2016 - Tecnologia, mon amour forever /

Insieme onlife ma sempre più soli offlife

Insieme onlife ma sempre più soli offlife

01 Giugno 2016 Redazione SoloTablet
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Crescere tecnologicamente allacciati, insieme ma soli! Lo racconta Sherry Turkle.

Il libro di Carlo Mazzucchelli Tecnologia, mon amour forever è pubblicato nella collana Technovisions di Delos Digital

Crescere tecnologicamente allacciati, insieme ma soli! Lo racconta Sherry Turkle.

Il libro di Sherry Turkle “Insieme ma soli” è del 2011 e racconta la storia di una manipolazione molto tecnologica ma anche socialmente molto accettata. È quella perpetrata dalle nuove tecnologie della comunicazione digitale che ci fanno credere, grazie alle loro attraenti e intriganti applicazioni online, di essere meno isolati perché siamo sempre connessi e collegati in rete con qualcuno. Una visione molto diversa da quella contenuta in un libro precedente (La vita sullo schermo) nel quale la Turkle celebrava la libertà delle identità digitali online e la possibilità di sperimentazione che la vita sullo schermo offre per essere quello che si vorrebbe. Oggi non è più tempo di facili ed entusiastici ottimismi ma di riflettere sulle trappole della tecnologia e sulle catene che ci tengono avvinti ai display dei molteplici dispositivi tecnologici che possediamo e che ci attengono avvinti più dell’edera. Siamo e cresciamo tecnologicamente allacciati, sempre più connessi, ma fondamentalmente soli. Insieme ma soli!

Sherry Turkle è considerata dal tecnofilo new age Kevin Kelly il Freud  della tecnologia, un’autrice capace di individuare e descrivere i cambiamenti della società tecnologica prima e meglio di chiunque altro. Questa è l’impressione che qualsiasi lettore attento può avere fin dalla nota introduttiva con cui l’autrice apre il suo libro Insieme ma soli e nella quale racconta della sua innocenza di giovane ricercatrice interessata allo studio della cultura informatica con la finalità di scoprire in che modo i computer stanno cambiandoci come persone e la vita nascosta degli oggetti tecnologici.

Il libro è composto da due parti. Nella prima si parla molto di  cyborg, robot sociali che stanno ridefinendo i nostri spazi di vita e quelli relazionali.  Robot androidi e umanoidi, più o meno intelligenti, e esseri simbionti capaci di sostituirci in quasi tutte le incombenze quotidiane ma anche di fare amicizia e compagnia. Molto simili a quelli che hanno fatto da protagonisti in molti film di fantascienza, ma oggi molto più reali perché entrati dentro le fabbriche, gli uffici e le case nella forma di macchine intelligenti, assistenti personali e robot casalinghi con i quali abbiamo costruito nuove relazioni.

Le loro abilità lavorative o la capacità di fornire soluzioni concrete alle nostre incapacità e imperfezioni, non sono quasi mai l’oggetto dell’interesse della studiosa. A lei interessano i rapporti e le relazioni che intercorrono tra la macchina e l’umano e gli effetti che ne possono derivare sull’identità, personalità, comportamenti e stati d’animo.

Più che le macchine in sé e la loro evoluzione a interessare l’autrice sono proprio queste relazioni, spesso legate alla nostra costante ricerca di superare le nostre imperfezioni e i nostri limiti delegandone la gestione e la soluzione a entità esterne, ora anche tecnologiche. Turkle vuole far luce sulla relazione intima che sembra caratterizzare il rapporto uomo-macchina dei nostri giorni nei suoi aspetti più reconditi, simbolici e cognitivi. Attraverso un viaggio nel mondo dell’innovazione e dell’evoluzione tecnologica, Sherry Turkle suggerisce che siamo di fronte ad un bivio nel quale siamo tutti chiamati a manifestare il nostro libero arbitrio con scelte radicali. Si può scegliere la realtà, da difendere e proteggere, oppure abbandonarsi a una realtà parallela, virtuale e artificiale governata dal ritmo e dalla volontà della tecnologia.

La seconda parte del testo è dedicata ai molti mondi virtuali che caratterizzano la vita online di un numero crescente di persone, ignare di avere trasformato la loro personalità e vitalità in profili sempre più simili a oggetti inanimati, gestiti da algoritmi e intrappolati in spazi predefiniti dai grandi produttori tecnologici come Google e Facebook. La Internet degli anni 90 con la sua libertà e ricchezza di opportunità di sperimentazione, sembra dire la Turkle, non c’è più. Al suo posto ci sono spazi sociali abitati da milioni di persone che annegano nella banalità delle loro interazioni e conversazioni e non si rendono conto del condizionamento su di essi esercitato dai gadget tecnologici che utilizzano.

La felicità espressa online con emoticon e faccine varie non è vera felicità. Al posto di parlare, inviamo testi e messaggi, invece di prendere tempo e scrivere una lettera aggiorniamo in modo compulsivo il muro delle facce o il Blog di Tumblr o Wordpress. I prodotti tecnologici che usiamo sono tutti potenti, divertenti e utili ma l’affidarsi completamente ad essi non ci rende più felici o più soddisfatti. Siamo connessi con centinaia di persone ma forse più soli o come dice l’autrice siamo Insieme ma soli.

Lo stile di lavoro adottato dalla Turkle è di tipo etnografico e clinico. Come un antropologo interessato alla ricerca sul posto, Sherry Turkle ha visitato laboratori di ricerca, si è aggirata in dipartimenti di informatica, club e comunità di appassionati della tecnologia e ha frequentato ambienti sociali e abitati della rete come i Social Network. Da queste esperienze sul campo e dirette ha tratto utili informazioni sulle relazioni che ci legano a uno schermo, a una pagina web e a un computer e ha conosciuto le molte riflessioni che molte persone fanno specchiandosi negli strumenti tecnologici usati come se fossero i meccanismi di auto-rappresentazione e di affermazione del sé.

Queste riflessioni servono alle persone a esplorare le loro identità online e alla Turkle a raccontarne gli effetti negativi derivanti dalla fiducia eccessiva con cui ci affidiamo alla tecnologia: “Oggi, insicuri nelle relazioni e ansiosi nei confronti dell’intimità, cerchiamo nella tecnologia dei modi per instaurare rapporti e al tempo stesso proteggerci da essi”. Da questa percezione/riflessione nasce l’intero racconto contenuto nel libro e che è destinato a far discutere molto, psicologi e terapeuti, tecnofobi e tecnofili ma soprattutto singoli cittadini della rete e persone normali. Almeno quelle che hanno deciso di assumere un ruolo proattivo nella loro relazione con la tecnologia per comprendere le numerose trasformazioni da essa indotte e le ricadute concrete sulle loro vite di esseri umani.

Il libro Insieme ma soli è del 2011 e racconta la storia di una manipolazione molto tecnologica ma anche molto subita o accettata. È quella perpetrata dalle nuove tecnologie della comunicazione digitale che ci fanno credere, grazie alle loro affascinanti e attraenti applicazioni online, di essere meno isolati perché sempre connessi e collegati in rete con qualcuno. È una manipolazione costruita su un’illusione di intimità e di socialità scandita da semplici oggetti inanimati e intercambiabili come lo possono essere i LIKE su una pagina o su un articolo di Facebook o i contatti acquisiti. I Social Network vanno di pari passo con l’evoluzione delle tecnologie robotiche che propongono esseri bionici e cyborg sempre più perfezionati, e capaci di interagire con  gli umani, ma anche di sostituirsi a loro in attività quali la cura dei figli o i servizi domestici e di assistenza agli anziani. Secondo la Turkle da un lato si ricorre alla virtualità dei rapporti online per soddisfare bisogni di socialità e relazioni con elevato tasso emotivo, dall’altro si tende ad attribuire a macchine intelligenti e robot le stesse emozioni che ricerchiamo online. Ne deriva una dissociazione emotiva con effetti negativi sulle nostre vite individuali e su quelle sociali su cui l’autrice chiama tutti a una riflessione autocritica e più approfondita. L’obiettivo non è di abbandonare l’uso delle tecnologie ma di interrogarsi su cosa sia il rapporto umano nell’era digitale e dei Social Network. L’obiettivo dovrebbe essere il recupero di forme più naturali di dialogo e di interazione umana, capaci di generare benessere presente e futuro.

Ciò che colpisce del libro è l’evoluzione che in pochi anni ha avuto il pensiero dell’autrice, passata dal ritenere Internet e il web come lo spazio libero per eccellenza nel quale ritrovare, e affermare la propria identità e per sperimentare diverse personalità (1995), a una posizione critica e preoccupata dalla quale sembra essere sparita ogni forma di ottimismo. Quanto era libera la Internet di ieri, tanto è illusorio, manipolatorio e pieno di trappole il web del social networking attuale nel quale “ci aspettiamo di più dalla tecnologia e meno da ognuno di noi”.

Secondo Sherry Turkle la tecnologia si propone come architetto della nostra intimità e, così facendo, suggerisce delle sostituzioni che mettono in fuga il reale, come ad esempio in Secondlife. “La tecnologia è seducente – scrive Turkle – quando ciò che offre soddisfa la nostra vulnerabilità umana: si scopre allora che siamo davvero molto vulnerabili. Ci sentiamo soli, ma abbiamo paura dell’intimità: le connessioni digitali e i robot sociali possono offrire l’illusione della compagnia senza gli impegni dell’amicizia; la nostra vita in rete ci permette di nasconderci a vicenda mentre siamo allacciati l’uno all’altro e preferiamo comunicare vis WhatsApp o SMS invece di parlare”.

Il libro è il terzo di una trilogia su computer e persone. Si interroga su come siamo arrivati a questo punto e se siamo soddisfatti dell’era tecnologica che viviamo. Il primo libro (Il secondo Io) è servito a descrivere il lato soggettivo del personal computer e i suoi effetti sui modi con cui consideriamo noi stessi, le nostre relazioni e la nostra percezione di esseri umani. Il secondo libro (La vita sullo schermo) era focalizzato su come i computer plasmano nuove identità negli spazi online. Insieme ma soli racconta di un cambiamento radicale avvenuto nel frattempo e che vede i computer agire in modo proattivo e autonomo. Protagonisti assoluti che non aspettano più che noi proiettiamo su di essi significati, destinazioni di scopo o finalità. Sono loro a guardarci negli occhi (display e schermi sempre accesi), a parlarci (Social Network e messaggistiche varie), a riconoscerci e a imparare quali siano i nostri gusti e stili di vita, le nostre preferenze e a chiederci di prenderci cura di essi quando ce ne dimentichiamo (il pulcino Tamagochi e i molti robot che lo hanno seguito).

I tre libri insieme indicano l’evoluzione del pensiero dell’autrice e la sua crescente preoccupazione di studiosa e persona umana. Nel primo libro aveva definito il computer come un secondo io, uno specchio della mente, oggi riconosce che quella metafora non è più sufficiente per descrivere nuove tecnologie capaci di dare forma a nuove identità divise tra lo schermo e la realtà fisica con conseguenze schizofreniche che producono nuove forme di infelicità e di solitudine. Gli spazi digitali sono Realtà virtuali, parallele e interconnesse, rese possibili dalla tecnologia, nelle quali navighiamo felici e contenti ma spesso come naufraghi in mezzo al mare con un unico salvagente dal quale sappiamo di non poterci separare per non colare a picco. 

La tecnologia è capace di farsi notare, di attirare la nostra attenzione, di soddisfare i nostri desideri più inconsci e di presentarsi a noi in forme e oggetti che aspirano a farsi possedere e che noi desideriamo possedere. Come ad esempio il robot parlante da 3000 dollari Roxxxy che viene venduto come giocattolo sessuale e può assumere sei diverse personalità femminili (Frigid Farrah, Young Yoko, ecc.) in modo da soddisfare solitudini e desideri diversi.  È solo un robot ma con caratteristiche tali (bambola sessuale realistica, dotata di organi sessuali, e capace di procurare piacere a chi la usa) da allontanare chi lo usa da rapporti sociali e umani che sono per loro natura sempre più complicati e incerti. È in questa dipendenza dalla tecnologia che risiede la trappola. Perché una persona dovrebbe impegnarsi e rischiare nella ricerca di una relazione umana, sapendo di avere in casa un robottino capace di soddisfare, in silenzio e senza tante pretese, i suoi desideri più strani perché inconsci e incomunicabili ad altri?

Lo stato di evoluzione di robot e macchine tecnologiche attuali è tale da suggerire un futuro popolato da macchine intelligenti, capaci di apprendere ma anche di comprendere e soddisfare i nostri bisogni e istinti umani, come quello materno. Nulla di nuovo se si fa mente locale al famoso giochino giapponese del Tamagotchi che aveva catturato attenzione, tempo e risorse di milioni di bimbi semplicemente sfruttando il bisogno empatico di supporto e cura che si instaurava tra loro e un oggetto di plastica. Oggi a vivere esperienze simili sono anche persone anziane alle quali vengono affiancati robot capaci di farsi passare da bambini o nipoti di cui prendersi cura. La persona anziana sa di avere a che fare con una macchina, ma tuttavia se ne prende cura ogni qualvolta essa manifesta degli stati d’animo espressi con lacrime, richieste di aiuto o intervento.

L’analisi e la lettura dei fenomeni legati alla pratica del social networking online permette all’autrice di costruire la sua visione radicale, frutto di una presa di coscienza sugli effetti negativi e sulle varie forme di dipendenza che ne sono derivate. La critica non è fine a se stessa e non sembra suggerire la fuga dal social networking. Sherry Turkle si mostra tollerante, incuriosita e interessata alle infine opportunità che le nuove tecnologie rendono possibili. Al tempo stesso suggerisce, quasi impone, l’urgenza di una riflessione critica sul fatto che il modo con cui ci raccontiamo online, attraverso i nostri profili, porta alla creazione di robot virtuali con i quali dobbiamo poi fare costantemente i conti. I nostri profili sono la personificazione di ciò che vorremmo essere e come tali ci offriamo alla socialità della rete interagendo con persone che usano i loro profili esattamente come lo facciamo noi. La relazione illusoria derivante tra oggetti inanimati, fatti di software e online, è condizionata fortemente dagli strumenti tecnologici che usiamo (internet, Google, Facebook) e che danno forma alle nostre vite presenti ma soprattutto a quelle future. I nostri profili in rete vivono per sempre e possono persino vivere una vita loro propria a nostra insaputa, perché agiti da contatti online e dagli strumenti dei Social Network e del Web.

La parte forse più avvincente del libro è quella nella quale, con molti racconti e citazioni dalla rete, l’autrice analizza le varie forme di comunicazione e di interazione online possibili. Lo fa per sottolineare la loro frequente superficialità e banalità, la loro incapacità a porre rimedio a problemi reali (pragmatica della comunicazione) e molto diffusi come la solitudine e il bisogno di maggiore socialità. Il fatto che non si possa ottenere di più dipende dalla natura tecnologica ed elettronica della relazione stessa, costruita e costretta all’interno di dispositivi tecnologici, software applicativi, logiche e funzionalità predefinite che lasciano poco spazio alla creatività e innovazione umana.

Nonostante la percezione che questo tipo di relazioni sia in qualche modo insufficiente, milioni di persone vi si affidano come se fossero le uniche possibili. Ne deriva un’infelicità maggiore e diffusa perché sempre intermediata dalla tecnologia. È un’infelicità che sembra essere accettata passivamente con la scusa che non c’è tempo per agire diversamente. Una scusa che nasce prevalentemente dalla consapevolezza di quanto possa essere rapida la tecnologia, nel fornirci una risposta, nell’inviarci un messaggio o nel metterci in contatto con qualcuno.

Nel libro molta attenzione è stata dedicata alle nuove generazioni di nativi digitali come autori e protagonisti della rivoluzione tecnologica in corso ma anche come vittime candidate a subire gli effetti più deleteri perché non dotati e incapaci di usare strumenti di riflessione critica o impossibilitati a compiere scelte alternative. Gli strumenti tecnologici offrono ai bambini e ai ragazzi infinite opportunità ma riempiono spesso un’assenza, quella di genitori, di insegnanti e di adulti che hanno demandato alla tecnologia il compito di intrattenerli, divertirli, educarli e farli crescere. Il problema è che, come ci spiega la Turkle con mille esempi, la tecnologia non fornisca risposte valide sufficienti per affrontare la solitudine, le difficoltà della crescita e le problematiche emotive tipiche dell’età adolescenziale. La tecnologia può al massimo offrire l’illusorietà della soluzione, può posticipare nel tempo la presa di coscienza della durezza e attualità della realtà e, in alcuni casi, può perfino accrescere i comportamenti narcisisti che spesso caratterizzano le personalità di giovani in via di maturazione.

Nel capitolo Crescere allacciati la Turkle descrive i ragazzi di oggi come “cresciuti con animaletti elettronici e sulla rete, in una vita del tutto allacciata, sono ragazzi che non considerano la simulazione un ripiego e guardano alla vita online come la cosa più normale del mondo dandola scontata come il tempo”. In questa loro percezione della vita online, del tempo e dello spazio “gli adolescenti di oggi non hanno meno bisogno dei loro predecessori di apprendere la capacità empatiche, di riflettere sui loro valori e sulle loro identità,  e di gestire es esprimere i propri sentimenti. Hanno bisogno di scoprire se stessi, di tempo per pensare. Ma la tecnologia, messa al servizio di comunicazione ininterrotta, velocità telegrafica e brevità, ha cambiato le regole del vivere”.

Il libro, di quasi 400 pagine, si oppone a una recensione di poche righe che impedisce di condividerne la ricchezza di contenuti e spunti per una riflessione più ampia. Ciò che deve essere sottolineato è lo sforzo interpretativo fatto per comprendere alcuni fenomeni che caratterizzano il rapporto con la tecnologia e per inviare segnali di allarme a tutti, tecnofobi o tecnofili che essi siano, con l’obiettivo di salvare l’umanità nelle forme fin qui a noi note.

Il testo enfatizza di più gli effetti negativi di quanto non faccia con quelli positivi. Questa è sicuramente una lacuna del libro che impedisce all’autrice di essere convincente sulle molte domande all’origine del libro stesso e che molti altri studiosi oggi si pongono. Ad esempio non sono state fornite risposte concrete al perché, se Internet è una forza alienante forte e impositiva e se Facebook è generatore di malessere, milioni di persone continuino a usarli e a frequentarli. Arduo pretendere dalla Turkle risposte definitive ma forse sarebbe stata necessaria un’analisi più attenta delle ragioni che spingono milioni di persone a vivere tecnologicamente le loro relazioni e che sembrano non avere alcuna ragione o motivo per smettere di farlo. Se questa è la realtà, la risposta potrebbe essere trovata nei benefici e/o vantaggi che da queste tecnologie sembrano derivare e che sono percepiti come indispensabili per il benessere quotidiano e personale.

Il lavoro della Turkle rimane comunque una pietra miliare nello studio degli effetti della tecnologia sulla vita delle persone e farà da punto di riferimento per tutti gli studi che seguiranno. I molti spunti proposti possono servire per ricerche psicologiche e sociologiche, antropologiche e filosofiche che possono portare a nuove conoscenze sul mondo della tecnologia e a maggiore consapevolezza nel nostro modo di usarla, individualmente e socialmente.

Come conclusione è utile citare un concetto espresso a pagina 349 della versione italiana: “Una volta che i computer ci hanno connessi gli uni agli altri, una volta cioè che ci siamo allacciati alla rete, non c’è stato più bisogno di tenere occupati i computer. Sono loro a tenere occupati noi. È come se fossimo diventati la loro killer APP, la loro applicazione vincente”.

 

Bibliografia

  • Il secondo io, Sherry Turkle - edizioni Frassinelli
  • La vita sullo schermo. Nuove identità e relazioni sociali nell'epoca di Internet, Sherry Turkle - Apogeo
  • La vita nascosta degli oggetti tecnologici, Sherry Turkle - Ledizioni
  • Il disagio della simulazione, Sherry Turkle -  Ledizioni
  • Reclaiming Conversation: The Power of Talk in a Digital Age, Sherry Turkle – Penguin (versione italiana prevista nel 2016)

 

 

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