2016 - Tecnologia, mon amour forever /

Non siate timidi né esibizionisti

Non siate timidi né esibizionisti

01 Giugno 2016 Redazione SoloTablet
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Il libro di Carlo Mazzucchelli Tecnologia, mon amour forever è pubblicato nella collana Technovisions di Delos Digital

Non siate timidi né esibizionisti, ma fatevi vedere!

La visibilità è diventata parola corrente, rendersi visibili una pratica diffusa e forse una moderna schiavitù. In ogni ambito e situazione la tendenza è a sottoporsi agli sguardi degli altri, a rendersi visibili per attirare l'attenzione, per evidenziare l'azione in cui si è impegnati e per uscire dall’insignificanza dell'invisibile. Il problema non è più scegliere tra essere e avere ma tra esistere visibilmente o non esistere affatto, perché invisibili! Ci si mette in mostra e in vetrina per esibirsi, affascinare e fare spettacolo, ma anche per valorizzarsi, rispecchiarsi e gestire l’immagine che si ha di sé. Tutto ciò avviene nell'era delle nuove tecnologie mobili e dei nuovi media sociali. Un effetto della pervasività tecnologica tutto da studiare e valutare. 

Sono visibile, mi vedono, dunque esisto!

Il tema della visibilità e del farsi vedere nella società moderna è oggetto di indagine e riflessione in un libro pubblicato nel 2013 in Italia da Giunti Editore, dal titolo "Farsi vedere" e scritto a quattro mani da Nicole Aubert e Claudine Haroche, la prima professoressa dell'Ecole Superieure de Commerce de Paris e la seconda direttrice di ricerca al CNRS (Centro Edgar Morin).

Punto di partenza della riflessione è la constatazione di quanto sia diffusa la ricerca di visibilità e impossibile sottrarsi allo sguardo altrui. Non siamo solo inseguiti da videocamere, scatti rubati, regalati inconsapevolmente alla videosorveglianza diffusa, o in formato selfie, ma costretti a offrire senza sosta immagini di noi stessi, di cui non conosciamo a volte l’utilizzo terminale.

La visibilità è un fenomeno che suscita reazioni contraddittorie. Può essere vista come un valore perché permette una valutazione migliore della qualità di un lavoro o dell'efficacia di un’azione, del suo valore sociale e collettivo, e dei suoi costi in termini di giustificazione e valutazione dell'investimento fatto. La visibilità facilmente raggiungibile attraverso i nuovi media può essere valutata al tempo stesso come una forma esagerata di esibizionismo e narcisismo che punta all'apparire piuttosto che all'essere, ed è collegata fortemente alla ostentazione di prodotti e beni di consumo. Questa ostentazione, avviene oggi prevalentemente in spazi tecnologici e digitali, che facilitano l’auto-rappresentazione di se stessi e alimentano l’accanimento con cui gli individui ricercano e praticano comportamenti finalizzati a catturare la curiosità e l’attenzione degli altri.

La visibilità interessa tutte le sfere private e pubbliche. Il suo valore simbolico, la sua potenza comunicativa e la sua capacità manipolatoria sono ben noti alla politica, al potere così come alla singola persona dotata di gadget tecnologici, iper-connessa e sempre visibilmente online. La visibilità è diventata un valore così ricercato da agire anche quando manca. Il timore dell'invisibilità condiziona oggi il nostro modo di vivere i rapporti intimi e interpersonali così come la nostra vita sociale e professionale. Non ferma la ricerca di visibilità la consapevolezza di una maggiore sorveglianza panottica e diffusa come quella che caratterizza, con le sue videocamere e mappe satellitari, la videosorveglianza attuale.

La visibilità legata al potere simbolico dell'immagine di sé, sta cambiando la percezione che abbiamo di noi stessi, del nostro corpo e del tempo. Non è la visibilità fisica garantita a lavoratori di un cantiere edile dalle loro giubbe colorate di giallo e di rosso, di un automobilista fermo sul ciglio della strada che indossa la giacca fosforescente o la divisa dei ragazzi che indicano a quale scuola e grado appartengono. Le nuove tecnologie offrono la possibilità di rendere pubblici gli spazi interiori e di interiorizzare quelli diventati visibili degli altri, al tempo stesso spingono alla ricerca spasmodica dell'esserci in modo visibile, digitale, mobile e online. Internet, blog, network sociali, applicazioni come WhatsApp e Twitter, impongono il primato del visibile ma anche la supremazia dell'apparenza e l'obbligo di offrirci allo sguardo altrui. Senza renderci conto la visibilità si sta trasformando in una nuova forma di tirannia. Una forma inquietante, fortemente tecnologizzata e dipendente dall'uso che delle nuove tecnologie oggi facciamo, spesso in modo acritico e senza porci domande di tipo etico e comportamentale.

Mentre nel Panopticon di Bentham la piena visibilità è raggiunta solo dal guardiano che dalla sua torre centrale può guardare tutti senza essere visto da nessuno, nei Social Network del mondo digitale tutti hanno una loro torre di guardia in cui vivono isolati e tutti sono al tempo stesso guardiani e guardati.

La visibilità è tale nella distanza che separa ogni torre dalle altre, gli sguardi rimangono distanti ma connessi, così come lo sono le persone con cui si interagisce nella realtà quando sono presenti ma incollate al display del loro dispositivo. È una visibilità trasparente che, come nel Panopticon, non rende felici perché elimina ogni elemento di opacità e di mistero e lascia poco spazio all’immaginazione e al sogno.

È una visibilità permeabile solo agli occhi e non ad altri sensi. Gli oggetti e le persone che abitano le torri (moderne monadi del mondo digitale) possono essere solo visti e uditi digitalmente ma non possono essere toccati, sentiti o odorati fisicamente. Tutti sono visibili ma la loro visibilità è quella di un profilo algoritmico, di un autoscatto digitale, di un messaggio scritto, tutti elementi che finiscono per rappresentare solo in parte il carattere di ciò che vuole essere visibile. Una realtà diventata la norma, come ha scritto il filosofo Slavoy Žižek, in un’epoca in cui siamo circondati da oggetti privati di qualcosa come caffè senza caffeina, cioccolato senza zucchero o sesso senza alcuna esperienza fisica. Una realtà dalla visibilità garantita, come quella dei parchi di divertimento a tema, nella quale siamo tutti immersi. Un viaggio che facciamo sempre in compagnia di altri e nei quali offriamo noi stessi come prodotti da consumare esattamente come altri lo fanno con noi. Una realtà nella quale la visibilità serve anche per ritrovare noi stessi come in una sorta di rispecchiamento, auto-riflesso e gioco degli specchi diffuso e dal quale non riusciamo più a liberarci.

Un’imposizione alla quale è complicato resistere

Non tutti sentono la necessità di farsi vedere, molti preferiscono farlo (guardarsi dentro e rispecchiarsi) in una sfera interiore e invisibile all’esterno. Molti altri credono di riuscire a essere invisibili ma solo alcuni forse ci riescono, ad esempio coloro che si vantano di non usare Facebook o Internet, di non possedere uno smartphone o un tablet, ma neppure un televisore o un computer. L’assenza di dispositivi tecnologici personali non è però garanzia di assoluta invisibilità. A renderla praticamente impossibile sono i numerosi sistemi di videosorveglianza e di controllo che caratterizzano la società del terzo millennio con tecnologie dalle potenzialità visive e di ascolto illimitate e sempre intrusive. Sono sistemi voluti da istituzioni, poteri pubblici e privati che non amano l’invisibilità del cittadino, del lavoratore e del consumatore. Il controllo è pervasivo e invasivo, genera malesseri psichici e reazioni irrazionali dovuti alla perdita di fiducia nelle proprie capacità di difesa e alla costante necessità di essere visibile all’interno di standard, comportamenti, stili di vita e modi di pensare mai completamente liberi ma condizionati dall’occhio vigile di una telecamera o dall’orecchio ultrasensibile di sensori microscopici.

La ricerca della visibilità finisce per trasformare comportamenti e modi di vivere individuali, attività di pensiero, cognitive, lavorative e professionali, modalità di interazione sociale e interpersonale e l'uso dei prodotti tecnologici di cui molti si sono dotati. Strumenti usati per produrre immagini e testi, lasciare tracce di sé e segni di esistenza, distribuiti ovunque per essere trovati. Strumenti usati per continuare a farlo, nel caso in cui si percepisse che i segnali e le tracce lasciate non sono stati sufficienti a garantire la visibilità ricercata.

L'imposizione nasce dalla percezione che essere invisibili nella società tecnologica contemporanea non conviene.  È un atteggiamento che comunica il rifiuto di sottomettersi alla pratica comune della trasparenza e del mettere in comune spazi interiori, sentimenti ed emozioni e che finisce per far percepire agli altri un comportamento di difesa e di paura. È come se, chi insiste nel difendere la sua esperienza interiore, vissuta come spazio di libertà dell'individuo, si fosse arroccato in un castello senza finestre né porte, ma assediato e reso indifendibile da vecchie visioni del mondo e soprattutto da forme di esistenza ritenute, ai più, antiquate e superate.

L'imposizione alla visibilità nasce dall'avvento della società dell'immagine, prima veicolata da televisione e Internet e oggi soprattutto da schermi e display di smartphone e tablet. Il display diventa simbolo, mezzo e scopo della società della visibilità, lo schermo diventa il mondo, lo specchio, e la realtà della realtà. "La nostra è una società dell'esibizione dove il sapere è diventato vedere in un mondo in cui la realtà è uguale all'immaginario - scrivono Nicole Aubert e Claudine Haroche - [...] è una società nella quale il soggetto sembra essere in contatto solo con le apparenze, egli stesso sembra essere un simulacro, una parvenza di essere, inghiottita da un sogno....".

A manifestare una maggiore tendenza alla visibilità è sempre più chi vive quotidianamente in contatto con le nuove tecnologie e ne fa un uso perseverante durante la giornata. È su queste persone, scrivono le due autrici del libro, che si manifestano maggiormente gli effetti di un’evoluzione tecnologica che "opprime l'individuo fino a impedirgli di capire ciò che fa e il mondo nel quale vive e tutto questo per l'onnipotenza di schermi e immagini, supporti di un flusso sensoriale e di informazione continua".

Per resistere alla visibilità non è obbligatorio diventare invisibili ("per vivere felici, viviamo nascosti"), anche perché l'invisibilità è praticamente impossibile (neppure Robinson Crusoe è rimasto invisibile a lungo). L'invisibilità potrebbe comportare un ripiegamento su se stessi e una fuga dalla socialità che può determinare effetti negativi. Si può però vivere una visibilità moderata e praticare un’invisibilità temperata, come quella che cerca un bambino appena nato unitamente ad affetto e maggiore attenzione. È una ricerca di visibilità, non ossessiva e tantomeno patologica, fatta dalla capacità di vita interiore molto forte, di sconnettersi e ritrovare coordinate spazio-temporali non digitali o tecnologiche, di riflettere sulle nuove condizioni umane dettate dalla tecnologia e dai suoi imperativi visivi/visuali e dalla negazione del valore del giudizio degli altri e di un po’ di amore per se stessi (non necessariamente narcisistico).

Senza abitare i Social Network si rischia di essere invisibili!

Chi parla più di blogosfera? Nessuno! Eppure è stato, agli inizi degli anni 2000, lo spazio per eccellenza nel quale migliaia di giovani e meno giovani si sono costruiti visibilità, autorevolezza, reputazione e opportunità. Oggi al blog si è sostituito il Social Network. Al tempo della blogosfera pochi ma numerosi frequentatori della rete scrivevano sui loro blog e all'interno di reti e comunità fatte di altri blogger e visitatori interessati e consapevoli. Oggi molti, quasi tutti, continuano a scrivere ma all'interno di reti sociali di vario tipo, tra le quali spiccano per numero di membri e partecipanti quella di Facebook e in ambito professionale quella di Linkedin.

Le nuove reti sociali, a differenza dei blog dei primi anni duemila, si caratterizzano per essere accessibili e consultabili in mille modi diversi. Le nuove opportunità e aspettative che ne derivano alimentano nuovi desideri, soddisfano bisogni reali e permettono nuove forme di relazione sociale e interpersonale, e offrono grande esposizione e visibilità.

Le reti sociali sono perfette per tutti coloro che amano farsi vedere e mettersi in mostra. Atteggiamenti non necessariamente negativi o esibizionistici, ma spiegabili con il desiderio di cercare e trovare la convalida di altri su alcuni aspetti della propria vita interiore e personale. ll mettersi in mostra non è un comportamento specifico solo di coloro che amano farsi vedere. Dopo essersi costruita la propria stima di sé, tutti sono alla ricerca di una qualche forma di conferma esterna e i Social Network tecnologici sono perfetti per garantirne una, e nel contribuire alla crescita dell'autostima personale e allo sviluppo del sé dei suoi membri.

Nelle nuove reti sociali online l'individuo esiste quanto più è visibile e circondato da altri che, come lui, sono alla ricerca di nuovi contatti  e legami, per essere certi che in ogni momento qualcuno li stia pensando o 'visualizzando'. La quantità sostituisce la qualità della relazione. La condivisione sociale su un Social Network diventa un modo per comunicare un’esperienza e renderla visibile ma anche per diventarne maggiormente consapevoli. La visibilità ricercata non è intima e vincolata a relazioni uniche o selezionate. È una ricerca di visibilità fatta di messaggi testuali e visuali indirizzata a più persone e a chi avrà voglia di ascoltare. Lo scopo decisivo, spesso implicito e non comunicato, intimamente desiderato, è invece sempre lo stesso, trasformare una visibilità virtuale in un legame reale e trovare un interlocutore attento, capace di comprendere e recepire i nostri messaggi e le nostre comunicazioni.

Ne consegue il bisogno costante di occupare online nuovi spazi riempiendoli di contenuti in modo da farsi trovare, dai motori di ricerca prima (anche loro ammaestrati alla visibilità e predisposti a premiarla) e poi per farsi notare da chi i motori li usa, dentro e fuori dei Social Network. L'occupazione degli spazi passa oggi attraverso forme suggerite e consolidate, note come profili, che si portano appresso numerose informazioni comprese fotografie e immagini, video e molto altro. Il bisogno di presenziare gli spazi della rete, è dettato dal diffondersi di dispositivi mobili che garantiscono l'immediatezza dell'accesso ma anche quella della visibilità (cambio foto perché è cambiato lo stato d'animo e spero che qualcuno lo veda subito...).

Se non posso essere invisibile, posso almeno andare oltre l'apparire?

In pochi anni è diventato impossibile non essere su Internet. Il fatto che ci siamo quasi tutti offre a chi usa la Rete per scopi marketing, commerciali ma anche fraudolenti, un’opportunità unica. I nostri profili e i racconti che facciamo di noi stessi appaiono in rete e sono disponibili a tutti. D'altra parte come si fa a non essere in Rete e a non interagire con altri così come si fa con un apparecchio telefonico? Se diventare invisibili è una missione impossibile, cosa possiamo fare per non farci trovare, per scomparire e per diventare più scaltri nel rendere la vita più complicata a chi ci vuole trovare o usare solo come destinatari di messaggi promozionali o commerciali o come bersaglio di azioni fraudolente? Ma soprattutto come andare oltre il puro apparire?

L'apparire si accompagna al desiderio forte di essere riconosciuti, porta a privilegiare la celebrità e la notorietà e denota sempre una qualche forma di narcisismo individualista. Il desiderio di apparire e la ricerca degli strumenti che lo permettono può evidenziare anche la volontà strumentale e utilitaristica del mezzo usato sia esso Internet, Social Network, o blog. In questo approccio utilitaristico spariscono spesso altruismo, scambio e collaborazione ed emergono bisogni concreti e finalizzati a benefici e vantaggi personali. In Rete si può apparire anche in modi diversi, con profili multipli differenti e con forme di rappresentazione del sé che permettono di sperimentare ruoli, personalità ed esperienze diverse. Queste identità differenti non sono mai puramente immaginarie ma espressione delle numerose vite e personalità che ognuno di noi vive nella sua esperienza esistenziale. Con la differenza che, essendo online e digitale, hanno vita propria e servono molto meglio allo scopo di apparire ed essere visti.

Andare oltre l'apparire si può e comporta la capacità di creare autenticità facendola percepire nella sua reale essenza. Strumento ideale per farlo è la scrittura, non quella immediata, abbreviata e spesso superficiale del Social Network, ma quella più strutturata e organizzata, complessa e pertinente con la personalità di chi scrive in termini di interessi, passioni, idee vere e pensieri. Anche chi agisce come blogger cerca notorietà e visibilità come forma di riconoscimento. Chi segue e legge i blog online, oggi un numero decrescente di persone, riconosce in essi qualcosa di più del semplice apparire o farsi vedere e una forte autenticità, difficilmente riscontrabile in altre parti sociali e abitate della Rete. La spiegazione sta nella capacità del blog di mostrare la personalità e i tratti identitari di chi lo pratica, di far percepire il legame tra interiorità e esteriorità (visibilità) e la vitalità di chi scrive. Ciò che interessa a un blogger non è la semplice visibilità ma essere visti per quello che si è creato ed essere letti per quello che si è scritto e si scrive. Non è un caso che i frequentatori di blog sono relativamente pochi ma spesso molto fedeli.

Superando la banalità e la superficialità dell'apparire per esserci, si scopre l'importanza dell'essere mostrandosi. La differenza si manifesta nella nascita e nello sviluppo di legami che, da deboli e laschi nello spazio-tempo digitale, si irrobustiscono uscendo dalla virtualità della Rete e dei Social Network per diventare amicizia e conoscenza relazionale nella vita reale. I legami deboli di Facebook favoriscono, grazie alla loro numerosità, la visibilità territoriale, quelli della blogosfera facilitano al contrario lo scambio di soggettività, di sensibilità e di realizzazioni personali. Su Facebook parlare di sentimenti ed emozioni è spesso un gioco dello specchio e del rimando (immagini riflesse numerose come i LIKE), sul Blog "da un’intuizione individuale si passa ad una idea discussa e da una semplice osservazione personale si passa a un argomento pubblicamente dibattuto" (Francis Jaurèguiberry). Ciò che conta non è apparire online ma aver provocato interesse, reso possibile lo scambio e il commento, facilitato l'ascolto e reso possibile il riconoscimento, del blogger ma anche del suo lettore.

La cosa più piacevole, a differenza dell'apparire tipico dei Social Network, tutti legati al profilo e alle sue molteplici esibizioni online, è che nella blogosfera tutto può avvenire nel più completo anonimato. Una forma di invisibilità o se si vuole un modo per andare veramente oltre il desiderio del semplice apparire.

La voglia di apparire e la volgarità dell'esposizione di emozioni, sentimenti e corpi

Il proliferare dei 'selfie’ (autoscatti) è l'ennesima manifestazione di comportamenti sempre più diffusi e finalizzati, da parte di uomini e donne, giovani e adolescenti, professionisti e nullafacenti, a esporre intimità e sentimenti in forme nuove che superano il confine tra privato e pubblico imponendo nuovi stili di vita e nuovi modi di vivere la sentimentalità e l'affettività. È una manifestazione dei tempi che non sembra passeggera ma indice di una trasformazione in corso che cambia la percezione dell'autenticità dei sentimenti e rende possibile una crescente spudoratezza e volgarità ma anche tanta visibilità.

Pur di apparire si abbandona la riservatezza, il senso di pudore dell'intimità e si espongono le emozioni allo sguardo pubblico, fino a renderle visibili in forma di immagini (fotografie e autoscatti) che possono diventare volgari e sfidare la spudoratezza e il buon gusto. Il tutto a una velocità e immediatezza mai sperimentata prima e resa possibile dalla facilità con cui è possibile trasformare in entità estetiche e oggetti, reali emozioni, sentimenti e desideri.

Per chi studia il fenomeno si tratta dell'emergere di nuove forme di codificazione delle emozioni e di nuovi modi di viverle, esprimendone i sentimenti e i desideri (pulsioni) associati. Si affermano nuove forme di libertà che esprimono un allentamento, sempre negativo, del controllo e della repressione, e la maggiore capacità di esprimere se stessi.

Il fenomeno si caratterizza però anche in numerose forme di volgarità e in espressioni molto kitsch di emozioni, sensibilità, sentimenti e soprattutto corpi. La volgarità odierna è molto tecnologica perché ha trovato canali e strumenti perfetti di espressione nella televisione, nei nuovi dispositivi mobili e nei nuovi media sociali. Ne deriva un’infinita serie di spazi online che mettono in mostra sentimenti ed emozioni che scaturiscono da persone reali e 'io' autentici ma che vengono teatralizzate, incapsulate, decontestualizzate e tradotte in semplici immagini e visioni diaframmatiche che non diventano mai un racconto o una narrazione. La cosa più avvincente, intrigante e incredibile è che queste immagini spezzate, questi sentimenti o emozioni spezzettati, sono creati di volta in volta da persone reali, uomini e donne che svolgono un ruolo chiave dietro una cinepresa, una videocamera o un dispositivo mobile.

Di fronte a queste manifestazioni visive dell'apparire è inutile versare lacrime, reprimere o indignarsi. Meglio sottoporre tutto al vaglio della nostra migliore capacità di critica, sviluppare nuove riflessioni e verificare se e quanto siamo ancora capaci di emozionarci veramente...versando magari un'unica lacrima al posto di quelle eccessive che molti versano guardando uno spettacolo della De Filippi.

Essere visibili è utile, ma essere invisibili è un diritto

La ricerca di visibilità e la voglia di farsi vedere non ha nulla di negativo ed è anzi un modo intelligente di usare le nuove tecnologie per essere riconosciuti e per vivere nuove relazioni sociali, per presentare se stessi con l’obiettivo di trarre dei vantaggi, per fuggire lontano da se stessi attraverso avatar e personalità multiple digitali o per essere riconosciuto per quello che si è e si vale.

Nell'odierna società dello spettacolo tecnologico va però anche riconosciuto che la visibilità è spesso imposta, promossa mediaticamente e quasi vissuta come un obbligo. In questa forma di manifestazione essa va considerata come priva di autenticità e creatività di senso. Non è un caso quindi che molti si mettano alla ricerca di nuove forme di invisibilità e che alcuni le reclamino come un diritto, opponendosi a forme indotte e rubate di visibilità come quelle della sempre più diffusa videosorveglianza, satellitare, spaziale ma anche virtuale (vedi caso NSA e Datagate).

Chi ricerca l'invisibilità non è un anti-moderno o un conservatore, non è neppure un essere antisociale che cerca l'anonimato prima ancora dell'invisibilità (cosa riuscita in questi giorni a 100 ALQaedisti che si sono ritrovati nello Yemen all'insaputa di CIA e enti anti-terrorismo vari, come documentato da uno scoop della CNN). Spesso chi ha cercato o cerca l’invisibilità è catalogato tra i maledetti, i dissidenti, i devianti, ecc. Ma tutti costoro sono i primi a sapere che diventare invisibili è praticamente impossibile e che il loro stesso desiderio di invisibilità non è assoluto. Senza qualche forma di visibilità la loro vita sarebbe impossibile, solitaria e infelice.

L'invisibilità è sempre e comunque un diritto. Nell'epoca dei selfie, degli schermi e delle immagini, può essere anche una forma di protesta per affermare il diritto democratico a fare qualcosa di diverso dalla moltitudine (chi si ricorda il film di Benigni nel quale con la frase "in culo alla maggioranza" lascia l'assemblea condominiale che non ha voluto ascoltare la sua opinione?) e di farlo anche in assoluta segretezza e invisibilità.

Le donne del passato si nascondevano dietro veli e velette, quelle dei paesi arabi lo fanno ancora oggi dietro chador e burka vari, perché non dovrebbe essere possibile farlo anche in rete e sui Social Network? E perché farlo dovrebbe essere giudicato antisociale e 'anormale’ (fuori dalla norma praticata dai più)? La risposta è che non solo è già possibile farlo ma è ciò che sta succedendo, a chi vuole guardare con maggiore attenzione e in profondità.

Come spiegare diversamente la fuga degli adolescenti nativi digitali dell’ultima generazione Z da Facebook per evitare gli sguardi dei loro genitori e parenti? Come spiegare il successo di WhatsApp per la sua funzione utile alla creazione di piccoli gruppi di amici? Cosa dire della voglia di creare reti sociali personali e private?

L'eccessiva visibilità esperita come forma di grande libertà sta generando gli anticorpi della segretezza e della conseguente invisibilità. Cosa possibile nelle nostre democrazie occidentali, meno in quelle di regimi come quello turco, egiziano o cinese che vietano l'uso di Twitter e/o intervengono per controllare le comunicazioni dei Social Network (Facebook) o di Internet (Google).

A volere rimanere invisibili sono i terroristi di Al Qaeda ma anche i pedofili. Gli uni e gli altri falliscono comunque il loro obiettivo perché la loro voglia di apparire e la loro necessità di comunicare li obbliga sempre a qualche forma di visibilità. Chi non vive esperienze di questo tipo punta invece ad una visibilità piena che, essendo spesso costruita su immagini evanescenti e falsamente trasparenti, genera il desiderio di autenticità e suggerisce qualche momento sereno di invisibilità.

Una conclusione impossibile

La visibilità è tema complicato e contraddittorio, ricco di sfaccettature che non si prestano a semplificazioni o facili letture e rinvia a problematiche varie ed eterogenee. Una riflessione non è obbligatoria ma utile. Soprattutto se si vuole comprendere se e quanto la visibilità sia diventata un’imposizione, una caratteristica sistemica della nostra società tecnologica o invece la risposta concreta a un desiderio reale. Se lo scopo è di essere guardati attentamente per essere riconosciuti per quello che si è (autenticità) o si vuole essere percepiti (riconoscimento), vale l'esperienza della visibilità con le sue conseguenze moderne e tecnologiche. Se la visibilità è poco più che una pratica finalizzata al semplice apparire e a presenziare uno spazio sociale in Rete, allora il risultato potrebbe essere sorprendente e manifestarsi in nuova sofferenza, estraneità e minore autostima.

Un altro aspetto da non sottovalutare è che, se tutti coloro che usano la Rete e i Social Network sono alla ricerca di visibilità, in teoria non esiste nessuno disponibile a guardare e a soddisfare il desiderio di visibilità degli altri. Tutti vogliono farsi vedere e per questo sospendono lo sguardo, ne consegue che pochi sono quelli guardati e visti. Al massimo sono visti di passaggio, nel sottofondo di una navigazione veloce su una pagina web e subito dimenticati (visibilità illusoria bye bye!). I benefici della visibilità spariscono, sia in termini di comunicazione, di interazione, di incontro e di relazione intersoggettiva e interpersonale.

Non rimane che fare affidamento alla propria capacità di discernimento fondato sulla conoscenza, la capacità di riflettere su se stessi e la consapevolezza che non tutto è ciò che appare e che una visibilità incapace di produrre benefici e vantaggi non è una pratica da perseguire o da suggerire. Meglio trovare un sano equilibrio tra visibilità e invisibilità, definire con cura i confini tra privato e pubblico, ricercare un sano equilibrio emotivo e sentimentale che non abbia bisogno di eccessiva esteticità e spudoratezza pubblica e infine sviluppare cognitivamente gli strumenti che servono per dialogare con l'imperante presenza della tecnologia dell'informazione nelle nostre vite di ogni giorno.

 

 

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