia aumenta la produttività” [4]. “Trasparenza e ipercomunicazione ci privano di ogni interiorità in grado di proteggerci. Certo rinunciamo a essa spontaneamente, e ci rimettiamo alla rete digitale che ci pervade, ci controlla e ci svuota. La sovraesposizione digitale genera un’angoscia latente, causata non tanto dalla negatività dell’Altro, quanto dall’eccesso di positività. L’inferno trasparente dell’Uguale non è privo di angoscia. Angosciosa è proprio la sempre crescente ubriacatura dell’Uguale” [5].

Ecco, dunque, il senso di fenomeni sociali diffusi che, dall’originario binge eating, si traducono – nel mondo digitalizzato –, secondo schemi sintesi dell’alienazione, in binge watching (intesa come smodata e incontrollata visione e fruizione del video), oppure, in IFS (Information Fatigue Syndrome) – o affaticamento informativo – indotto da una sovraesposizione di informazioni, in cui chi ne è affetto lamenta paralisi della capacità di analisi, disturbi dell’attenzione, incapacità di assunzione di responsabilità. In misura non meno patologica, la progressiva pervasività della comunicazione digitale (che si caratterizza per il carattere “simmetrico” della comunicazione, per il quale chi è parte della stessa non si limita a consumare informazioni, ma le produce) si traduce in shitshorm, termine con il quale viene indicato il fenomeno di discussione massiva in rete con linguaggio connotato in termini negativi e violenti, o, nella migliore delle ipotesi, prende la forma di smart mobs (aggregazioni spontanee, per lo più con fine critico e di protesta, che si caratterizzano per la liquidità dell’iniziativa). In breve, l’apparente assenza di distanza assume la sembianza di un reflusso (spesso anche violento, frutto della mancanza di dialogo – come nella shitshorm – o della incapacità riflessiva indotta dalla mera indignazione non strutturata – smart mobs – priva di metodo e organicità). Ancora una volta gli “spettri”, opaci e antagonisti della trasparenza, fanno capolino, con la loro contraddittoria opacità (uno spettro dovrebbe essere anch’esso trasparente, ma nel nostro caso si frappone alla trasparenza e dunque diviene opaco) nella dark pool – transazione elettronica anonima di prodotti finanziari ad alta frequenza –, in cui l’alto rischio di volatilità e speculazione degli scambi (afferenti all’alternative trading system) trova la sua ragion d’essere nell’anonimato, senza rendere noti prezzi e volumi: in tal modo anche il flash crash – il repentino crollo dell’indice finisce con l’essere il risultato (di fatto accettato in nuce) della carenza di trasparenza.

Per tornare ai fantasmi kafkiani, anche l’Internet delle cose (Internet of Things, brevemente “IoT”), una nozione sinora poco conosciuta ai più (anche se ne siamo immersi) e destinata ad assumere un ruolo centrale nella vita quotidiana del prossimo decennio, produce nuovi spettri capaci di “assorbire” la comunicazione percettiva umana: le cose, un tempo mute, cominciano a parlare. La crescita è impressionante: dagli attuali 12 miliardi di dispositivi connessi, si schizzerà a 50 miliardi nel 2020. Non sono più i soli computer o gli smartphone a connettersi a internet, ma un novero crescente di “oggetti”: climatizzatori, elettrodomestici, termostati, apparecchiature elettromedicali, attrezzi fitness, televisori, telecamere di videosorveglianza o per il traffico, serrature, scaffali dei supermercati, sensori ambientali, strade e addirittura anche animali; ognuno con il proprio numero identificativo (UID) e un indirizzo IP; connessi via filo, oppure mediante wi-fi o bluetooth, o ancora per mezzo di sensori e sistemi di identificazione a radiofrequenza (RFID – Radio Frequency IDentification) e di comunicazione di prossimità (NFC – Near Filed Communication).

...completa la lettura a questo indirizzo web.

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