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Perché il futuro non ha bisogno di noi - Bill Joy

Perché il futuro non ha bisogno di noi - Bill Joy

22 Febbraio 2021 Redazione SoloTablet
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BIBLIOTECA TECNOLOGICA - Con i suoi scritti, il suo lavoro ma soprattutto le sue scelte Bill Joy, fondatore e anima scientifica di SUN Microsystem, è stato uno dei primi informatici statunitensi a mettere in guardia verso i potenziali abusi, effetti indesiderati e incidenti legati alle nuove tecnologie (non solo informatiche ma genetiche, tobotiche, nanotecnologiche, ecc.) w alla loro capacità di apprendere e autoreplicarsi. Inseguiti dall'idea di progresso tipica della fase attuale del capitalismo dimentichiamo quanto la specie umana, a causa della sua azione volontaria, sia diventata pericolosa per l'intero sistema ecologico.

Queste riflessioni condivise nel lontano anno 2000 continuano a avere una urgente attualità, per tutti coloro che vogliano riflettere criticamente, con responsbilità e Tecnoconsapevolezza sul ruolo della tecnologia nell'era attuale.

“Indipendentemente da chi sei, la maggior parte delle persone più intelligenti, lavorano per qualcun altro.” 

Nato a Detroit, Bill Joy ha conseguito il Bachelor of Science in ingegneria elettronica all'Università del Michigan e un master in Computer Science all' Università di Berkeley. Ha lavorato presso il Computer Systems Researh Group nello sviluppo della versione Berkeley di Unix (BSD), del compilatore del linguaggio Pascal e dei linguaggi shell Vi e Csh. 

Insieme a Vinod Khosla, Scott McNealy, e Andreas Bectholsheim, Joy è stato il fondatore di Sun Microsystems, una delle società che ha fatto la storia delle workstation e dei server Unix tra gli anni 1980 e 1990 e ha contribuito da protagonista al boom di Internet e allo sviluppo del Web. In SUN, Bill Joy ha contribuito alla ideazione e allo sviluppo di numerose tecnologie come il sistema operativo Solaris, il microprocessore con architettura SPARC e il linguaggio di programmazione Java. 

Lasciata SUN nel 2003 ha lavorato come partner di Menlo Park, una società di venture capital californiana focalizzata su investimenti per progetti di tecnologia verde. Oggi è membro del National Academy of Engineering, dell’ American Academy of Arts and Sciences, e dell’ Aspen Institute.

Bill Joy è famoso per avere scritto nel 2000 un articolo per la rivista Wired dal titolo Why the future doesn't need us. Un testo considerato da molti come l’espressione di una forma di neo-luddismo legato alla preoccupazione dei rischi derivanti dallo sviluppo tecnologico i ambiti scientifici quali la genetica, la robotica e la nanotecnologia. 

 

Il tema di fondo del testo è la visione di un mondo nel quale robot intelligenti saranno in grado di sostituirsi agli esseri umani nell’arco di pochi anni, determinando una dominazione sociale e intellettuale del genere umano. Evitando di prendere posizione sugli utilizzi positivi o negativi possibili delle nuove tecnologie, Bill Joy insiste sui rischi associati alle nuove tecnologie, derivanti anche dalla scarsa conoscenza e consapevolezza che chi le usa sembra avere. 

La preoccupazione di Bill Joy nasce da motivazioni etiche e dall’ansia derivante dalla consapevolezza del potere crescente ottenuto dalla tecnologia e dalla sua evoluzione che sembra rendere in prospettiva possibile la sostituzione dell’essere umano con macchine e robot o a fondere insieme. Motivazioni etiche e ansie sono strettamente legate alle sue attività di ricercator e inventore ma anche alle conversazioni e discussioni avute con altri protagonisti del mondo tecnologico come l’ideatore del concetto della Singolarità, Ray Kurzweil o John Searle, filosofo cognitivista, contrario all’idea che un robot possa essere dotato di coscienza. 

Alcune delle posizioni di neo-luddismo di Bill Joy sono nate dalla lettura dei libri di Kurzweil e dalla decisione di approfondirne le tesi esposte per facilitare una corretta comprensione dei pericoli a esse associati e delle probabilità che le previsioni collegate si possano avverare. Joy evidenzia la problematicità e complessità delle scelte che dovranno essere fatte nel caso in cui gli scienziati fossero in grado, in un futuro prossimo, di dare vita a macchine capaci di sostituire e fare meglio degli umani. 

Il problema è di tipo etico, verte su chi avrà la responsabilità e/o libertà di prendere decisioni e sulle conseguenti ricadute. Nel caso in cui tutto fosse delegato a una macchina ne consegue che l’uomo non avrà la possibilità di prevedere il suo comportamento e si troverà completamente alla sua mercè. L’autore non si preoccupa del fatto che la cessione del potere e del controllo alle macchine possa essere frutto di una decisione volontaria ma della pervasività e dell’evoluzione continua della tecnologia che ci avvolge, ci soddisfa e ci corteggia fino a farci scivolare felicemente ma inesorabilmente nelle sue braccia. 

Tecnologie sempre più complesse e macchine sempre più intelligenti possono essere capaci di produrre risultati migliori, più in fretta e in modo più efficace. Una capacità sufficiente a motivare una delega crescente alla tecnologia che rischia però di rendere gli umani meno intelligenti e le macchine così complesse da impedire, in futuro, qualsiasi intervento di controllo. 

L’articolo di Bill Joy tocca anche alcuni argomenti, molto caldi e al centro di numerose riflessioni in questi anni di crisi, come quello della perdita di posti di lavoro e della crescente disuguaglianza sociale. 

I grandi sistemi tecnologici saranno sempre più controllati da elite economiche, sociali e politiche che li useranno per controllare le masse. Un controllo che potrà avvenire anche attraverso la sparizione del lavoro e la sostituzione dei lavoratori umani con lavoratori robot (come ha fatto nel 2014 Amazon con l'introduzione di 10.000 robot nei suoi magazzini della logistica e con l'avvio della sperimentazione delle consegne a domiciolio tramite droni). Un potere immenso, nelle mani di pochi che potrebbe mettere a rischio alcuni dei capisaldi delle nostre società basate sulla libertà e la democrazia. Un potere che può essere allargato ad altri ambiti quali il controllo delle nascite (biologia e bio-genetica), la manipolazione della realtà (psicologia, media, informazione, sociologia) e medicina. 

L’ansia di Bill Joy è legata a un pessimismo di fondo sulla natura umana e sulla mancanza di fiducia che le elite possano optare per scenari diversi da quelli sopra descritti, trasformandosi in ‘pastori’ capaci di guidare il gregge-massa verso mondi migliori. Il suo pessimismo tiene conto anche della possibilità che queste elite riescano a usare il loro potere in modo da creare benefici per le masse risolvendo loro ogni problema contingente. 

Il timore in questo caso è che le masse in questione possano essere state in realtà geneticamente modificate e psicologicamente manipolate in un approccio ingegneristico finalizzato a rimuovere i loro bisogni o per sublimarli. Secondo Joy i membri di queste masse potranno essere sicuramente felici ma anche privati della loro libertà e “They will have been reduced to the status of domestic animals”. 

 

Bibliografia

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