Tecnologia e dialogo socratico /

La Filosofia non si occupa di diagnosi e cura.

La Filosofia non si occupa di diagnosi e cura.

13 Aprile 2021 Il consulente filosofico
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Può la Filosofia entrare in azienda? Certo, con la specifica che il wellness lo lasciamo volentieri agli altri. Se qualcuno vuole fare Yoga lo faccia, semplicemente la Filosofia non ha nulla a che spartire. Il manager, il dirigente d'azienda, ha sicuramente bisogno della Filosofia, e probabilmente bisogno di una Consulenza che lo sappia guidare, ma come uomo, non come manager o dirigente d'azienda.

Consulenza filosofica e dialogo socratico nell’era tecnologica

 “La tecnica è la magica danza che il mondo contemporaneo balla!” – Ernst Junger -  “Da me non hanno imparato nulla, bensì proprio e solo da sé stessi molte cose e belle hanno trovato e generato; ma d'averli aiutati a generare, questo sì, il merito spetta al dio e a me.” - Socrate (Teeteto)

L’era tecnologica e digitale suggerisce leadership riflessive, dialoganti, capaci di interpretare le categorie dell’efficienza organizzativa, delle capacità individuali e dell’efficacia alla luce della rivoluzione tecnologica e nell’ottica delle persone.

Internet, smartphone, piattaforme social hanno trasformato ogni attività online in conversazioni, spesso caratterizzate dalla superficialità dell’interazione e dalla brutalità del linguaggio. Conversare però non è dialogare. Dialogo significa parlare attraverso, con il desiderio di trovare un punto in comune. Il dialogo è anche mettersi nei panni degli altri, non è un semplice scambio di opinioni, neppure una discussione dialettica finalizzata ad avere ragione. Si basa sull’ascolto dell’altro, sulla capacità di catturare l’attenzione reciproca e sull’ottenimento di un consenso generale. 

Il dialogo oggi è anche strumento della pratica filosofica che il consulente filosofico utilizza con persone che vivono l’era digitale attuale con incertezza, disagio, ansia, stanchezza e insoddisfazione. Il dialogo serve a porsi domande, a guardare alla realtà in modo diverso, a superare schemi fissi e i paradigmi che li sostengono, bias di conferma, per andare alla ricerca di nuove strade. Il dialogo è importante, fondamentale, per superare i conflitti e nella consulenza filosofica diventa cura e prendersi cura. Di dialogo, consulenza filosofica, era tecnologica, leadership e organizzazioni abbiamo deciso di parlare, in forma di intervista, con manager d’azienda, consulenti filosofici, leader di mercato e studiosi.  


 

L’intervista è condotta da Carlo Mazzucchelli (fondatore di www.solotablet.it e scrittore) e Maria Giovanna Farina (filosofa, Consulente filosofico e scrittrice) con Mauro Cascio, filosofo, consulente filosofico, autore e curatore di decine di saggi per importanti case editrici italiane (Mimesis, Rubbettino, Bonanno). Infaticabile conferenziere e tiene corsi-percorsi di approfondimento individuali e di gruppo. Al suo ultimo libro «Davanti alla fine del mondo» si è ispirato il cantautore Roberto Kunstler (la firma di tutte le canzoni di Sergio Cammaneriere) per il suo ultimo omonimo lavoro

 

Si dice che Internet sia Conversazione (The Clutrain Manifesto). Il mondo interconnesso globalizzato dalla tecnologia ne è una testimonianza palese. Dispositivi, applicazioni e piattaforme facilitano interazioni, conversazioni, colloqui. È come se tutti stessimo dialogando. In realtà la pratica del dialogo (διά- λογος - attraverso le parole) online è la grande assente, sia nelle interazioni personali sia in quelle lavorative e professionali. Si legge poco e superficialmente, non si presta attenzione, la concentrazione è scarsa, prevalgono l’urlo e la brutalità del linguaggio, si praticano la promozione e la vendita (anche di sé stessi) più che la persuasione. Lei cosa ne pensa? Come vede il dialogare online, anche filosofico? In che modo si potrebbe alimentarlo e coltivarlo? 

«Credo che i social esasperino patologie che ci portiamo appresso dalla nostra società. I Social, Internet sono in sé neutri. Né buoni, né cattivi. Può esser fatto un uso molto intelligente della tecnologia oppure usare queste nuove forme di espressività senza criterio. Certo, i social ci costringono a fare i conti con una realtà che c'è sempre stata ma che trovava difficoltà a manifestarsi. Una volta bisognava portarsi il pennarello in bagno, alla stazione, all'università, e lì si poteva dar sfogo alla brutalità del linguaggio come dice lei. Adesso la brutalità rimane. Solo che non c'è più bisogno di scrivere in quelli che all'epoca erano i luoghi deputati. Sono cambiati i modi, ma il degrado culturale è lo stesso. Lei mi dirà: sì, ma siamo peggiorati. Non è detto. Non c'è una unità di misura per l'imbecillità di un'epoca. Ieri semplicemente non ce ne accorgevamo. Bastava per esempio non frequentare i bagni pubblici. Oggi i luoghi di aggregazione hanno fatto di ogni relazione un bagno dove tutti scriviamo indecenze, ma anche la stanchezza di vivere, che ne so, l'insofferenza per il Governo. È come se Facebook ci avesse dato dei pennarelli. Così anche chi non li ha mai usati ha cominciato a farlo». 

Saper dialogare non è importante solo online. Lo è nella vita, nelle aziende, nelle organizzazioni e nella società. Il dialogo serve a migliorare la capacità di formulare pensieri, a coltivare la capacità e la sensibilità di ascolto, a andare in maggiore profondità, a praticare il pragmatismo della comunicazione e a conoscere meglio sé stessi e gli altri. Il dialogo serve a togliere la maschera alle cose e alle persone, a aprire nuove possibilità di conoscenza (anche del Sé), di consapevolezza e di relazione. Quanto conta secondo lei il dialogo nelle pratiche quotidiane? Quanto importante ritiene che esso sia in aziende e organizzazioni nella fase attuale di trasformazione digitale, di smartworking e didattica a distanza, e di conversazioni online? 

«Il dialogo presuppone due cose. Intanto che ci sia almeno una persona che abbia qualcosa di interessante da dire. Certo, se poi tutti portano in un dialogo argomenti intelligenti è una cosa fantastica. Poi dobbiamo presumere che ci sia una certa predisposizione all'ascolto, una generica 'attenzione' chiamiamola così. Così il dialogo può veicolare contenuti importanti. Allora sì che il Sapiente, ce la perdoniamo questa espressione, riesce a guidare una conversazione, perché saprà stimolare percorsi di autochiarificazione. Non è detto che in un dialogo non siano tutti i partecipanti a dare ed avere. Il dialogo non necessariamente è regolato e simmetrico».  

Socrate è il primo filosofo della filosofia occidentale a occuparsi dell'interiorità. Considerato il più sapiente di Grecia dall'oracolo di Delfi ha ideato il dialogo come strumento di ricerca interiore. La sua arte maieutica capace di far partorire le menti era improntata sull'ironia. Maieutica e ironia, due strumenti capaci di mettere in scacco l'interlocutore per far elaborare gli stereotipi. Il dialogo socratico è utile a dirigenti d’azienda, manager, professionisti ma anche a chiunque voglia acquisire la conoscenza di sé. Nella sua pratica professionale e/o di consulente filosofico cosa pensa del dialogo socratico? Può avere un ruolo terapeutico? Diverso e/o migliore di terapie psicologiche e altre pratiche finalizzate al benessere personale? In che modo lo usa, adattandolo, nelle sue attività? 

«Guardi, io penso che la Filosofia, e anche la Consulenza filosofica, più si allontana da certe forme di counseling e meglio è per tutti. Ringraziamo Achenbach, Lou Marinoff per le loro brillanti intuizioni ma è arrivato il momento di congedarli. La Filosofia non è la figlia minore della Psicologia. La Filosofia è la risposta importante a domande importanti. Non è un sapere scolastico buttato lì a rendere più prestigiosa una pratica pseudopsicologica. La Filosofia non si occupa di diagnosi e cura. Tutto il suo Sviluppo, da Platone ad Hegel, serve a dare chiarificazioni importanti in ambiti in cui la Psicologia non è di casa e non ha niente da dire. Il senso ultimo delle cose, l'uomo davanti alla morte. Ma anche più semplicemente una certa 'sistematicità' del nostro pensare. Cioè: mettere ordine ai pensieri. Lei dice: può la Filosofia entrare in azienda? Certo, con la specifica che il wellness lo lasciamo volentieri agli altri. Se qualcuno vuole fare Yoga lo faccia, semplicemente la Filosofia non ha nulla a che spartire. Il manager, il dirigente d'azienda, ha sicuramente bisogno della Filosofia, e probabilmente bisogno di una Consulenza che lo sappia guidare, ma come uomo, non come manager o dirigente d'azienda. Un imprenditore non ha bisogno di me per conoscere Adriano Olivetti. Se lo può approfondire da solo. Un imprenditore ha bisogno di me se, come me, vuole dare un significato a quel che quotidianamente vive, in tutti i suoi aspetti». 

 

Molti consulenti filosofici che hanno preso a modello Socrate e non solo, fanno della formazione lo strumento e la chiave delle loro pratiche filosofiche. Ma il filosofo non è un insegnante, neppure un educatore, semmai un maestro come lo è stato Socrate, sempre alla ricerca di conoscenza, anche del sé, di nuove mappe della realtà e di nuove verità. Il maestro non ha alunni, studenti o allievi ma discepoli. La ricerca, che parte dal non sapere, non va confusa con l’educare che si basa sulla trasmissione di un sapere acquisito e consolidato. Mentre l’educazione trasferisce cose e concetti già pronti, idee già masticate e digerite, la ricerca serve a creare cose nuove, a partire da nuove idee e nuove concettualizzazioni del mondo, Da consulente filosofico lei cosa pensa? Si sente filosofo, educatore, maestro, ricercatore? Che importanza ha per lei continuare a fare ricerca e che importanza ha nella pratica filosofica da consulente? 

«La Filosofia è Ricerca, è studio. Non è che con la Laurea o con i Master sia sceso da cielo un particolare Spirito che ci ha resi superiori agli altri. Siamo superiori agli altri perché abbiamo due millenni e mezzi di tradizione filosofica alle spalle, e soprattutto perché non abbiamo mai smesso di studiare. Poi, certo, c'è il discorso di come render pratico il proprio sapere. Anche fare il professore è una forma di pratica, di condivisione del proprio sapere. Anche fare il saggista, o il curatore di classici. Si concorre a divulgare. Capita anche con gli incontri, le presentazioni, le conferenze. Tutto un mondo ancora classico, che c'è sempre stato, anche prima dei caffè filosofici o di modi più friendly per fare incontrare il grande pubblico e le letture che contano. Perché da questo bisogna partire: che quelle mappe della realtà di nuove verità sono disegnate da buone letture e a quelle buone letture bisogna accompagnare. Ci sono piccoli sentieri di pianura, e ci sono mulattiere faticosissime da percorrere che però portano in alto. A questo servono i corsi- percorsi che un filosofo può proporre a chi lo segue. È quanto faccio io. Il viaggio non ha un inizio, o una fine. Faccio corsi, condivido libri. E questo percorso ha l'obiettivo di rendere la realtà più chiara, ha l'obiettivo di leggere criticamente fatti ed eventi, di strutturare le proprie posizioni economiche o politiche. Perché quel che conta in Filosofia è viaggiare. I traguardi verranno da sè. E non li abbiamo magari nemmeno cercati.». 

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Molti filosofi, consulenti con formazione umanistica si stanno oggi cimentando nella consulenza filosofica. Con quali risultati è difficile dirlo, soprattutto perché diversi sono gli approcci e le metodologie adottate e proposte. Secondo lei esiste un unico metodo universale per la consulenza filosofica o ne esistono diversi? Qual è quello da lei adottato e/o quale considera il più adeguato in una realtà mediata e ibridata tecnologicamente? Una realtà accelerata, caratterizzata dal costante cambiamento, che obbliga a cambiare modi di pensare e paradigmi, a aprire la mente e a elaborare pensiero critico.  Una realtà che obbliga aziende e persone a cambiare ma che non hanno necessariamente pensato che una consulenza filosofica potrebbe fornire loro la giusta soluzione. 

«Ce ne sono anche troppi. E molti non sono validi. Non ho, ripeto, grande considerazione per un counseling il cui aggettivo, filosofico, è messo lì un po' a caso, un po' per nobilitare. Io credo che non si possa pensare a una Consulenza filosofica senza i filosofi. Senza banalizzarli, come spesso avviene, senza ridurli a formulette aforistiche da applicare. Giusto fare filosofia pop, ma giusto saperla fare con intelligenza. Non siamo qui per intrattenere o per andare dietro una moda o a un gusto. La tecnologia c'entra poco. Io sono un tecnologico. Uso strumenti tecnologici. So quando spegnere tutto. Posso utilizzare gli strumenti, che non a caso sono 'strumenti' per i miei fini immediati. Ma non sacrifico lo studio, la riflessione, il dialogo, la lezione. La tecnologia aiuta. Senza Zoom oggi come farei a propormi come chiarificatore a Milano o a Palermo?». 

 

Prima della consulenza filosofica c’è la filosofia e l’essere filosofo. La filosofia fa parte della vita di ogni consulente filosofico. Cosa significa per lei filosofare? Come è arrivato/a fare il consulente filosofico, con quali motivazioni e attraverso quale percorso? Cosa è per lei la consulenza filosofica? Non le sembra strano che proprio mentre la filosofia sta attraversando un periodo problematico nelle scuole e nelle università, sia diventata strumento e pratica rilevante all’interno di numerose aziende e organizzazioni (in Italia forse meno che in altri paesi)? 

«Grazie al cielo la Filosofia viene insegnata a scuola. Il giorno che verrà fatta accomodare fuori dalla aule scolastiche, rischiamo di chiuder baracca. La scuola, l'Università, sono le trincee ultime. Non ho il polso della situazione che lei mi disegna. Mi occupo di editoria e la situazione è seria, ma alla tragedia siamo preparati da tempo. Adesso ci tocca la farsa. Io ho cominciato come tutti. Studiando Filosofia al Liceo. Innamorato della Metafisica di Aristotele dalla prima lettura. Da quel giorno il mondo si è diviso in due: chi aveva letto il libro lambda e chi no. Poi all'università mi sono innamorato di Hegel e il resto è cronaca». 

Ciò che la consulenza filosofica offre non sono risposte e domande poste mille volte ma la ricerca della domanda giusta, capace di cambiare la prospettiva alla radice sul problema preso in considerazione. In un ‘epoca accelerata dalla tecnologia, la consulenza filosofica suggerisce di rallentare, fermarsi, tacere e isolarsi dal brusio digitale di fondo, per riflettere e impegnarsi in un percorso di ricerca personale dal significato e effetti esistenziali. Perché un dirigente di azienda dovrebbe scegliere un filosofo come consulente? Per curiosità (aprirsi a prospettive inattese), disperazione, simpatia verso la filosofia, bisogno di acquisire un approccio critico e indipendente, libero da condizionamenti e pensieri abituali, difficoltà a accettare il conformismo diffuso, antipatia verso terapie psicologiche, o altro ancora? Lei cosa ne pensa? 

«Credo di averle già risposto. Intanto non abbiamo bisogno di rallentare la nostra epoca. Possiamo continuare a vivere in una epoca accelerata dalla tecnologia come dice lei, e ritagliarci degli spazi di riflessione e di silenzio. Una cosa non esclude l'altra. Mi piacciono quelle iniziative filosofiche rivestite di vacanza, ci sono dei colleghi che la propongono e qualche volta anche io organizzo cose così. Tempo fa avevo associato la riflessione e l'incontro filosofico al navigare. Avevo un amico che aveva delle canone e un battello e abbiamo proposto al nostro pubblico questo viaggio doppio di conquista: l'esplorazione dei fiumi e dei laghi e l'esplorazione del sapere. Nessuno è così impegnato dal non avere un fine settimana libero. Ma dobbiamo partire da un altro aspetto, se vogliamo che una Consulenza filosofica sia davvero utile a qualcuno, e cioè che non deve essere qualcosa di episodico e occasionale. Deve diventare un'abitudine, nel tempo, un piacere. Un dirigente d'azienda non ha bisogno della Filosofia per dirigere la sua azienda. Ma è un uomo. E come uomo può sentire il bisogno di conoscersi meglio. Se non sente il richiamo della Conoscenza è inutile».  

Uno degli ambiti nei quali potrebbe focalizzarsi la ricerca filosofica è quello tecnologico e digitale. Di nuovi libri su Socrate, Platone, Spinoza o Nietzsche non se ne sente una reale necessità. Di studi filosofici sulla tecnologia al contrario ce n’è un gran bisogno. Anche per i filosofi che hanno scelto la consulenza filosofica fatta di filosofia pratica e dialogo socratico. Una ricerca in ambito tecnologico non potrebbe essere definita astratta o lontana dalla vita ma molto pratica e concreta. Porterebbe a riflettere criticamente sulle molteplici realtà quotidiane mediate tecnologicamente, a sperimentare nuovi strumenti dialogici, tecnologici e digitali. Lei cosa pensa? Non ritiene urgente una riflessione critica sulla tecnologia e i suoi effetti? Nel suo ruolo di consulente filosofico che ruolo hanno le nuove tecnologie (piattaforme social, APP di messaggistica, strumenti come Zoom, Skype, ecc.?). 

«Non credo che la ricerca filosofica possa dare grossi contributi nel mondo tecnologico o digitale. Può usare strumenti, le avevo già detto che personalmente faccio uso di Zoom per i miei corsi, uso la Classroom di Google. È invece fondamentale la Ricerca in senso classico. Non si può immaginare di poter fare filosofia senza conoscere a fondo Platone, Spinoza, Kant, Hegel. E la Ricerca ci fornisce ogni giorno strumenti nuovi, più raffinati per una corretta interpretazione dei classici. Recentemente è stato pubblicato l'unico manoscritto finora conosciuto dell'Etica di Spinoza, e questo ci ha dato la possibilità di correggere interpretazioni sbagliate che si ero sedimentate dall'uso. Occorre che con la filosofia si torni a fare sul serio. Dobbiamo, rispetto agli accademici, rivendicare il suo lato pratico, utile per la vita di tutti i giorni. Pensiamo al lavoro di Emanuele Severino. Dietro, c'è la paura che abbiamo tutti. Quelli di essere mortali, destinati a perder tutto. Possiamo abbandonarci alla fede. Oppure impegnarci in un compito ancora più eroico: essere noi a definire il nostro senso e a immaginare il nostro destino. La tecnologia resti pure ai tecnici».

Il motto socratico “Sapere di non sapere è sapere” conduce l'essere umano, l'individuo, alla consapevolezza dei propri limiti. Non è questo ciò che manca alle persone? Credere di sapere tutto, non è forse questo l'errore “metodologico” che conduce a mostrare senza vergogna un'ignoranza pericolosa? 

«Non dobbiamo rimanere necessariamente schiavi di un pensiero debole. Esiste una Verità? Dobbiamo esser chiari: se la Filosofia non è almeno uno sforzo teleologico verso la Verità, non il suo compimento ma almeno la sua ricerca, allora la Filosofia è un gran nulla. La Filosofia delle lacrime è, al massimo, buona letteratura. Che non possiamo spacciare come utile in una consulenza. Se non c'è niente da Conoscere il ruolo di un Filosofo è pari a quello della mia portiera e la chiarificazione che può proporre un Filosofo che non ha Sistemi, idee forti, è la chiarificazione che può proporre la mia portiera (che non ha mai studiato filosofia ma che sa ricostruirti le unghie). Il filosofo 'deve' tendere verso il Sapere assoluto, altro che errore metodologico. Se non ce la fa, può cambiare mestiere, può fare lo psicologo. Chiaramente l'errore è dietro l'angolo. E l'ignoranza il mostro da abbattere».  

Aristotele nella sua opera Politica riconosce la famiglia come luogo capace insieme alla polis, la piccola città stato greca, di dare sicurezza alle persone regalando loro la felicità. Crede che ciò sia possibile anche oggi, o la felicità sia da ricercarsi altrove? Cosa suggerire a chi si rivolge al consulente filosofico per trovare una serena vita felice? 

«Che il Filosofo non fa il mediatore familiare. Ci sono tanti professionisti che possono dire la loro in modo più qualificato di me. Chi vuole trovare una serena vita felice, cioè inserirsi in un percorso di Conoscenza, e lo vuole fare tramite la Filosofia è il benvenuto». 

Vuole aggiungere altro per i lettori di SoloTablet, ad esempio qualche suggerimento di lettura? Vuole suggerire dei temi che potrebbero essere approfonditi in attività future? Cosa suggerisce per condividere e far conoscere l'iniziativa nella quale anche lei è stato/a coinvolto/a?  

«Lasciatemi cogliere l'occasione e consigliare i libri miei. Basta digitare il mio nome nei motori di ricerca e poi lasciarsi sedurre da qualcosa. Chissà. Dovessi risultare più convincente di una portiera» 

Cosa pensa del progetto SoloTablet? Anche una prima impressione conta. Ci piacerebbe avere dei suggerimenti per migliorarlo! 

«Non è affatto detto che la Tradizione escluda l'Innovazione. La promozione e la conoscenza tecnologica sono fondamentali oggi. E vale per tutti i saperi. Io rivendico la mia autonomia nei miei domini (in questo senso ho voluto riaffermare il primato della cultura umanistica qualche domanda fa). Ma sono il primo a fare uso di strumenti, iPad incluso».

 

 

 

 

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