Il libro di Carlo Mazzucchelli Tecnologia, mon amour forever è pubblicato nella collana Technovisions di Delos Digital
Se vuoi andare veloce vai da solo, se vuoi andare lontano, vai insieme!
Si nasce e si muore da soli ma in mezzo c’è un gran viavai, oggi sempre più nella forma di una delle numerose vite virtuali e parallele che, come esseri umani e tecnologici, viviamo e pratichiamo alla ricerca di nuove felicità e relazioni interpersonali con l’obiettivo di sfuggire all’isolamento e alla solitudine. Una fuga difficoltosa da perseguire perché irta di ostacoli e contraddizioni, fatta di andate e ritorni, di entusiasmi, nuove angosce, ansie da prestazione e frustrazioni, di rapidi e improvvisi innamoramenti e di odi profondi, di incontri ricchi di opportunità e altri densi di conseguenze negative e pericoli reali.
Le nuove tecnologie sociali e mobili, che caratterizzano il secolo che stiamo vivendo, ci hanno reso sempre più interconnessi e immersi in reti sociali (Social Network) fatte di collegamenti, contatti, conversazioni, affetti, relazioni virtuali e online. È un mondo sociale abitato emozionalmente e affettivamente che sta generando nuove malattie psicologiche, mentali e fisiche che si manifestano in nuove forme di solitudine e di isolamento, di sofferenza, di angoscia e di depressione. Una realtà già nota a psicologi e studiosi che hanno verificato sul campo, attraverso indagini e studi approfonditi, con pratiche e sportelli di supporto psicologico, l’esistenza di un collegamento stretto tra l’uso della tecnologia e la solitudine. Un fenomeno che interessa ormai quasi il 50% delle persone che praticano e abitano i Social Network (reti sociali) online.
Parlare di solitudine come prodotto della tecnologia non è semplice. La solitudine, come stato dell’anima interiore ed esperienza di vita, è da sempre argomento e oggetto di studio da parte di psicologi, psichiatri e terapeuti, e sul tema sono già stati scritti numerosi libri (uno su tutti, Insieme ma soli di Sherry Turkle). Parlarne serve a prendere consapevolezza e a evidenziare la profondità degli effetti che le nuove tecnologie e le pratiche di social networking online hanno sulle persone, e in particolare sulle nuove generazioni di nativi digitali.
Per parlarne bisogna fare chiarezza su alcuni aspetti psicologici che non possono essere superficialmente confusi, ad esempio quelli relativi alla condizione del vissuto quotidiano di isolamento (solitudine negativa) e di solitudine (essere solitari per poter sognare, pensare, riflettere e immaginare da soli). Un vissuto quotidiano che suggerisce l’insufficienza delle piattaforme sociali digitali, e la necessità di dare un senso alle pratiche della vita reale. La distanza tra le due pratiche virtuali e reali è determinata dall’affidarsi ciecamente alla potenza e alla logica degli algoritmi delle applicazioni digitali. È un modo di uniformarsi, in modo conformistico, al comportamento dei più (una volta si sarebbe usato il temine di massa) rinunciando alla propria individualità e voglia di libertà e alla socializzazione che deriva dall’appartenenza a una comunità reale nella quale ottenere sostegno, mantenendo la propria autonomia. Disporre di centinaia di contatti e di apprezzamenti sociali in forma di Like non è sufficiente a soddisfare il bisogno di approvazione sociale e di autostima personale. Un cinguettio, un messaggio WhatsApp, un selfie su Instagram sono tutti eventi utili a mantenere attiva una connessione, a comunicare dove ci si trova e come ci si sente, ma se su di essi non cresce qualcosa di nuovo, sono semplici strumenti dai quali non nasce alcun approfondimento, relazione profonda o esperienza coinvolgente.
La solitudine del social networker (sul tema ho scritto un intero e-book dal titolo La solitudine del social networker) non va colta solamente nelle sue conseguenze negative ma analizzata come atteggiamento positivo e come forza creatrice, come un’apertura al mondo, alle persone e alle cose, alla ricerca di relazioni significative con gli altri, di nuove reti sociali ed esperienze comunitarie e di valori interpersonali e condivisi. Solo uno sguardo allargato permette di cogliere le molte contraddizioni che si celano nei desideri e negli aneliti di chi abita le parti abitate della Rete. Sono contraddizioni che nascono da bisogni essi stessi conflittuali come quelli che spingono alla ricerca di un contatto fisico e di sicurezza o quelli che suggeriscono di evitarlo per desiderio di libertà e ricerca di massima autonomia.
Il social networking genera solitudine perché fa sentire soli, ma aiuta a sfuggire all’isolamento nel quale siamo spesso imprigionati nella vita reale come monadi isolate e chiuse a ogni interferenza da ogni tipo di mondo esterno o persona. Favorisce lo sviluppo del dialogo e la comunicazione, suggerisce la solidarietà e la collaborazione per obiettivi condivisi e comunitari. Per chi frequenta la parte abitata della rete e sperimenta la sua socialità, la solitudine della rete assume la forma di uno stare da soli e contemporaneamente insieme agli altri, diventa una forma di investimento produttivo e rilassante, emotivamente coinvolgente, capace di semplificare comunicazione e relazione e di ridefinire gli ambiti di responsabilità e di partecipazione.
Reti di oggetti intelligenti per umani sempre più stupidi
Per vivere creativamente e positivamente la solitudine, il social networker deve fare attenzione al rumore di fondo, al surplus informativo, al frastuono di messaggi e passaggi, al tumulto che nuovi cambiamenti di status e messaggi ‘dal sen fuggiti’ possono generare e alle provocazioni di persone amiche o che non lo amano. Deve cioè saper difendere o recuperare un vissuto di solitudine personale e interiore che comporta molta fatica ma è anche essenziale alla vita di ogni giorno. Deve saper ricomporre la frammentarietà della propria identità (quanti sono i profili online? Perché non possiamo chiuderne alcuni? A cosa ci servono?), ristabilire meccanismi e regole dello stare insieme e ridefinire i confini oggi compromessi tra virtuale e reale, tra realtà virtuali e parallele e realtà attuali.
La solitudine che si sperimenta in rete non è molta diversa da quella con cui ci si confronta quotidianamente. Come suggerisce lo psichiatra Eugenio Borgna, “la solitudine è una delle strutture portanti della vita. Ogni esperienza di solitudine ha una sua propria dimensione psicologica e umana, e una sua propria declinazione temporale”.
Oggi questa declinazione è prettamente tecnologica e virtuale, vissuta umanamente e psicologicamente negli spazi interstiziali, senza confini e vasti dei Social Network, di Internet e della rete telefonica e mobile, ricca di speranze, attese e aspettative future, spesso disattese e recanti infelicità e isolamento ma anche nuove opportunità.
Tutti sono online ma la folla (una massa oggi rappresentata da miliardi di utenti con un loro profilo Facebook e/o Google Plus, Twitter, Linkedin), che frequenta i Social Network, non garantisce il superamento della solitudine interiore, può contribuire a generare maggiore isolamento e frustrazione, obbligarci ad un confronto più serrato con il proprio io, a ricercare forme di apertura e riscatto verso se stessi e forme di solidarietà verso gli altri, capaci di generare la felicità che, come esseri umani, stiamo sempre cercando.
Le evidenze rilevate dai numerosi studi non danno risposte definitive al dubbio che sorge spontaneo se sia la solitudine a spingere le persone a usare sempre più la tecnologia o se sia invece quest’ultima a portare le persone a isolarsi sempre di più e a sperimentare nuove forme di solitudine. Probabilmente sono vere entrambe le possibilità.
Cresce la solitudine del cittadino e consumatore che vive le difficoltà della crisi economica che ha accresciuto disoccupazione e marginalizzazione. Cresce quella del cittadino della rete, portato a misurare il grado della sua socialità in base al numero di contatti e ‘MiPiace’ sulla pagina Facebook, e di messaggi di status, che come oggetti inanimati e senza calore, sottolineano e acuiscono il senso generale di solitudine e il bisogno crescente di socialità reale, di contatto fisico e corporeo guidato dai sensi (non solo vista ma anche tatto, udito, e olfatto). Cresce ancor più la solitudine autistica dei ragazzi delle nuove generazioni di nativi digitali e ‘touch’ che, per citare Michele Serra e il suo tenerissimo libro ‘Gli sdraiati’, vivono in orizzontale, in spazi dove «tutto rimane acceso, niente spento, tutto aperto, niente chiuso, tutto iniziato, niente concluso». Perennemente sdraiati sui loro divani, davanti ad un televisore o impegnati con un video-gioco, sempre connessi e circondati di oggetti tecnologici che usano come protesi e prolungamenti del loro corpo e pensiero, sono sempre più soli e incapaci di affrontare la realtà uscendo dall’isolamento, tutto tecnologico e virtuale, nel quale amano stare.
Connessi e dentro reti sociali rese possibili delle varie applicazioni di social networking online, ci si sente immersi nella folla ma è come se ci fossimo persi in un deserto inanimato e disabitato. Un deserto nel quale possiamo essere raggiunti da tutti e in qualsiasi momento, ma che viviamo in un isolamento mai sperimentato prima, nella stessa ampiezza e profondità, da nessuno dei nostri antenati. Le nuove tecnologie ridefiniscono la solitudine che viviamo offrendoci nuove opportunità, ma anche nuove angosce e frustrazioni. Molte di queste angosce nascono dallo sperimentare il distacco esistente tra il mondo ugualitario e multiculturale della Rete e quello conflittuale, disuguale e precarizzato del mondo reale. La povertà che molti sperimentano nelle loro vite reali in quella online sparisce magicamente, facendo scomparire con essa anche le disparità nelle condizioni di vita. Tutti possono scegliere gli stili di vita che preferiscono, tutti possono esercitare il loro diritto a sperimentarne la loro molteplicità e ricchezza, salvo poi scoprire la loro aleatorietà appena usciti fuori dai confini del Social Network e rientrati in quelli più solidi, rigidi e privi di reali libertà del mondo di fuori.
In pochi decenni la tecnologia ha cablato il mondo con fibre ottiche e protocolli di comunicazione superveloci che hanno eliminato le distanze spaziali e temporali ma non quelle psicologiche, umane e affettive. La connettività tecnologica e il social networking hanno reso praticabile una comunicazione assoluta e senza limiti ma ha generato nuove forme di alienazione. Siamo sempre collegati e con migliaia di contatti, ma sempre più disconnessi, più isolati, più soli e spesso anche più infelici perché immersi in un crescendo di nuove contraddizioni.
Si vivono nuove forme di socializzazione virtuali e stentiamo a ritrovare noi stessi nelle forme di socializzazione reale, pensiamo di far parte di un unico villaggio globale, più partecipato, condiviso e interattivo, ma siamo in realtà in coda su un’unica autostrada, ricca di informazioni e conversazioni ma senza una destinazione o via di uscita. La strada è in genere affollata, il contatto visivo richiama quello digitale ma quello che manca è il contatto umano, diretto e la condivisione di qualcosa che non sia la semplice direzione di marcia, velocità o esperienza della coda al casello.
Se questo è lo scenario, reticolare e adattativo, complesso, contradditorio, non ancora compiutamente analizzato e compreso, la riflessione non può avere l’obiettivo di fornire ricette o facili spiegazioni. Non ci sono né le une né le altre. Tutti devono impegnarsi a cercare le loro risposte e a dare un senso e una direzione alla propria vita nella consapevolezza che questo obiettivo non è raggiungibile online e nei molti mondi utopici che ci presenta la Rete. Molte utopie sono morte o s sono trasformate in distopie e quelle rimaste sono diventate virtuali e non ripetibili nel mondo reale.
La solitudine, soprattutto quella interiore, è con noi da sempre e lo sarà anche senza la frequentazione di Social Network o comunità online. Proprio per questo è utile riflettere sulle nuove forme nelle quali essa trova manifestazione e sugli effetti sulla stessa delle nuove tecnologie, della loro pervasività e pratica diffusa online, a prescindere da differenze di genere, anagrafiche, di istruzione e di censo.
Non si tratta di smettere di frequentare ambienti come Facebook, Linkedin, Twitter, MySpace o Google Plus ma di farlo con maggiore consapevolezza delle numerose opportunità che questi strumenti offrono e dei loro rischi e pericoli. Potrebbe anche succedere decidere di disconnettersi (staccare la spina, spegnere lo smartphone, dimenticare il tablet e il personal computer) per un attimo e di sperimentare la solitudine pre-tecnologica che ha reso infelici molte persone ma che può portare anche a esperienze interiori magiche, profonde, emotivamente ricche, fatte di silenzio e di riflessione, di contemplazione e concentrazione e di nuovi orizzonti di senso.
Se poi vi scopriste immersi nella lettura di questo e-book, avendo dimenticato che lo state leggendo sul vostro e-reader o tablet e non facendovi distrarre da notifiche in arrivo e messaggi vari, da email e dalla voglia di ricerche internet, significherà che l’autore di questo testo ha raggiunto lo scopo che si era prefissato.
Alla fine potreste trovarvi meno isolati e meno soli. Immersi in una sana solitudine interiore ritroverete voi stessi e sarete pronti a frequentare nuovamente le vostre reti sociali online, capaci di maggiore solidarietà e partecipazione, di condivisione e empatia ma soprattutto di maggiore profondità nella comunicazione e nelle relazioni con i vostri amici, conoscenti o semplici collegamenti sociali, comunitari e di rete.