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La tecnologia è una caratteristica prettamente umana, da usare in modo costruttivo (Rocco Barbaro)

La tecnologia è una caratteristica prettamente umana, da usare in modo costruttivo (Rocco Barbaro)

29 Dicembre 2020 L'antropologo digitale
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Il dare senso alla vita è una cosa importante; bisognerebbe cambiare i paradigmi con i quali viviamo: crescita economica infinita, rincorsa al denaro… e dedicarsi maggiormente allo sviluppo della coscienza non dal punto di vista religioso, ma dal punto di vista antropologico. Sviluppare un umano più evoluto nel rapporto con gli altri e con il pianeta terra. La cosa veramente preoccupante è che allo sviluppo tecnologico sempre più veloce non ci sia un altrettanto interesse per la crescita della coscienza umana.

Lo scopo dell’antropologia è quello di rendere il mondo più sicuro per le differenze umane.” - Ruth Benedict.

 “Nonostante le illusioni diffuse dalle tecnologie della comunicazione (dalla televisione a internet) noi viviamo là dove viviamo.”– Marc Augè

L’era digitale ha cambiato il mondo, non poteva non cambiare l’antropologia. Interrogarsi antropologicamente significa oggi interrogarsi sulle relazioni tra esseri umani e macchine, sulle realtà online di Internet, delle sue piattaforme, sul ruolo crescente delle intelligenze artificiali e dei Big Data nella vita di ogni individuo e in ogni ambito esperienziale. Lo stanno facendo filosofi, sociologi ed etnologi.

Lo fanno anche antropologi, con varie metodologie e approcci di tecno-antropologia, etnografia digitale, cyber-antropologia e antropologia virtuale. Lo stanno facendo adottando strumenti digitali per condurre le loro ricerche, focalizzandosi sulla cybercultura dominante, sui memi, sulle pratiche, sugli stili di vita e sui comportamenti che sembrano determinare l’insorgere di una nuova tipologia di umano, cosmopolita, ibridato tecnologicamente e un po’ cyborg, un simbionte che richiede di essere descritto e le cui esperienze suggeriscono nuove tipologie di analisi etnografiche.

Viviamo tempi interessanti, molto tecnologici e per qualcuno alla fine dei tempi, ma pur sempre stimolanti e avvincenti. Le esperienze multiple che la tecnologia ci regala ci impedisce di riflettere in profondità su quanto essa stia trasformando la realtà, le persone che la abitano, i loro linguaggi, i contesti, i costumi e i loro aspetti simbolici, le storie, le tradizioni e i mutamenti bio-tecnologici.Tanti ambiti di riflessione che la pratica antropologica corrente ha fatto propri, proponendo interessanti punti di osservazione, analisi e interpretazioni. Di tutto questo abbiamo deciso di parlare con alcuni antropologi, con l’obiettivo di condividere una riflessione ampia e aperta e contribuire alla più ampia discussione in corso.


In questo articolo proponiamo l’intervista che Carlo Mazzucchelli  ha condotto con Rocco Barbaro, Sociologo, Antropologo, Scrittore, Videomaker

Buongiorno, può raccontarci qualcosa di lei, della sua attività attuale, del suo interesse per le nuove tecnologie e per una riflessione sull'era tecnologica che viviamo?

Sono un sociologo dell’educazione, con perfezionamenti in comunicazione, fondamenti di didattica e antropologia delle società complesse; ho un diploma di sceneggiatura e di regia, ho scritto film, girato piccoli film che sono stati premiati e realizzato dei documentari didattici. Sono un coach e un counselor. Ho scritto una tesina alla fine del perfezionamento in sociologia delle comunicazione, (1988) l’elettronica nel mondo delle immagini, dove affrontavo i cambiamenti che ci sarebbero stati nel cinema a causa dell’uso delle nuove tecnologie. Le previsioni si sono rilevate attendibili.

Attualmente, insieme ad un gruppo di ricercatori (INAPP) stiamo facendo un’indagine sui cambiamenti dei modelli di apprendimento con particolare attenzione all’apprendimento attivo e in relazione alle nuove tecnologie e al mondo digitale.

Non ho pregiudizi verso le nuove tecnologie, né sono un fanatico, anche se preferisco leggere i libri in formato cartaceo. Dirò una cosa che può sembrare strana, ma la tecnologia è una caratteristica prettamente umana, certo necessita di regole e bisogna usarla in modo costruttivo.   

Qual è il suo rapporto con le tecnologie e quale l’uso che ne fa nelle sue attività lavorative (antropologia digitale)?

In alcuni programmi considerati ad alto contenuto tecnologico, come il montaggio digitale, sono capace, mi capita di usare miro, mentimeter, mural, trello, cardflow.   

Come è cambiato l’ambito della sua attività nell’era digitale?

Per taluni aspetti è migliorata, per esempio tutti questi programmi di connessione per incontrare e confrontarsi con altre persone da casa (zoom, meet, webex, teams, skype…) fa risparmiare tempo per gli spostamenti e quindi c’è anche un vantaggio per limitare l’inquinamento e l’affollamento negli uffici e nella città.

La tecnologia ha cambiato mente e corpo, quest’ultimo trasformato da protesi e tecnologie indossabili, ma anche in termini simbolici fino alla sua negazione. La realtà si è fatta multipla, fatta di realtà virtuali e parallele, tanti nonluoghi (M. Augè) nei quali si vive un continuo presente (hic et nunc), spesso superficialmente, attraverso superfici di uno schermo, e in velocità. Ne deriva un affanno esistenziale fatto di solitudine, individuale e relazione, e di perdita di senso. Lei cosa ne pensa?

Penso che si dicevano cose simili quando è nato il cinema, la televisione, il computer etc. lo dice uno che legge e studia molto e usa molto poco le tecnologie. C’è un cambiamento antropologico dell’uomo, ma così è stato con la nascita della scrittura, la scoperta dell’orologio e probabilmente anche con la scoperta del fuoco e l’invenzione della ruota. Il dare senso alla vita è una cosa importante; bisognerebbe cambiare i paradigmi con i quali viviamo: crescita economica infinita, rincorsa al denaro… e dedicarsi maggiormente allo sviluppo della coscienza non dal punto di vista religioso, ma dal punto di vista antropologico. Sviluppare un umano più evoluto nel rapporto con gli altri e con il pianeta terra. La cosa veramente preoccupante è che allo sviluppo tecnologico sempre più veloce non ci sia un altrettanto interesse per la crescita della coscienza umana.   

 

Cosa serve oggi per alimentare una presa di coscienza sulla contemporaneità e una lettura critica delle nuove realtà digitali?

Credo che l’esercizio del senso critico sia alla base di una buona educazione, non solo nei riguardi delle nuove tecnologie, ma anche nei riguardi del cinema, della televisione, dei libri e nei riguardi di ciò che dicono i genitori. L’antagonismo ad una dittatura digitale è lo sviluppo di un essere umano che prova orrore verso le ingiustizie e le prevaricazioni; così come accadde quando iniziò ad indignarsi per i sacrifici umani e la schiavitù. Oggi le immagini di una lapidazione ci inorridiscono, nell’antichità eccitavano gli animi più rozzi. La vendetta fino al medioevo era la forma naturale di giustizia, oggi ci appare come una follia; andando più indietro, per l’uomo primitivo bastava nascondere i propri delitti per non averli commessi… quindi è fuorviante pensare ai bei tempi andati, ci sono sempre state guerre, torture e ingiustizie.

Che funzione ha in tutto questo l’antropologia? Ha senso una antropologia digitale?

Bisogna avere consapevolezza di un grande cambiamento, è necessario acquisire nuovi linguaggi; mi viene in mente un bellissimo quadro di Dalì: la nascita di un uomo nuovo: dove da un uovo gigante si vede uscire una mano umana… qualche volta un’immagine intensa dice molto di più di tanti discorsi. 

Viviamo tempi alla fine dei tempi, siamo testimoni di un salto paradigmatico verso scenari futuri imprevedibili, che per alcuni potrebbero essere distopici. La trasformazione in atto obbliga tutti a riflettere sul fenomeno della pervasività e dell’uso diffuso di strumenti tecnologici ma anche sui loro effetti. Qual è la sua visione dell’era tecnologica che viviamo e che tipo di riflessione dovrebbe, secondo lei, essere fatta, da parte di antropologi, filosofi e scienziati, ma anche di singole persone?

Secondo me i cambiamenti tecnologici ci sono sempre stati, perché l’uomo è un animale tecnologico; paradossalmente anche la forchetta e il coltello furono scoperte tecnologiche. La cosa diversa alla quale assistiamo è la velocità dei cambiamenti, nei riguardi dei quali l’uomo rimane disorientato. Siamo molto sviluppati tecnologicamente, ma con una coscienza poco evoluta, c’è molta ignoranza e inconsapevolezza. Non c’è stata la stessa evoluzione nell’essere umano dal punto di vista etico, del comportamento. Siamo presi dallo sgomitare, dall’apparire, dal rincorrere il denaro e cose futili. Non ci rendiamo conto del piacere di dare, di amare o semplicemente di collaborare. Se pensiamo che tutto questo dipende dalla tecnologia e l’ennesimo modo per spostare le responsabilità verso l’esterno e non voler prendere coscienza delle nostre parti in ombra. Si gli algoritmi possono diventare una forma di dittatura, ma possono anche liberare degli spazi di tempo da dedicare alla qualità delle vita e delle relazioni. L’uomo non è cresciuto interiormente attraverso l’avidità e il potere, è stato sensibilizzato dall’arte e dalla cultura: la musica, la poesia e le narrazioni.

 

Miliardi di persone sono oggi dotate di smartphone usati come protesi tecnologiche, di display magnetici capaci di restringere la visuale dell'occhio umano rendendola falsamente aumentata, di applicazioni in grado di regalare esperienze virtuali e parallele di tipo digitale. In questa realtà ciò che manca è una riflessione su quanto la tecnologia stia cambiando la vita delle persone (High Tech High Touch di Naisbitt) ma soprattutto su quali siano gli effetti e quali possano esserne le conseguenze.  Stanno cambiando i concetti stessi con cui analizziamo e cerchiamo di comprendere la realtà. La tecnologia non è più neutrale, sta riscrivendo il mondo intero e il cervello stesso delle persone. Come stanno cambiando secondo lei i concetti che usiamo per interagire e comprendere la realtà tecnologica?

C’è sempre stato un rapporto dialettico tra l’uomo e le scoperte tecnologiche, scientifiche e culturali, con ovvie ricadute sui suoi cambiamenti cognitivi e emotivi. Le mani dell’uomo, per alcuni popoli sono il proseguimento del cervello, esse hanno costruito tantissimi utensili e nel farlo hanno reso più complesso il sistema cognitivo. La tecnologia non è mai stata neutrale, la televisione non ha influenzato il sistema cognitivo e sociale? Ha persino cambiato la narrativa.

Quali strumenti interpretativi e mappe sono necessari per comprendere il nostro essere sempre più online (in Rete)?

Non bisogna sopravvalutarli, sono gli elettrodomestici della contemporaneità. Non sono loro che ci fanno essere migliori o peggiori come persone. Sull’uomo è molto più efficace una vera cultura, un sistema educativo efficace e un’istruzione diffusa. C’è poi un grande frainteso tra erudizione e cultura. L’erudizione è un divertente orpello salottiero… abbiamo molte persone erudite. La cultura serve per una sana trasformazione in senso migliorativo sia dal punto di vista individuale che sociale, vista la plasticità del cervello umano.

In che modo l’antropologia può oggi aiutare nel cogliere le nuove composizioni sociali (reti, comunità, tribù, gruppi, ecc.), nel cogliere le somiglianze e le differenze da esse emergenti, nell’interpretare le relazioni fattuali e quelle virtuali e come esse siano condizionate dal mezzo tecnologico?

Con una diffusa informazione sull’uso e le possibili conseguenze dell’abuso; ovviamente stimolando il senso critico e la capacità delle persone a ragionare con la propria testa. L’antropologia può aiutarci a convivere con l’ignoto in maniera proficua. La velocità dei cambiamenti necessita di umani in grado di gestire i cambiamenti e di capacità che ci aiutano a convivere con l’avventura e le trasformazioni, liberandoci dai pregiudizi e da verità precostituite. Umani capaci di accettare i dubbi e di saper proseguire nella ricerca di una maggiore conoscenza personale e sociale.

 

Ritiene anche lei che la tecnologia non sia più neutrale?

Non lo è mai stata. L’uomo pensa di essere libero di scegliere, ma i condizionamenti che riceve e ha ricevuto sono molti. L’uomo primitivo aveva un’identità di gruppo, la scoperta che poteva essere un individuo e stabilire relazioni valorizzando le differenze è arrivata molto tardi. Ancora oggi, in molti gruppi si fa fatica ad accettare la diversità di ciascuno; basti pensare alle organizzazioni criminali, al terrorismo o al fanatismo di alcune sette religiose etc. 

Secondo il filosofo francese Alain Badiou ciò che interessa il filosofo non è tanto quel che è (chi siamo!) ma quel che viene (il movimento è la verità delle società umane), anche in senso antropologico. Con lo sguardo rivolto alla tecnologia e alla sua evoluzione accelerata attuale, quali sono secondo lei i possibili scenari futuri che stanno emergendo e quale immagine del mondo futuro che verrà ci stanno anticipando?

L’essere umano è sempre cambiato in conseguenza di scoperte scientifiche e culturali, da alcuni punti di vista molto più che dall’attività politica. Si pensi ai cambiamenti che ha generato la nascita della scrittura, l’industria tipografica…

È difficile immaginare il futuro, se soli dieci anni fa avessimo avuto la possibilità

di vedere una moltitudine di persone per strada con la mascherina, avremmo pensato ad un attacco chimico e non a un invisibile virus. Credo e spero che i grandi cambiamenti saranno sui modelli economici, sociali e politici, perché sono inadeguati ad affrontare un mondo fatto di algoritmi, di big data e con sempre più inquinamento del pianeta.  

In che modo e quanto di questi scenari possono oggi essere svelati dall’antropologia?

Si riflette sempre con maggiore convinzione sull’economia circolare, la green economy e la cura dell’ambiente. L’antropologia potrebbe pensare a un etica che migliori la comunità e il modo di stare insieme, svelare come l’ossessione del potere nei rapporti umani non hai mai portato alla verità e al benessere; far comprendere che un pomodoro nato da una coltivazione intensiva non ha lo stesso sapore del pomodoro che ha avuto il tempo di maturare. Il tempo e gli spazi possono essere tra gli argomenti principali dell’antropologia. Essere padroni del proprio tempo, seguire il ritmo del proprio tempo, ci aiuta a riflettere ed essere autentici; altrimenti ci rimane solo il tempo della reazione…   

Quale ruolo può avere l’antropologia nel comprendere i fenomeni emergenti e quale contributo può dare per far emergere quelli non distopici?

Noi crediamo che la morale sia un prodotto metafisico, in un certo senso astratto, non è così, la morale è un prodotto necessario per lo sviluppo dell’essere comunitario, ha sempre avuto la funzione di migliorare l’essere ed in particolare l’essere sociale e le collettività. Abbiamo la necessità di nuove narrazioni a cui riferirci, di una nuova coscienza e di una maggiore conoscenza dell’essere umano.

È ancora valido l’approccio antropologico classico di osservazione (esterno, interno e viceversa) in contesti cosmologici nei quali tutto è cambiato, dominato più da ciò che scorre sullo schermo che nella vita reale, da relazioni virtuali piuttosto che da relazioni empatiche e fattuali?

L’antropologia ha avuto il pregio di essere un filo rosso delle scienze umane e sociali: non escludeva nulla e non cadeva nel fanatismo, proprio per questo approccio di osservazione interno/esterno dei costumi e delle consuetudini. Certo che necessita di cambiamenti, ma non credo deve perdere la sua natura di essere un punto di vista equilibrato e distante dai fanatismi ideologici. Oggi c’è bisogno di nuove regole sulla globalizzazione, sui guadagni finanziari e sull’uso corretto delle nuove tecnologie che hanno una pervasività nell’intero mondo.   

La rivoluzione tecnologica è sotterranea, continua, invisibile, intelligente. È fatta di componenti software miniaturizzati, agili e leggeri capaci di apprendere, di interagire, di integrarsi e di adattarsi come se fossero neuroni in cerca di nuove sinapsi. Questa rivoluzione sta cambiando le vite di tutti ma anche la loro percezione della realtà, la loro mente e il loro inconscio. Modificati come siamo dalla tecnologia, non ci rendiamo conto di avere indossato delle lenti con cui interpretiamo il mondo e interagiamo con esso. Lei cosa ne pensa?

Penso che bisogna prenderne coscienza, informare il più possibile, stimolare un solido senso critico e creare un sistema legislativo globale che regoli il massiccio uso delle nuove tecnologie, soprattutto per quanto riguarda l’uso dei dati e l’invasione nella vita privata dei cittadini.

Una delle studiose più attente al fenomeno della tecnologia è Sherry Turkle. Nei suoi libri Insieme ma soli e nell'ultimo La conversazione necessaria, la Turkle ha analizzato il fenomeno dei social network arrivando alla conclusione che, avendo sacrificato la conversazione umana alle tecnologie digitali,  il dialogo stia perdendo la sua forza e si stia perdendo la capacità di sopportare solitudine e inquietudini ma anche di concentrarsi, riflettere e operare per il proprio benessere psichico e cognitivo. Lei come guarda al fenomeno dei social network e alle pratiche, anche compulsive, che in essi si manifestano?

I social network non possono sostituire la relazione umana che sarà sempre qualitativamente superiore. Così come il sesso virtuale non può sostituire fare l’amore in presenza. I due mondi sono destinati a convivere, l’importante è conoscere le differenze, volendo semplificare: i social network hanno creato nuovi modi di relazionarsi e di comunicare, sono utili per le relazioni a distanza e per un rapido scambio di informazioni; per l’educazione dei figli è necessaria la presenza e il contatto fisico che è più adeguato ad esprimere le emozioni.

Cosa stiamo perdendo o guadagnando da una interazione umana con la realtà sempre più mediata da dispositivi tecnologici?

Stiamo guadagnando tempo, basti pensare che una volta le informazioni e le comunicazioni dall’altra parte del globo arrivavano dopo mesi, adesso le abbiamo in tempo reale; la stessa cosa si può dire degli spostamenti. Tutto questo ha creato una forte spinta all’accelerazione e alla velocità. Stiamo perdendo in profondità, l’accelerazione e la velocità sta facendo diventare tutto un po' un tormentone: funzionano gli slogan, le abbreviazioni il t.v.b., il consumo veloce, al posto dei miti ci sono le meteore…

L’era digitale suggerisce metodologie etnografiche appropriate. L’etnografia è un approccio multidisciplinare che interessa filosofi, sociologi, etologi, ecobiologi, ecc. In cosa differisce oggi una etnografia antropologica?

Mi sono dedicato maggiormente agli studi di antropologia delle società complesse, gli utensili e i materiali della modernità comunque rappresentano caratteristiche fondati l’essere umano.  

Che tipo di contributo critico può fornire, in termini di riflessioni, narrazioni e pratiche?

Il mondo digitale non ha i tempi della poesia e del romanzo. Per acquisire la tridimensionalità, le persone come i personaggi di un romanzo, hanno bisogno dello sviluppo di una trama e delle sotto-trame, i cambiamenti sono favoriti; ecco, la dittatura digitale è vicina alla bidimensionalità del fumetto: di facile lettura, tempi brevi e personaggi stereotipati. Anche i fumetti possono essere divertenti e interessanti, ma non bisogna dimenticare la bellezza e l’intensità di un grande romanzo.   

Vuole aggiungere altro per i lettori di Solo Tablet, ad esempio qualche suggerimento di lettura?

I libri di Yuval Noah Harari sono interessanti.

Vuole suggerire dei temi che potrebbero essere approfonditi in attività future?

Come migliorare la coscienza critica, l’uomo e il pianeta terra.

Cosa pensa del nostro progetto Solo Tablet? Ci piacerebbe avere dei suggerimenti per migliorarlo!

È un progetto interessante per leggere i cambiamenti in atto nella contemporaneità. Bisogna ascoltare una pluralità di punti di vista e poi trovare un’integrazione efficace.

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