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🌗🌘🌑🌒 Non ci sono scappatoie

🌗🌘🌑🌒 Non ci sono scappatoie

01 Maggio 2020 Carlo Mazzucchelli
Carlo Mazzucchelli
Carlo Mazzucchelli
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Foto di un viaggio in Kamchatka usate per commentare una riflessione sul bisogno di un sano realismo. La lettura può essere stimolante, le immagini spettacolari e uniche. Un modo per suggerire cosa fare appena il confinamento sarà terminato: mettersi in viaggio, viaggiare, abitare altri mondi, non più solo con la mente ma poggiando i nostri piedi per terra, su altri suoli e in compagnia di altre persone!

In bocca al lupo per i viaggi futuri!

La speranza può anche essere insensata, l’azione necessaria, ma cosa fare nell’incertezza e nella paura? Inutile illudersi, la fuga dal coronavirus (metafora delle crisi del terzo millennio) non ammette scorciatoie, né scappatoie. Forse le scorciatoie sono pure illusioni da tempo, anche se ci raccontiamo felicitariamente che esistono e sono percorribili. Meglio mettersi il cuore in pace, nessuna certezza di test di massa, nessuna cura certa per i trattamenti da Covid-19 prima dell’arrivo del vaccino, nessuna immunità di gregge, in poche parole nessuna via di uscita facile che possa tranquillizzarci. Per evitare di essere catalogati come pessimisti (🙈🙈🙊 Collasso), meglio dichiararsi da subito realisti. Unico modo per prepararsi a tempi difficili, oscuri, pieni di incertezza, inquietudine e precarietà.

Una sola scorciatoia è possibile

L’unica scorciatoia possibile passa per una riflessione approfondita su sé stessi, su dove siamo arrivati, sul come, sugli effetti che ne sono derivati e su cosa possiamo (ognuno di noi) fare per andare avanti, costruendo scenari futuri possibili, non distopici, sostenibili e, perché no, anche un po' u(e)topici. La riflessione può facilitare la consapevolezza che la cura da trovare non è quella al coronavirus, ma su cosa fare di noi stessi, per il nostro pianeta e la nostra civiltà umana, bulimica di risorse, di progresso, di consumi, di tutto! (🌒 La civiltà del vento al tempo del coronavirus)

Di questi tempi tutti o quasi si sono esposti a un surplus informativo che ha generato un surplus cognitivo non necessariamente positivo. Nessuno ha probabilmente saputo resistere a qualsiasi pezzo di informazione o notizia relativa al coronavirus e relativi concetti e analogie: Covid-19, contagio, pandemia, lockdown, confinamento sociale, ecc. (🙆🏽‍♂️ Recinti aperti 1: crisi di astinenza). L’attenzione è stata rivolta in particolare a ogni tipo di segnale contenente promesse, speranze e indicazioni sul rapido superamento della crisi. Come se scavallarla fosse la soluzione a tutti i problemi e alla crisi più ampia che contiene la pandemia. Tutti in cerca di storie, racconti e narrazioni positive. Poco importa se solo consolatorie o ingannevoli!

Una ricerca continua

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La ricerca continua è comprensibile, probabilmente psichicamente utile e necessaria. Inutile praticarla sposando la causa dell’ottimismo o del pessimismo (👩‍🚒️ Il grande sonno). Meglio aderire a un sano realismo fattuale: i contagiati sono molti di più dei numeri distribuiti e comunicati (Ci stanno raccontando storie! Non ci trattano da cittadini adulti. Perché? E se non ci fossero alternative?); i tamponi continueranno a rimanere un mistero 'politico' (più tamponi fatti a quelli che stanno guarendo e meno a quelli per contagiati in casa); non esistono al momento cure in grado di garantire un trattamento certo del virus; il vaccino non arriverà tra noi molto presto (almeno ora sappiamo da uno studio pubblicato su Nature che sviluppiamo anticorpi); il vero contagio, il più pericoloso è quello economico, poi quello psichico; il dopo non sarà più come prima (️👩‍🚒️ Preferiamo non vedere), essendo non un semplice dopo ma la semplice emergenza di un percorso fin qui fatto in anni di percorsi su sentieri già tracciati, fatti di celebrazione del progresso, della globalizzazione e del dominio dell’uomo sulla terra.

Adottare un sano realismo può portare a maggiore tristezza ma anche a comprendere che con la realtà bisogna convivere e negoziare (️👩‍🚒️ La realtà mi fa male lo so!). Come ha scritto il filosofo Maurizio Ferraris, il reale si [può interpretare, manipolare, può essere usato per alimentare narrazioni ma lui resisterà e non evaporerà facilmente]. Abituati a pensare che la realtà fosse diventata liquida ci stiamo misurando con la solidità invisibile, vischiosa, catarrosa, di una realtà contagiata e contagiosa che ha costruito intorno a noi mura invalicabili, caverne platoniche e prigioni panottiche varie, anche digitali (🙆🏽‍♂️ Recinti aperti 5: la depressione). Solidi sono i mutui e gli affitti da pagare, solidi sono i crolli borsistici e l’inabissamento dei conti correnti, solida è anche l’impossibilità di recuperare mascherine, solido è anche il loro prezzo non calmierato.

Il mondo non è una favola e può diventare un incubo

Stiamo realizzando che il mondo non è una favola e può diventare un incubo. Percepiamo che è tempo di cambiare la nostra vita, di trasformarla (Breve è la vita che viviamo davvero, tutto il resto è tempo). Realmente, in profondità, con il proprio modo di essere e di vivere, non come obiettivo da raggiungere attraverso cambiamenti rivoluzionari fumosi che mirano a cambiare il mondo. Anche perché il Covid-19 potrebbe non lasciarci il tempo necessario!

La consapevolezza non è di tutti, sicuramente non della massa né delle moltitudini. Dopo anni di esperienze ludiche dentro grandi fratelli, talk show, social networking e storytelling, folle di persone hanno vissuto inconsciamente la realtà come un reality (Italia(ni) viv(a)i raccontandosi storie!). Oggi anche queste persone sono chiamate a confrontarsi con la dura realtà, a modificare abitudini (dure a morire) e comportamenti, pratiche quotidiane e di vita, modi di pensare e di programmazione del futuro.

La (tecno)consapevolezza che ci serve

Confrontarsi con la realtà significa assumere una nuova consapevolezza del tempo presente che caratterizza la società tecnologica. Con i suoi dispositivi ci ha regalato la convinzione di avere il mondo nelle nostre mani, in realtà siamo al suo servizio, completamente trasparenti e complici delle sue piattaforme e persino delle sue imposizioni (algoritmi, proprietari delle piattaforme, ecc.). Il presente senza tempo e binario della tecnologia è negativo, non libera dal tumulto di passioni (ansia, rabbia, tristezza, ecc.) passate e future.

Lo stare a casa ha offerto un’occasione unica a tutti. L’opportunità di apprezzare il valore del tempo, di ogni sua frazione o attimo. L’occasione di usarlo per prendere coscienza di sé stessi assumendo ed elaborando la consapevolezza che nasce dalla conoscenza, dalle relazioni e dalle buone pratiche, che permette di trovare e dare nuovo senso alla propria vita. Conoscenza e consapevolezza non sono sempre facili da sperimentare e portano sempre con sé un prezzo da pagare. Al tempo del coronavirus a esempio possono far aumentare disorientamento, sfiducia e disistima in sé stessi, paura per il futuro e di non farcela. In particolare se il momento non è solo di crisi esistenziale ma anche materiale, determinata dalla precarietà lavorativa, dal calo o dalla sparizione di un reddito certo, dall’incertezza del futuro.

Vivere è diverso da raccontare di farlo. Anche quando lo si fa online. Lo stare a casa per molti di coloro che vivono nelle realtà parallele della tecnologia è stata l’occasione perfetta per raccontare e diffondere le loro narrazioni dell’esperienza che stavano vivendo. Una buona pratica utile per alimentare e coltivare le relazioni, per condividere con altri le proprie sensazioni e riflessioni, ma senza sbocchi concreti se dalla narrazione non si passa all’azione. Raccontare quanto sia importante il cambiamento non produce il cambiamento. Per realizzarlo bisogna fare in modo che le cose accadano, che diventino concrete, reali. Un primo passo per ottenere questo risultato è usare la scrittura e le narrazioni non per descrivere le cose ma il cambiamento di sui spesso sono esse stesse portatrici.

Il percorso verso il cambiamento

Vivere e raccontare possono viaggiare insieme, sono complementari. La vita stessa è una narrazione che si dipana autonomamente fino alla sua morte. Noi possiamo vivere la vita dando forma e modellando in continuazione il nostro sé ma il controllo finale è in mano alla vita che comprende come corollario inevitabile la morte. La trasformazione passa per la capacità di riconoscere che cosa sia reale e cosa non lo è, quale narrazione sia veritiera e quale non lo è, che non basta interpretare le cose ma bisogna cambiarle. Passa facendo delle scelte e agendo, pur nella difficoltà sempre presente nel muoversi dentro una realtà continuamente e abilmente manipolata. Riprendere il contatto con la realtà, accettarla per quella che è, può essere il modo più adeguato per trasformarla in un “terreno concreo di analisi e di trasformazione” (M. Ferraris). Proprio ciò di cui, credo, abbiamo oggi bisogno. Poi verranno le interpretazioni, le narrazioni e le azioni che aiuteranno a trovare le risposte concrete, fatte di maggiore verità e realtà (realismo), ai problemi oggettivi della crisi economica, lavorativa, culturale e sociale.

Fotografia di un amico e compagno di viaggio in Kamchatka: Giovanni Ripamonti

La foto è di Giovanni Ripamonti, compagno di viaggio e amico.

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