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Internet: un terreno minato?

Internet: un terreno minato?

28 Febbraio 2014 Antonio Fiorella
Antonio Fiorella
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Se la sopraffazione è il motore della vita, l’inganno funge da lubrificante. Internet appare sempre più come un terreno minato, dove a fare passi falsi non esplodono ordigni capaci di far saltare in aria e dilaniare i corpi dei malcapitati che incautamente si sono avventurati in aree sconosciute, ma dove le implicazioni non sono meno pregne di conseguenze, i percorsi accidentati e le ricadute alquanto pericolose.

La lettura del secondo ebook di Carlo Mazzucchelli, Internet e nuove tecnologie: non tutto è quello che sembra, non fa che accentuare questa impressione che sempre più va delineandosi in palpabile convinzione.

Tra i passaggi che più colpiscono c’è quello dove viene riportato che quei filtri che il sistema-google utilizza per delineare il profilo del navigatore della rete, con modalità che non sono sotto il nostro controllo, possono difatti convogliare contenuti di bassa qualità.

Come dire che il sistema riduce gli spazi di esplorazione, è capace di somministrarci placebo invece di veri farmaci, che l’informazione viene adattata al nostro presunto profilo di utente al posto  di informazioni complesse, amare, contraddittorie.

Antonio: Carlo, nei giorni passati ho provato a scrivere alcune email in spagnolo usando il Kindle con la funzione vocabolario (ES) attivata. Essendo per me lo spagnolo una lingua che da poco inizio a scoprire, la ricerca mentale di parole adeguate per esprimere i concetti è un po’ lenta, e la costruzione delle frasi è fatta di molte pause. Mentre scrivo, il sistema mi suggerisce vocaboli, corregge errori, mi anticipa non solo i vocaboli giusti ma anche il nome proprio delle persone da me conosciute da includere nella frase che sto completando... In altre parole mi sono scoperto nell’atto di cercare di costruire le frasi attingendo alla gamma di vocaboli che il sistema a mano a mano mi forniva. Certamente erano frasi di circostanza, di convenevoli e saluti, ma tant’è.

Allora mi chiedo, ti chiedo, se mi accingessi a elaborare un testo per promuovere un’azione di lotta, dopo aver scritto in merito altri testi, a che punto il sistema comincerebbe a delineare un mio profilo di utente scomodo? Fra quanti anni sarà in grado di farlo? O è già realtà? D’ora in avanti ogni velleità rivoluzionaria sarà destinata a essere identificata in partenza? 

Carlo: Credo che la risposta sia facile. Il sistema, come lo chiami tu, è già in grado di costruire il profilo di ogni utente della rete e di farlo assemblando semplicemente i molti contenuti prodotti per cederli ad enti terzi per un loro uso futuro o di analizzare gli stessi contenuti per estrarne informazioni utili a qualificare il profilo come più o meno pericoloso.  I dati ci sono e sono sempre di più perché gli utenti della rete usano il media tecnologico in modo per lo più inconsapevole e fiducioso. Gli utenti si sono affidati mani e piedi alla tecnologia e sono i primi delatori di se stessi. Lo fanno mantenendo aggiornati i loro profili Facebook, usando la casella postale di Gmail o permettendo la violazione quotidiana della loro privacy. Ci sono anche i mezzi per farlo, perché Google, Facebook, Amazon, ecc. sono dotati di potenti strumenti che hanno sviluppato da anni algoritmi intelligenti finalizzati a soddisfare i nostri bisogni ma anche a raccogliere, analizzare, confrontare e usare le informazioni da noi prodotte in rete attraverso le nostre azioni online.

I nostri comportamenti vengono tracciati, i nostri spostamenti rilevati grazie ai dispositivi che usiamo per navigare i rete (sempre più smartphone e tablet), i nostri pensieri sorvegliati e registrati, la nostra privacy costantemente violata. Il problema più grave non è quanto la tecnologia riesce a fare ma l’uso che di essa e dei dati con essa raccolti le società tecnologiche fanno. I nostri dati vengono ceduti a società di brokeraggio che li usano per attività di marketing e commerciali ma anche a istituzioni e enti governativi che li usano per sorvegliarci e controllarci. In un libro recente scritto da Julia Angwin in difesa della privacy (Dragnet Nation) sono menzionate ben 200 realtà di brokeraggio dei dati. L’autrice racconta nel suo libro ciò che ha fatto per riuscire a nascondere le sue tracce digitali e nascondersi ai motori di ricerca.  Per farlo ha creato profili e identità molteplici, ha fatto ricorso a carte di credito e cellulari usa e getta, ha evitato i social network e abbandonato piattaforme e servizi che conservano i dati personali (ad esempio Google) in favore di servizi più sicuri come DuckDuckGo per le ricerche e Riseup per la posta. Un tentativo che sembra essere fallito se ancora oggi Julia Angwin dalla rete non è scomparsa….

Usare la rete a scopi rivoluzionari non credo sia oggi la scelta migliore. Non lo è neppure nella forma di rivoluzione della politica a cui stiamo assistendo in Italia con il Movimento 5 stelle. I sostenitori del movimento iscritti al Blog di Grillo sono oggi profilati e ‘schedati’ ancora più e meglio di quanto non faccia Google con i semplici naviganti della rete. Anche in questo caso il problema non nasce dalla piattaforma tecnologica ma dell’uso che se ne fa. I mezzi tecnologici e soprattutto i social media sono stati decantati da molti come strumenti che hanno reso possibile le rivoluzioni (???) arabe. I risultati come sappiamo sono stati molto contradditori, soprattutto quando Internet, web e social media sono stati usati anche dal potere che la rivoluzione voleva abbattere. A oggi non esiste alcuna prova che la mancanza di strumenti di comunicazione abbia impedito una rivoluzione (come ha fatto Mazzini senza Facebook? e Lenin?). E per dimostrare che i social media abbiano fatto la differenza in Egitto come in Tunisia, bisognerebbe dimostrare se, in assenza degli stessi, le suddette rivoluzioni non avrebbero potuto avvenire. Una dimostrazione pressoché impossibile!

Al tempo stesso va detto che le tecnologie dei social media hanno permesso l’adozione di nuove strategie di comunicazione e di organizzazione collettiva che si sono rivelate cruciali nel coinvolgere le masse in termini di diffondere rapidamente i messaggi della rivoluzione, di raggiungere moltitudini più ampie e distribuite geograficamente, di facilitare la comunicazione e il dialogo tra leader dei movimenti e cittadini, di velocizzare e semplificare le azioni di gruppo e la formazione di nuovi movimenti. Gli esempi della potenza dei nuovi media è stata dimostrata in vari casi ormai storici come la caduta del presidente delle filippine nel 2000, la vittoria di Zapatero in Spagna nel 2004 ecc.

Ciò che rimane sconosciuto e probabilmente lo sarà per sempre è l’uso che, delle informazioni raccolte in rete su ogni singolo protagonista della rivoluzione attivo su Internet, ha fatto e sta facendo il potere. Difficile sapere ad esempio quanto queste informazioni siano servite e servano al nuovo uomo forte egiziano per cancellare il movimento dei fratelli mussulmani o per mettere a tacere i veri protagonisti della rivoluzione egiziana. Quei numerosi ragazzi e ragazze, ‘technology savvy’ che hanno usato principalmente le tecnologie e i nuovi media per una vera e radicale rivoluzione finalizzata al cambiamento e che sono finiti in carcere, scappati all’estero o semplicemente messi nella condizione di non poter parlare, anche in rete!

Antonio: Ogni epoca, ogni popolo si contraddistingue per aver creato il proprio muro del pianto. Fatte le debite proporzioni, internet può essere visto come tale? Uno spazio non dissimile dallo storico Hide park speakers’ corner dei tempi andati non-digitali, dove i sudditi di sua maestà potevano sfogarsi, dove tutto poteva essere detto - tranne il vilipendio della corona britannica, ma comunque ogni discorso era pronunciato sotto lo sguardo degli agenti del potere? 

Carlo: Internet è da sempre percepito come spazio di libertà e di conversazione. E’ sufficiente abitare i luoghi sociali della rete come Facebook per farsi un’idea di come il mezzo tecnologico venga oggi usato dalla moltitudine. Si parla di tutto, lo si fa con frasi spezzettate e poco articolate, con pensieri veloci e neppure rielaborati in scrittura, e  con l’obiettivo di dare risposte concrete a bisogni e necessità che spesso attengono ai tratti della personalità di ognuno, ad esempio il bisogno di socialità e di rompere il proprio isolamento.

La libertà percepita della rete diventa uno specchietto per allodole capace di attrarre persone infelici, sole, rancorose, incapaci a tradurre pensieri e riflessioni in azioni politiche concrete, insofferenti verso tutto e tutti e che trovano negli strumenti della rete un mezzo perfetto per condividere i loro pensieri. Si tratta spesso di una comunicazione unidirezionale, pubblicata online a disposizione di tutti e non necessariamente destinata ad una audience selezionata o a raggiungere obiettivi concreti. Chi vuole ottenere risultati lo fa all’interno di reti sociali ristrette o comunità tematiche e di pratica con finalità e obiettivi condivisi e concreti.

Il fatto che ci sia modo di usare la rete in modo diverso, più consapevole e democratico, indica che sebbene ci sia qualcosa che non va nei nostri mezzi di informazione tecnologica, questa non è la fine di Internet. La rete e il web, ma anche i social network, sono strumenti molto duttili che possono essere facilmente modificati e adattati per poterli usare anche come strumenti di democrazia, di lotta politica, di nuovi comportamenti individuali e sociali e nuove politiche o normative governative (ad esempio leggi sulla privacy dei cittadini che impediscano l’abuso di  potere di realtà come Google). Il web è sempre stato un prodotto di chi lo frequenta. Le scelte di ogni cittadino della rete determinerà le sue caratteristiche future e non è detto che le visioni destinate a prevalere siano quelle prevalentemente commerciali e di potere delle aziende tecnologiche.

Come ha scritto Eli Pariser nel suo libro ‘Il filtro’, bisogna smettere di comportarsi da topi , andando alla ricerca di informazioni all’interno di spazi limitati o delimitati da altri. Bisogna smettere di fare più o meno le stesse cose che facciamo ogni giorno. Si può cambiare motore di ricerca, non è obbligatorio visitare sempre gli stessi siti web,  si possono allargare i propri interessi in direzioni diverse, si può coltivare e alimentare la curiosità, si può spostare costantemente l’attenzione oltre il limite delle cose che conosciamo allargando la nostra visione del mondo, si può infine puntare sulla scoperta casuale.

In sintesi non è obbligatorio andare all’Hyde Park Corner o al Muro del Pianto o sulla propria pagina del muro delle facce. I luoghi da visitare sono infiniti e di molti non si conosce neppure l’esistenza. E se Google non aiuta basta cambiare motore di ricerca o fare la ricerca su un dispositivo diverso da quello abituale.

 

Antonio: Mi sembra che abbiamo già citato l’episodio del Messico dove le autorità sanitarie furono allertate sulla possibilità di un’epidemia di febbre suina quando Google registrò un picco di collegamenti che indicavano i sintomi della malattia. Pensi che a livello individuale il Grande fratello si accorgerà se uno si ammala di Alzheimer ancora prima che lo scoprano i familiari e che lo accerti il proprio medico? 

Carlo: E’ recente la notizia che con una semplice analisi del sangue sarà possibile scoprire se si rimarrà vivi nei prossimi cinque anni. Quindi perché Google non potrebbe percepire che qualcosa non va nel modo con cui una persona articola le sue narrazioni online? Può farlo ogniqualvolta una persona fa un ricerca con un riferimento all’Alzheimer come malattia in termini di sintomi (quali sono i sintomi dell’ Alzheimer?), di cure (esistono cure per l’ Alzheimer?), di effetti sulle persone, ecc. Potrebbe anche segnalare ai parenti cosa sta succedendo ai loro cari se ne fosse stato autorizzato, così come oggi altri strumenti tecnologici segnalano le ultime volontà di persone defunte indicando ai parenti e conoscenti dove recuperare i loro asset digitali lasciati in eredità. E potrebbe anche capitare che i parenti sappiano di avere in casa un potenziale malato di Alzheimer perché cominciano a ricevere proposte mediche e farmaceutiche da vaie fonti mai sollecitate o interpellate a farlo.

 

Antonio: Accenni a delle possibilità di difesa dal sistema Google & co, anche se a me sembra una lotta impari. Molti sono i passaggi dell’ebook che mi hanno colpito. Altro esempio rilevante sono i sistemi di identificazione e quindi controllo disseminati nei centri urbani, gli elettrodi che vengono introdotti nella corteccia cerebrale dei pazienti ammalati di Parkinson. Tutti aspetti di come le cose possono volgere al peggio. Mi piacerebbe che tu espandessi gli ambiti di difesa, residui, che abbiamo, se ce ne sono, se ne dobbiamo costruire di nuovi.

 

Carlo: Ho già accennato prima ad alcune strategie di difesa e di protezione, fondamentalmente finalizzate a fornire informazioni utili a confondere algoritmi e macchine tecnologiche. Non è detto che siano vincenti, soprattutto se si continua comunque a utilizzare la rete. La soluzione ‘finale’ è sicuramente la fuga ma allora bisognerebbe eliminare dalla propria vita molte cose tecnologicamente modificate: dispositivi mobili, personal computer, televisioni intelligenti e connesse, tecnologie indossabili come i nuovi orologi e occhiali intelligenti, sistemi GPS, automobili computerizzate e connesse, prodotti e/o vestiti taggati con processori RFID, frigoriferi e altri elettrodomestici capaci di interazione e comunicazione, ecc. ecc. Una missione impossibile a meno di trasformarsi in nuovi Robison Crusoe, alla ricerca delle poche isole rimaste non ancora connesse da un Wi-Fi o non ancora coperte da sistemi satellitari GPS.

La scelta della fuga non è fattibile ma neppure proponibile. Le nuove tecnologie stanno offrendo innumerevoli opportunità, soprattutto in campo medico e biologico, nella ricerca scientifica e in numerosi altri ambiti di vita. Le nuove tecnologie stanno cambiando anche la formazione e la scuola come ho provato a raccontare nel mio e-book “Tablet a scuola: come la tecnologia cambia la didattica”. L’evoluzione tecnologica in corso non è interrompibile, non ci rimane che darle un ‘verso’ positivo e fare in modo che proceda nella stessa direzione in cui va la nostra vita di esseri umani. Dobbiamo puntare a massimizzarne benefici e vantaggi e accompagnare la tecnologia in modo che la sua evoluzione non ostacoli la democrazia, la libertà, la bellezza, il cambiamento, la solidarietà, la diversità e l’emergere del nuovo

 

Antonio: C’è un raggio d’azione oltre il quale non bisognerebbe andare? 

Carlo: Il raggio d’azione a cui fai riferimento è piuttosto ampio perché la tecnologia è elemento integrante di quasi tutti gli ambiti di vita. Mi limito a sottolineare un limite da non superare, quello della nostra libertà intesa come libera scelta e impulso inconscio, quasi animale a sfuggire costrizioni e controlli capaci di impedire l’emergere di scelte casuali, eventi non prevedibili, sviluppi non deterministici e creatività.

La nostra mente evolve continuamente grazie alle scelte che facciamo costantemente e ai modi che ci inventiamo per farle. Avere più scelte significa avere più opportunità e avere maggiori opportunità significa essere più liberi, un circolo virtuoso che dovremmo difendere e praticare costantemente. Il fatto che oggi abbiamo messo parte della nostra capacità di scelta all’interno di codice software, di algoritmi matematici e di logiche applicative che animano robot tecnologici e ambienti web, non significa che abbiamo delegato a loro la nostra libertà.

La nostra evoluzione avviene oggi unitamente a quella della tecnologia. Per proteggere il nostro libero arbitrio e la nostra libertà dobbiamo fare attenzione a delegare troppo alla tecnologia ma soprattutto, aumentando le opportunità di scelta e i loro attori, dobbiamo prestare grande attenzione alla possibilità di abusi, rischi potenziali ed errori

Alcune di queste tematiche sono state oggetto anche della riflessione che tu stesso hai fatto nel tuo ebook “Approdo della ricerca scientifica nella metafisica” quando accenni alle sfide che il genere umano ha nel gestire la propria capacità di incidere sul reale muovendosi all’interno di contesti culturali ‘tecnologicamente modificati’. Saranno toccate anche nel mio prossimo ebook sulla solitudine tecnologica, in uscita nel prossimo mese di marzo.

 

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