Non ho letto il De rerum natura di Lucrezio se non a spizzichi e attraverso altri autori come Montaigne. L’anxius angor l’ho ritrovata nell’ultimo libro di Ivano Dionigi (L’apocalisse di Lucrezio), un autore che leggo sempre perché è fonte di gioia e di conoscenza. Il suo ultimo libro è ricco di pensiero umanistico, di richiami alla nostra storia e cultura occidentali, di segnali valoriali che invitano tutti a riflettere sulle cose e sulle parole che usiamo, alla necessità di conoscere, comprendere e sapere, con l’obiettivo di rimanere umani, rinunciando alle spinte prometeiche a cui la tecnica ci sottopone quotidianamente, per abbracciare la visione d’insieme, il dubbio e il dialogo socratico.
⛰️⛰️⛰️𝕌𝕟’𝕖𝕤𝕥𝕒𝕥𝕖 𝕒𝕝 𝕞𝕒𝕣𝕖? 𝔽𝕠𝕣𝕤𝕖 𝕞𝕖𝕘𝕝𝕚𝕠 𝕝𝕒 𝕞𝕠𝕟𝕥𝕒𝕘𝕟𝕒!
Di bisogno di un umanesimo ripensato e rinnovato, della necessità di tornare ad esercitare pratiche umaniste e di pensiero umanistico ho parlato nel mio libro NOSTROVERSO – Pratiche umaniste per resistere al Metaverso (https://lnkd.in/dtHseXCe). Leggendo il libro di Dionigi, a pagina 162, sono incappato in un aneddoto ripreso da Michel Serres, che forse riassume in poche righe quello che io ho espresso in pagine.
“Per la ricostruzione della diga di Assuan fu costituito un comitato composto di ingegneri idraulici, costruttori edili, tecnici dei materiali ed ecologisti. Intervistato da un giornalista, il filosofo domandò meravigliato perché non ne facessero parte anche un filosofo e un egittologo. Stupito del suo stupore, il giornalista gli chiese: “A cosa sarebbe servito un filosofo in un comitato di questo tipo? Serres rispose: “Avrebbe notato l’assenza di un egittologo”.
Conclude Dionigi: “E’ il pensiero umanistico la struttura dura, l’hardware che fa girare i programi di saperi specifici. Tutto il resto è software”.