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I pani, i pesci e i manifestanti - Fenomenologia della politica in piazza (in Italia)

I pani, i pesci e i manifestanti - Fenomenologia della politica in piazza (in Italia)

05 Marzo 2016 Michele Caprini
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Michele Caprini
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Qualche settimana fa, in viaggio, ascoltavo alla radio un interessante servizio sulle primarie americane: si parlava dell'affermazione dell'outsider Bernie Sanders nello stato del New Hampshire, e se ne sottolineava l'inusuale partecipazione popolare ai suoi raduni elettorali. Il tempo di accendere il tablet, alla prima area di servizio, e trovo le immagini di una sua uscita pubblica di particolare successo, in questo stadio di Los Angeles, qualche mese fa. Il dato sull'afflusso: 27.500 persone. Un grande successo, per Sanders e per tutti gli osservatori americani. Se giudicato con le misure italiane, sarebbe invece un flop.

E’ stato inevitabile tornare col pensiero all’ultimo presunto trionfo demografico della politica italiana, il family day romano dello scorso gennaio, in occasione del quale gli organizzatori hanno parlato, anzi strillato, di due milioni di persone in piazza. La rivendicazione in sé è talmente assurda che non varrebbe la pena occuparsene, se non fosse però per la naturalezza con cui è stata avanzata e la superficialità della discussione che ne è seguita. I due fattori appena citati meritano invece la riflessione del caso perché sono l’asse portante di una scuola politica, trasversale alle parti, per la quale si dà quasi per scontato che un conteggio fatto nell’ordine delle decine di migliaia sia di fatto l’ammissione di un fallimento.

Già nel giugno del 2015, in occasione di analogo evento politico (in quel Family Day si rivendicò più modestamente solo un milione di partecipanti), un ricercatore dell’Università di Trento, Francesco Guatieri, trovò spazio su Huffington Post per scrivere che un numero così alto di persone sarebbe stato possibile solo con la compenetrazione dei corpi. Nell’occasione l’analisi fatta da Guatieri mi sembrò però limitata ad alcuni elementari calcoli statici sulla superficie di Piazza San Giovanni e dintorni, e credo che una valutazione corretta dell’afflusso di folla a qualsiasi evento simile debba considerare molti parametri diversi: le dimensioni delle strutture usate, le aree riservate alla sicurezza e all’assistenza, la disomogeneità del flussi di folla nel percorso, la tipologia dei partecipanti, le differenze tra le forze organizzate che vi partecipano e altri ancora, ma la sua riflessione ebbe il merito di porre l’attenzione sulla folle deriva algebrica della nostra politica quando parla del manifestarsi di sé nelle piazze.

Alcuni anni fa mi trovai a scrivere di questa presunta, inverosimile pulsione delle italiche genti a scendere in piazza, e mi fu facile riferirmi alla parabola evangelica della moltiplicazione dei pani e dei pesci: letto con gli occhi della nostra politica, il racconto nei vangeli di Marco e Matteo inchioda il Salvatore a una triste mediocrità. La sola conseguenza possibile della veridicità di quanto preteso dai leader nostrani è che i miracoli sono di questo mondo, e in Italia riescono evidentemente con frequenza maggiore che in Galilea o in qualsiasi altra parte del pianeta.

Eravamo nel 2007, e la deriva algebrica toccò punte senza precedenti e difficilmente ripetute in seguito per la minore tendenza alla mobilitazione pubblica negli anni successivi, quando la contesa si è spostata progressivamente da numeri immaginari ad altri aspetti, peraltro ben tristi, della nostra vicenda nazionale. Ancora a quell’anno posso dunque riferirmi, perché la metodologia di analisi applicata a un periodo tra i più “creativi” della nostra storia recente trova regolare conferma anche nei numeri del presente.

Bene, per il particolare avvicendamento delle manifestazioni l’ultimo trimestre di quell’anno può essere preso a esemplificazione di questa deriva algebrica: il corteo di Alleanza Nazionale del 13 ottobre, le primarie del Partito Democratico il giorno dopo, la risposta della sinistra la settimana successiva e la giornata nazionale contro il governo Prodi. 

Quest’ultimo cercò l’ennesimo primato giocando non solo sulle piazze, ma sull’allegro sistema combinato di gazebo e di siti internet (fece storia il sito “rivotiamo.it”) che sembravano accettare il voto da qualunque identità virtuale prima ancora che il computer venisse acceso. Al termine della kermesse, in una progressione numerica probabilmente corrispondente alla sua progressione emotiva, Berlusconi sostenne che tra firme e sottoscrizioni prima sette, poi otto milioni d’italiani si erano schierati con lui.  Considerati  i diciannove milioni di voti dalla sua coalizione raccolti alle precedenti elezioni politiche, quindi, poco meno di un elettore ogni due senza preoccupazione alcuna per banalità quali la distribuzione dei votanti  sul territorio, il numero reale di gazebo e per il tempo effettivamente disponibile, il digital divide di allora (improponibile il paragone con la diffusione della connettività di oggi, che pure non è certo tra le prime in Europa) e il fatto, certo per lui non degno di nota, che un terzo circa di questa vive in zone considerate “non inurbate”.

Tanta disinvoltura nel rivendicare milioni di persone a supporto della necessità del momento poggiava sul tradizionale abuso dei numeri che in Italia accomuna da sempre nell’inattendibilità, e spesso nel ridicolo, tutte le scuole politiche

Solo un mese prima della pirotecnica esibizione berlusconiana, troviamo un precedente importante nella manifestazione della sinistra, che coinvolse secondo gli organizzatori proprio un milione di manifestanti e sempre a San Giovanni. La manifestazione fu effettivamente molto partecipata, ma le stime degli organizzatori tradirono la più assurda irrazionalità. Il sabato precedente si era parlato di mezzo milione con AN, e il giorno successivo di tre milioni e mezzo per le primarie del Partito Democratico (sui criteri di partecipazione delle quali, e sulle misure conseguenti, ci sarebbe da scrivere e discutere altrettanto a lungo). In tutto cinque milioni di italiani che si sarebbero mobilitati politicamente, a cui andrebbero aggiunti gli otto milioni di Berlusconi. Quindi, pur assumendo che almeno la metà del presunto mezzo milione di manifestanti di AN fosse poi anche passata ai gazebo del cavaliere, quasi tredici milioni d'italiani.

Si noti che quanto appena scritto non considerava il generale andamento dell’astensionismo e delle schede bianche o nulle che ha interessato il nostro paese in maniera costante e relativamente regolare dagli anni settanta in poi. Nelle elezioni politiche del 2006 il 19% degli elettori non andò a votare eppure, per un fenomeno che non è dato di comprendere, la politica da scelta minima dell’urna sarebbe diventata invece scelta massima in piazza: più di un elettore su tre (nel 2006 votarono 38 milioni d’italiani su 47 milioni di aventi diritto) avrebbe manifestato direttamente le proprie scelte politiche nell’arco di un mese.

Per meglio chiarire il concetto, spostiamoci al 2002, quando la battaglia per l’articolo 18 fu premessa di una delle mobilitazioni più grandi della storia della repubblica, conclusa al Circo Massimo da Cofferati il 22 marzo: la stima finale data da più fonti fu di tre milioni di persone, e quel numero diventò proverbiale. Non so come fosse possibile pensare che un italiano su diciannove, secondo i dati del censimento di allora, potesse convergere nello stesso momento e nello stesso luogo per esprimere una posizione sostanzialmente unitaria, e a prescindere non solo dall’opinione al riguardo ma da fattori quali la distanza dal luogo di residenza, l’età, lo stato di salute, la facilità di trasporto, il costo della trasferta, le strutture di ricezione, e altri ancora. All’enfasi dei giorni successivi mi capitò quindi di opporre una semplice riflessione originata dalla “notizia” comune a molte testate che al Circo Massimo fosse giunta solo una minoranza del corteo. 

 

Così decurtai dei due terzi l’immensa forza tranquilla, come la definì Eugenio Scalfari, ipotizzando quindi che “solo” un milione di partecipanti fosse giunto al Circo Massimo. Dopo di che, per il calcolo successivo presi a modello Piazza Tien An Men, la più grande piazza del mondo con i suoi 400.000 metri quadrati di estensione: assegnando come coefficiente una densità di 2,5 persone/mq (chi pensa a 4 persone per metro quadro distribuite in maniera ordinata e omogenea sulla superficie interessata, non ha idea della realtà delle cose) ne risulterebbe giusto il milione di persone considerato.

All’opposto, applicando lo stesso coefficiente al Circo Massimo (che, peraltro, le foto e le riprese della manifestazione dimostrarono eccessivo), la cui area è meno di un quinto di Piazza Tien An Men, a riempirlo sarebbero state sufficienti 200.000 persone (ironia della Storia, la capienza massima che gli studiosi assegnano alla struttura durante l’impero di Costantino) o, in alternativa, avrebbe dovuto verificarsi il ricambio completo per cinque volte dei manifestanti, per giungere a un terzo dei partecipanti rivendicati.

Torniamo al 2007. "Siamo tantissimi, più di mezzo milione, italiani venuti qui per dare lo sfratto al centrosinistra e a Romano Prodi". Queste le parole dello speaker di Alleanza Nazionale, aprendo gli interventi dal palco del Colosseo il 13 ottobre (Gianfranco Fini, invece, nel commentare l’iniziativa dalle pagine del sito del partito, si tenne prudentemente lontano da azzardi numerici). Se riflettiamo sulle 500.000 persone, poco meno di un italiano su cento, è probabile che si tratti di una cifra forse non raggiunta neppure dal regime fascista durante il ventennio delle adunate oceaniche. Se guardiamo ancora ai risultati elettorali del 2006 (nelle quali An più Mussolini più le altre destre di Mussolini e Rauti raccolsero poco più di 5.000.000 di voti) si voleva quindi passare per normale una mobilitazione globale del 10% del totale dei votanti, compresi più di 1/4 di ultrasessantenni.

Un esperimento che ha fatto storia è stato condotto nel 2009 in Spagna, un altro luogo del Mediterraneo dove spararla grossa è la regola. Nell’ottobre di quell’anno il raduno antiabortista e contro Zapatero svoltosi a Madrid spinse gli organizzatori a spendersi il milione di prammatica. Purtroppo per loro c'era chi teneva conti accurati, che dimostrarono che i partecipanti effettivi erano tra 55.000 e 60.000, con un margine di errore ammesso del 15% (67 mila e cinquecento individui al massimo, quindi). Lo spiegò a "El Paìs" Juan Manuel Gutierrez, il capo di Lynce, una nuova società che aveva messo a punto una efficace tecnologia “conta–teste”. Recitava la presentazione aziendale: "Il progetto Lynce vuol porre in valore l'espressione pubblica delle opinione offrendo un metodo rigoroso alla rilevazione dei partecipanti in questo tipo di azioni pubbliche". Un metodo scientifico, in sintesi, utile in sede politica quanto per l’ordine pubblico o per uso commerciale (è facile pensare, per esempio, all’importanza che potrebbe avere per la valutazione da parte degli sponsor dell’investimento corretto da fare su un evento).

Il segreto industriale copriva la tecnologia adoperata, ma si venne comunque a sapere di una ricerca fatta del 1996 da tre studiosi - A. J. Schofield, P. A. Mehta and T. J. Stonham, A system for counting people in video images using neural networks to identify the background scene – della possibilità di effettuare il calcolo analizzando le immagini video secondo la matematica delle "reti neurali". Ma si valutarono anche altre ipotesi, come l'analisi di immagini digitali lette e "contate" da un computer, o l’uso raggi infrarossi o le emissioni di calore dei corpi umani. Uno scopo  privo d’intenzioni politicamente nocive che ciò nonostante attirò su di sé gli strali degli “spacciatori di numeri” comunque collocati. Lynce fu costretta a chiudere nel 2012 per problemi finanziari.

In ogni caso, i vizi di fondo di questa concezione (un tempo sarebbe stata chiamata “massimalista”) sono cronici: non è mai stato facile adattarsi all’idea che la politica manifestata da decine di migliaia di persone sia già un successo. E’ invece importante rendersene conto, perché le aspettative ed il corretto dimensionamento dei fenomeni politici (e delle scelte successive che da questo dipendono) cambiano radicalmente se i fenomeni stessi non sono completati dai numeri ma costruiti sui numeri, ed è importante accettare misure ben diverse da quelle cui siamo abituati,  magari nel raffronto con altre tradizioni politiche o anche coll’opportuna osservazione di ambiti diversi dalla politica (in Italia, per esempio, suggerirei di farlo guardando alla folla dell’Angelus la domenica mattina o alle manifestazioni nazionali degli Alpini; non le partite di calcio o i concerti, per loro natura affollamenti statici e misurabili con notevole precisione). 

Se guardiamo agli Stati Uniti, Martin Luther King alla famosa marcia per i diritti civili di Washington (i have a dream) del 28 agosto 1963, che viene ancora considerata uno dei momenti fondamentali del novecento americano, mobilitò una moltitudine di persone per la quale ancora oggi la stima più generosa, dall’altra parte dell’oceano, non è superiore alle 200.000 persone. Eppure quella manifestazione è nella percezione collettiva americana una manifestazione popolare d’importanza storica indiscutibile (qualcuno ricorderà che il regista Robert Zemeckis volle riproporla a base di una delle scene più note del suo formidabile “Forrest Gump”). 

 

I funerali del presidente Kennedy, il 24 novembre 1963, furono accompagnati da cinquantasei ore di diretta tv - nelle quali si consumò l’uccisione dell’unico accusato del delitto, Lee Harvey Oswald, e divenne icona il saluto militare del piccolo John John al padre – e furono partecipati, per tutti i giornali americani, da centinaia di migliaia di cittadini. Nelle elezioni presidenziali americane del 2008 fece scalpore l’enorme partecipazione popolare all’ultimo comizio di Barack Obama a St.Louis: furono pochissimi i media che arrivarono a parlare di 100.000 persone, i più si attestarono intorno alle 90.000 unità.

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A Woodstock le cronache dell'epoca parlarono di 400.000 persone (per me, comunque, una stima sovradimensionata) e quella fu una marea umana filmata e fotografata in lungo e in largo, fino a diventare sinonimo di enorme folla. E’ realistico pensare che a Roma il venti giugno 2015 ci fosse una folla due volte e mezza più grande? 

 

Possiamo poi rivolgere la nostra attenzione a uno tra gli eventi più popolari al mondo, la maratona di New York, e allora la fotografia a fianco può aiutare a chiarire il concetto. Di sicuro l’immagine della folla sul Ponte Da Verrazzano non può non colpire. Occorre notare che non ci è dato vedere una parte consistente del ponte né le persone che occupano le zone limitrofe, in entrata e in uscita dallo stesso e che la superficie complessiva della struttura è equivalente, se non superiore, ad un percorso classico delle manifestazioni italiane, quello che a Roma va da Piazza Esedra a San Giovanni in Laterano (sul percorso Amendola - Cavour - Santa Maria - Merulana). L’ultimo dato utile a completare l’osservazione è che per la maratona di New York adotta una sorta di “numero chiuso”, per il quale la partecipazione è limitata a solo una parte delle 100.000 richieste che pervengono ogni anno, scelta tramite una lotteria che privilegia chi ha già gareggiato nel passato e i migliori tempi di qualificazione. L’edizione più affollata della celebra manifestazione podistica è stata stimata in circa 45.000 partecipanti, e si calcola che complessivamente abbiano preso parte alla corsa più di 700.000 persone in quarantaquattro edizioni diverse. 

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Quali allora gli strumenti corretti per fare stime corrette? Possono essere assunti dalla volontà e dalla scuola politica, in primo luogo, e poi da molti parametri di valutazione: la complessità vera sta nel definire la relazione reciproca tra questi e la sintesi finale. In conclusione, la differenza non è non nella polemica spicciola del “siamo di più/siete di meno”, ma nell’accettazione di un principio di fondo che risulta quasi intollerabile al nostro modo d’essere: la politica è fatta dalle minoranze. Più o meno grandi e più o meno organizzate, ma sempre minoranze. Spiegarlo ad una polis degenerata, per la quale il chiasso è regola e cinquantamila persone un’inezia, è impresa improba.

Genova, 5 marzo 2016

 

 

 

 

 

 

 

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