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Serve il contatto, guardare il volto dell’altro, la relazione con persone in carne e ossa

Serve il contatto, guardare il volto dell’altro, la relazione con persone in carne e ossa

30 Ottobre 2017 Tecnologia e religione
Tecnologia e religione
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Intervista di SoloTablet al teologo Fabio Cittadini: "Sì, sta cambiando l’interazione tra gli uomini, stanno cambiando i rapporti umani. Siamo Facebook dipendenti, per cui la realtà è letta attraverso la ristretta lente del “mi piace”. Questo implica che la realtà non è giudicata più per la sua complessità. Si va verso un giudizio semplificato, ridotto al minimo, appunto “mi piace”

"Da più di un secolo la filosofia pone al centro della propria analisi la tecnologia: ne ha studiato le espressioni, gli effetti, gli aspetti morali, economici, psicologici, ma non ne ha tuttavia individuato la più intima identità. La tecnologia, per la filosofia, è rimasta un enorme punto interrogativo al centro della storia, che copre con la sua ombra tutto il reale, ma che non intende rivelare la sua essenza. Fino a qui ci ha condotto il vento filosofico. Da qui sono sopraggiunte le “folate” teologiche." Andrea Vaccaro

Sei filosofo, sociologo, piscologo, teologo,  studioso della tecnologia o semplice cittadino consapevole e vuoi partecipare alla nostra iniziativa con un contributo di pensiero? .

Tutti sembrano concordare sul fatto che viviamo tempi interessanti, complessi e ricchi di cambiamenti. Molti associano il cambiamento alla tecnologia. Pochi riflettono su quanto in profondità la tecnologia stia trasformando il mondo, la realtà oggettiva e fattuale delle persone, nelle loro vesti di consumatori, cittadini, elettori e credenti. Sulla velocità di fuga e sulla volontà di potenza della tecnologia, sulla sua forza e continua evoluzione, negli ultimi anni sono stati scritti numerosi libri che propongono nuovi strumenti concettuali e cognitivi per conoscere meglio la tecnologia e/o suggeriscono una riflessione critica utile per un utilizzo diverso e più consapevole della tecnologia e per comprenderne meglio i suoi effetti sull'evoluzione futura del genere umano.

Su questi temi SoloTablet sta sviluppando da tempo una riflessione ampia e aperta, contribuendo alla più ampia discussione in corso. L'approccio è coinvolgere e intervistare autori, specialisti e studiosi che stanno contribuendo con il loro lavoro speculativo, di ricerca, professionale e di scrittura a questa discussione. Dopo aver rivolto l'interesse verso la cultura d'ispirazione laica, vogliamo allargare il dibattito, sempre con le stesse modalità, anche alla parte d'ispirazione cattolica.


 

Intervista condotta da Carlo Mazzucchelli  e Edoardo Mattei con Fabio Cittadini, teologo e consulente editoriale di Città Nuova Editrice e autore di Introduzione alla vita cristiana di un politico

Buongiorno. Può raccontarci qualcosa di lei, della sua attività attuale, del suo interesse per le nuove tecnologie e per una riflessione sull'era tecnologica e dell'informazione che viviamo?

Buongiorno! Io mi occupo di teologia, studiandola e divulgandola attraverso articoli, saggi e libri. Sono consulente editoriale per la Città Nuova Editrice, collaboro inoltre alla cattedra di teologia presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano con il prof. Aramini e con il prof. Galli. Inoltre scrivo per un quotidiano cattolico online (www.korazym.org) di cui sono membro di redazione.

Personalmente ho un rapporto di “odio e amore” verso le nuove tecnologie. Da un lato, cioè, le ammiro, ne sono affascinato, dall’altro, devo ammettere che non le uso molto o, forse peggio, le “subisco”. Per fare un esempio, sono uno dei pochi che non ha ancora uno smartphone.Ho un cellulare con il quale posso solo chiamare e mandare messaggi. E questo per scelta.

Credo, infatti, che le nuove tecnologie ci stiano impoverendo sotto il profilo delle relazioni. I nostri rapporti non solo stanno diventano più liquidi, ma anche più freddi.

 

Secondo il filosofo pop del momento, Slavoj Žižek, viviamo tempi alla fine dei tempi. Quella del filosofo sloveno è una riflessione sulla società e sull'economia del terzo millennio ma può essere estesa anche alla tecnologia e alla sua volontà di potenza (il technium di Kevin Kelly nel suo libro Cosa vuole la tecnologia) che stanno trasformando il mondo, l'uomo, la percezione della realtà e l'evoluzione futura del genere umano. La trasformazione in atto obbliga tutti a riflettere sul fenomeno della pervasività e dell'uso diffuso di strumenti tecnologici ma anche sugli effetti della tecnologia. Qual è la sua visione attuale dell'era tecnologica che viviamo e che tipo di riflessione dovrebbe essere fatta, da parte dei filosofi, dei teologi e degli scienziati ma anche delle singole persone?

Da un lato occorre dire che le nuove tecnologie sono un bene, se usate correttamente. Basta pensare all’enorme possibilità che abbiamo di informarci meglio, cosa del tutto impensabile fino a qualche decennio fa. Dall’altro lato occorre anche affermare che la grande pervasività sta generando degli effetti negativi per ciò che riguarda il rapporto tra uomini in particolare.

Questi, infatti, anche a motivo dell’ampio uso dei social (in primis whatsapp), si stanno raffreddando. Un conto è avere a che fare con una persona “in carne ed ossa”, un conto è rapportarsi con una persona chattando. Un esempio molto banale. A Milano, la città dove vivo, il mattino è facile imbattersi in una scena del genere: un vagone della metro piena di gente, più o meno giovane, curvata sul proprio cellulare. Non si guarda più la gente in faccia.

Questo implica una perdita: il contatto con l’altro, con ciò che ci circonda e, più in generale, con il mondo. La teologia è impegnata da qualche anno a comprendere cosa sia il virtuale anche attraverso recenti lodevoli pubblicazioni, ma non riesce – probabilmente perché questo comporterebbe una recezione moralistica del suo messaggio – a dire che un mezzo sta diventando un fine.

 

Viviamo immersi in un processo evolutivo che ha assimilato la tecnologia e ne subisce la volontà di potenza e la velocità di fuga. La tecnologia è diventata parte integrante e necessaria della vita di tutti i giorni. Non ne possiamo fare a meno anche se scarsa è forse la consapevolezza sugli strumenti usati e sui loro effetti. La tecnologia non è neutrale ma neppure cattiva. Molto dipende dall'uso consapevole e critico che ne viene fatto per conoscere se stessi e soddisfare i propri bisogni. La tecnologia non deve essere demonizzata ma neppure trasformata in una nuova religione. Ma questo è quanto sembra stia accadendo, evidenziando una nuova fuga dalla realtà e verso l'irrazionalità. Lei cosa ne pensa?

Indubbiamente la tecnologia non va demonizzata, va usata con consapevolezza critica. Siamo figli del nostro tempo e dobbiamo viverlo, non isolarci o assentarci in attesa di tempi migliori. Tuttavia poco si fa per far prendere coscienza di un uso eccessivo della tecnologia.

Devo dire che trovo interessante l’iniziativa di diverse scuole di fare un corso ai genitori, prima che ai ragazzi/bambini, su un corretto uso dei nuovi mezzi di comunicazione di massa. Inoltre trovo significativo che si stiano moltiplicando iniziative, sempre nelle scuole, che prevedono il non utilizzo del cellulare per una settimana.

Sono proposte che vanno incentivate perché occorre far prendere coscienza del possibile grande rischio che stiamo correndo. I nostri rapporti non si possono basare su ciò che ci scriviamo su whatsapp. Occorre il contatto, il guardare il volto dell’altro, abbiamo bisogno della relazione con persone “in carne e ossa”.

 

Secondo molti la pervasività degli strumenti tecnologici e il tempo crescente ad essi dedicato sta mettendo in crisi la pratica religiosa così come la spiritualità. La tecnologia sembra fare miracoli come quelli raccontati nei Vangeli (guarisce storpi, ciechi, mani paralizzate...) e di realizzare l'epoca messianica di felicità e benessere. La tecnologia è vista come un Sacramento, uno strumento che Dio offre all'uomo ma al contempo è anche un progresso totalmente umano (Techgnosis e New Age).  Se grazie alla tecnologia si possono realizzare le stesse opere divine perché continuare a credere?

Dietro tutto questo c’è un’errata concezione della fede. In fondo si crede che basta un sms e si è salvi. La fede nasce certamente perché un messaggio di salvezza mi raggiunge, mi colpisce. La fede nasce dall’ascolto della Parola, ma implica anche una relazione. Fede è fiducia in Colui che, con il suo corpo, è morto e risorto. Una fede senza opere, si potrebbe dire senza impegno, è una fede morta.

Se una Parola mi raggiunge, se credo in Colui che mi ha salvato, allora non posso non impegnarmi, pur con tutti i miei limiti e i miei peccati, per un mondo più giusto e non posso non desiderare che tutti gli uomini siano salvati. E’ avvenuto così con gli apostoli, è stato così per duemila anni, sarà così sempre nella Chiesa. Le nuove tecnologie possono essere utili anche per fa vedere quanto è bella una fede che include, coinvolge, impegna e crea una trama di relazioni tra coloro che si riconoscono nel Figlio figli dell’unico Padre.

 

Nell'evoluzione attuale gli esseri umani sembrano delegare alla tecnologia porzioni importanti delle loro vite o usarla come efficace farmaco antidepressivo. Alla ricerca di benessere, felicità e potere, gli umani sembrano impegnati in un continuo cambiamento che potrebbe determinare la sparizione della loro caratteristica umana. Grazie ai nostri dispositivi tecnologici ci sentiamo tutti un po' superuomini ma la percezione che la tecnologia stia prendendo il sopravvento genera ansia, panico e infelicità. Forse per questo si preferisce vivere nel presente continuo rinunciando a sondare il futuro.  Lei cosa ne pensa? la tecnologia sta cambiano il concetto di "legge di natura"? Siamo davanti ad un "reincanto tecnologico" come pensava il filosofo Michel Maffesoli?

Sta cambiando la legge di natura perché sta cambiando la concezione della persona e della sua dignità. Il problema, perlopiù non detto, è che la tecnologia ha una sua ideologia, ha una sua concezione antropologica che propone e, per certi versi, impone a motivo della sua pervasività.

Se con un sms o con whatsapp si può decidere di chiudere una relazione, senza vedersi faccia a faccia, senza parlare, senza dialogare, ciò significa che dietro a questo comportamento c’è già un’idea di persona. Tanto più che questa concezione è assai funzionale al connubio economia-tecnologia.

Non ci si pensa abbastanza ma fa una certa impressione notare come in quasi tutte le reti televisive molti telegiornali dedichino ampio spazio alle notizie brutte (sciagure di ogni tipo, attentati, fatti di cronaca nera per esempio) e subito dopo il tg ci siano dieci minuti di pubblicità.

In tal modo si vuole suggerire: “è vero che certe cose succedono, ma tu hai bisogno del detersivo, dello shampoo per capelli, di una macchina fantastica ecc…” Tutto questo avviene per effetto della diffusione delle tecnologie.

 

La tecnologia è diventata la nuova religione del XXI secolo e i Signori del Silicio (Google, Facebook, Amazon, Microsoft e Apple) ne sono i suoi profeti. Lo sostiene anche Noah Harari autore di Homo Deus quando scrive che "la tecnologia definisce lo scopo e i limiti delle nostre visioni religiose, come un cameriere stabilisce le opzioni di scelta dei nostri appetiti". Le nuove tecnologie stanno uccidendo i vecchi Dei facendone nascere di nuovi. Le religioni storiche, dal cristianesimo all'induismo, per anni hanno fornito risposte a domande importanti per l'essere umano. Oggi hanno difficoltà a rispondere alle numerose domande che la tecnologia pone: intelligenza artificiale e lavoro, politica e crescenti disuguaglianze, biotecnologie, ricerca dell'immortalità, ecc. La religione ha esaurito le proprie risposte o ha ancora un'antropologia per l'uomo tecnologico, disincantato e più istruito rispetto al passato?

La religione non ha esaurito le sue risposte. Anzi io credo fortemente che oggi, forse più di altri tempi, si possa dare una grande e bella risposta.

Di fronte al fenomeno pervasivo delle tecnologie, si può rimettere al centro l’uomo, nella sua interezza, l’uomo “in carne ed ossa”. Tanto più che il cristianesimo custodisce e trasmette di generazione in generazione la fede in un uomo, figlio di Dio, Gesù Cristo, morto e risorto. Dire cosa sia l’uomo oggi è una delle sfide decisive per la religione cristiana.

Occorre anche dire che questa sfida riguarda perlopiù il mondo occidentale, che ha smarrito dopo anni di progresso economico e tecnologico una sana concezione dell’uomo. Facciamo un esempio che tutti possono conoscere. Per far stare buono un bambino, gli si dà lo smartphone così che può giocare e/o andare su internet. In tal modo si rinuncia alla relazione, al rapporto, al dialogo, al confronto, in una parola all’educazione.

Siamo in una società che non educa, ma vizia! Così quando il bambino, divenuto adulto, si sente dire dei “no” o percepisce che è limitato perché nell’ambiente in cui vive ci sono altre persone, non sa comportarsi, non sa vivere. Il rischio è che si creino delle persone disadattate, cioè nel senso letterale della parola, ovvero non adatte a vivere e a stare nell’ambiente in cui si trovano.

 

Se la tecnologia promette di realizzare il regno di Dio sulla Terra e sembra trovare ogni giorno nuovi proseliti e fedeli, significa che si stanno realizzando le promesse del Regno di Dio sulla Terra? Al contrario, se la tecnologia fosse un dono prometeico? Qual è il rapporto fra tecnologia e provvidenza?

Francamente nutro dei forti dubbi che il regno di Dio sia stato realizzato sulla terra. Anzi a me pare che siamo lontani anni luce dalla sua realizzazione. Un segno chiaro per tutti: non c’è pace.

La tecnologia non genera pace negli uomini o tra gli uomini. Anzi favorisce lo scontro, la sopraffazione. Chi più ha pretende ed esige che sia trattato come una divinità. Quanta invidia suscita, soprattutto tra i giovani, il possedere l’ultimo ritrovato tecnologico! Come a dire: “se hai l’ultimo smartphone, sei la persona migliore del mondo”.

Indubbiamente la tecnologia è un dono messo nelle mani dell’uomo. E’ un dono, però, da saper usare. Inutile fare un dono, se poi manca la capacità di usarlo in modo corretto.

 

Grazie alla tecnologia gli esseri umani vedono la loro vita terrena facilitata, esentata dalle fatiche, semplificata, automatizzata, velocizzata, liberata ma anche potenziata (salute, economia, relazioni, ecc.). Una vita terrena percepita più felice sembra però allontanare dall'intimità e dalla profondità religiosa e spirituale, portando a privilegiare la superficialità e l'esteriorità. In che modo la tecnologia e/o una interazione diversa con essa potrebbero facilitare una vita più intima, più profonda, più spirituale e religiosa?  Può la tecnologia essere veicolo di nuove forme di fede e strumento di spiritualità per trascendere l'esistente e prepararsi mondo che verrà?

Un segno de nostri tempi, poco visibile forse, è dato dal fatto che, se è vero che siamo in una società tecnologica, è altrettanto vero che c’è un profondo e grande bisogno di interiorità, di spiritualità. Indubbiamente la tecnologia rende la vita più facile, semplificata, ma occorre dire non spegne il sentimento religioso. Anzi questo rimane vivo, intatto e cerca nuove forme di espressione.

E’ interessante notare come molti cattolici facciano uso delle app dove si possono trovare la Sacra Scrittura e/o la liturgia delle ore. L’uso della tecnologia consente, per esempio, di poter pregare in metro, prima di andare al lavoro, o di poter leggere una pagina della Bibbia quando e dove si vuole.

Si va verso una spiritualità meno legata a forme tradizionali di preghiera, meno legata ad orari fissi, ma non per questo da squalificare. Madelein Delbrêl diceva che la preghiera del cristiano, anche nella metropolitana, mentre si va al lavoro, è preghiera.

 

Miliardi di persone sono oggi dotate di smartphone usati come protesi tecnologiche, di display magnetici capaci di restringere la visuale dell'occhio umano rendendola falsamente aumentata, di applicazioni in grado di regalare esperienze virtuali e parallele di tipo digitale. In questa realtà ciò che manca è una riflessione su quanto la tecnologia stia cambiando la vita delle persone (High Tech High Touch di Naisbitt) ma soprattutto su quali siano gli effetti e quali possano esserne le conseguenze.  Il primo effetto è che stanno cambiando i concetti stessi con cui analizziamo e cerchiamo di comprendere la realtà. La tecnologia non è più neutrale, sta riscrivendo il mondo intero e il cervello stesso delle persone. Lo sta facendo attraverso il potere dei produttori tecnologici e la tacita complicità degli utenti/consumatori. Come stanno cambiando secondo lei i concetti che usiamo per interagire e comprendere la realtà tecnologica? Ritiene anche lei che la tecnologia non sia più neutrale?

Sì, sta cambiando l’interazione tra gli uomini, stanno cambiando i rapporti umani. Siamo Facebook dipendenti, per cui la realtà è letta attraverso la ristretta lente del “mi piace”. Questo implica che la realtà non è giudicata più per la sua complessità. Si va verso un giudizio semplificato, ridotto al minimo, appunto “mi piace”.

In più molte categorie, che per lungo tempo hanno fatto parte del pensiero occidentale, vengono realmente fatte a pezzi. Un esempio per tutti. Non si sa più cosa sia il bene e il male. E questo perché basta mettere un “mi piace” che non è né bene, né male.

Tutto questo comporta una grave perdita: non sappiamo più comprendere e giudicare la complessità della realtà ed essa viene letta in base ai “gusti” personali. Tutto improvvisamente diventa o bianco o nero, mentre il mondo che ci circonda è a colori. Nel lungo periodo tutto questo avrà ricadute soprattutto in ambito politico.

Non sapendo più giudicare la complessità del reale, non si è più in grado di gestirlo. Non è un caso che stiano aumentando i populismi, proprio in questo nostro tempo.

 

Secondo il filosofo francese Alain Badiou ciò che interessa non è tanto quel che è (chi siamo!) ma quel che viene. Con lo sguardo rivolto alla tecnologia e alla sua evoluzione, quali sono secondo lei quali indicazioni e quale riflessioni dovrebbe fare la Chiesa per sviluppare un Magistero capace di dare risposte di senso anche per il futuro?

Un lavoro urgente da fare è affermare che la tecnologia ha una sua ideologia, non è neutrale, come alcuni sostengono. Non è vero che le ideologie siano finite. In più occorre dire quali sono gli elementi positivi e quali sono gli elementi negativi.

La tecnologia, come detto, porta con sé una riduzione antropologica. Certo questa riduzione è funzionale anche e soprattutto all’altra ideologia della nostra epoca, quella economica. La Chiesa deve mettere in guardia dal rischio di un uso smodato della tecnologia, anche se questo implicherà probabilmente una ricezione moralistica del suo messaggio.

La gente fatica a capire, a comprendere la realtà proprio perché non si è più in grado di giudicare la complessità del reale: ecco la questione teoretica che sta dietro all’ampia diffusione della tecnologia.

 

Secondo alcuni, tecnofobi, tecno-pessimisti e tecno-luddisti, il futuro della tecnologia sarà distopico, dominato dalle macchine, dalla singolarità di Kurzweil (la via di fuga della tecnologia) e da un Matrix nel quale saranno introvabili persino le pillole rosse che hanno permesso a Neo di prendere coscienza della realtà artificiale nella quale era imprigionato. Per altri, tecnofili, tecno-entusiasti e tecno-maniaci, il futuro sarà ricco di opportunità e nuove utopie/etopie. A quali di queste categorie pensa di appartenere e qual è la sua visione del futuro tecnologico che ci aspetta? E se la posizione da assumere fosse semplicemente quelle tecno-critica o tecno-cinica? E se a contare davvero fosse solo una maggiore consapevolezza diffusa nell'utilizzo della tecnologia?

Personalmente mi considero un “tecno-realista”. Vedo la positività della tecnologia, ma, allo stesso tempo, ne vedo i rischi. Sono diffidente verso gli estremismi, sia in positivo sia in negativo.

 

Una delle studiose più attente al fenomeno della tecnologia è Sherry Turkle. Nei suoi libri Insieme ma soli e nell'ultimo La conversazione necessaria, la Turkle ha analizzato il fenomeno dei social network arrivando alla conclusione che, avendo sacrificato la conversazione umana alle tecnologie digitali, il dialogo stia perdendo la sua forza e si stia perdendo la capacità di sopportare solitudine e inquietudini ma anche di concentrarsi, riflettere e operare per il proprio benessere psichico e cognitivo. Lei come guarda al fenomeno dei social network e alle pratiche, anche compulsive, che in essi si manifestano? Se la fede è principalmente la relazione con una persona (Dio), come cambia nell'interazione con Dio e con gli uomini in questa realtà sempre più mediata da dispositivi tecnologici?

Concordo con la Turkle. La sua analisi mi sembra ottima e rispecchia la realtà. Purtroppo la relazione con Dio e con gli uomini non può rispondere all’unico criterio del “mi piace”. Questo fenomeno è alquanto preoccupante.

Non si può giudicare una persona, qualsiasi essa sia, e il suo operato, in base ai propri gusti personali. L’enorme successo degli estremismi di ogni tipo (anche religioso e intraecclesiale) che stanno avendo sui social network, che io stesso utilizzo, è un chiaro segno di una difficoltà che va ascoltata.

La complessità fa paura, non si è in grado di capirla e gestirla e, per questo, gli estremismi risultano vincenti e hanno molti “mi piace”. Bisogna educarsi a poco a poco ad un pensiero che non riduca le contraddizioni, ma che le sappia prendere in considerazione senza doverle porre in conflitto. E’ un compito che tutti gli uomini di buona volontà devono portare avanti.

 

Vuole aggiungere altro per i lettori di SoloTablet, ad esempio qualche suggerimento di lettura? Vuole suggerire dei temi che potrebbero essere approfonditi in attività future? Cosa suggerisce per condividere e far conoscere l'iniziativa nella quale anche lei è stato/a coinvolto/a?

Suggerirei le letture delle opere del poeta-filosofo italiano Marco Guzzi e, inoltre, il libro di Simone Cosimini e Alberto Rossetti, uscito da poco, intitolato “Nasci, cresci, posta. I social network sono pieni di bambini. Chi li protegge?” (Città Nuova). Si deve riflettere sull’ideologia che sta dietro alla tecnologia e alla sua ampia diffusione. C’è un problema antropologico che deve essere messo in luce.

 

Cosa pensa del progetto SoloTablet e delle sue iniziative finalizzate  una riflessione condivisa sulla Tecnologia? Ci piacerebbe avere dei suggerimenti per migliorarlo e arricchirlo con nuove iniziative!

Penso che sia un buon progetto. Mi sia consentita una battuta.

Credo che il progetto, perché vuole dar vita ad un dibattito, debba chiamarsi “Non solotablet”.

Sarebbe bello poter dare avvio a corsi sull’uso corretto delle nuove tecnologie attraverso iniziative che mettano a confronto diverse generazioni.

 

 * Tutte le immagini di questo articolo sono scatti di viaggio di Carlo Mazzucchelli (Islanda, India, Stati Uniti)

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