Scrive Giampaolo Azzoni: “La mia ipotesi è che le religioni aziendali rappresentino una prova della celebre (e discussa) tesi risalente ad Émile Durkheim secondo la quale il modo religioso si trasforma, ma accompagna necessariamente l’organizzazione sociale: “Il y a […] dans la religion quelque chose d’éternel qui est destiné à survivre à tous les symboles particuliers dans lesquels la pensée religieuse s’est successivement enveloppée.”
“Quelle différence essentielle y a-t-il entre une assemblée de chrétiens célébrant les principales dates de la vie du Christ, ou de juifs fêtant soit la sortie d’Égypte soit la promulgation du décalogue, et une réunion de citoyens commémorant l’institution d’une nouvelle charte morale ou quelque grand événement de la vie nationale?”
Parlando di religioni aziendali, mi discosto però da Durkheim su un punto importante: Durkheim si riferiva alla società in quanto collettività generale, io invece mi riferisco alle aziende, alle società commerciali.” Religioni aziendali, intervento al Convegno di sociologia del diritto in onore di Silvana Castignone su Diritto/Diritti, Morale/Morali, Religione/Religioni, Università degli Studi di Cagliari 19-20 settembre 2003).
C’è la necessità per l’impresa, sia essa un’azienda che produce sci o un giornale, un supermercato o una tv, di proporre ai suoi “fedeli” la gratificazione di aver scelto il miglior mondo aziendale possibile: famoso, internazionale, competitivo, verde, etico, innovativo, unico.
La bandiera-brand protegge, rassicura, identifica. L’adesione si realizza attraverso riti collettivi, promesse, ricompense, abitudini, ricorrenze, comunicazioni, accessori, video, siti, socialnetwork, house organ, modi di vestire e architetture.
“’Essere praticante di una religione aziendale – prosegue Azzoni - è un tutt’uno con l’essere parte attiva della propria comunità. In fondo, si potrebbe sostenere che nella post-modernità le religioni aziendali siano modalità residue per una pratica tradizionale in cui believing e belonging tornino a coincidere. (…). Ciò che è più rilevante per il tema delle religioni aziendali è che, secondo le ricerche di Collins / Porras, le “visionary companies”, come J&J con il suo Credo, hanno una peculiare cultura interna: una “cult-like culture”. Infatti, le “visionary companies” presenterebbero quattro caratteristiche comuni con i culti: ideologia sostenuta in modo fervente (“fervently held ideology”); indottrinamento (“indoctrination”); pressione alla conformità valoriale (“tightness of fit”); • convinzione di essere speciali e superiori (“elitism”).
Tecnoconsapevolezza e neo-umanesimo digitale (Shanti Curcio)
Poiché hanno “cult-like culture”, le “visionary companies”, in modo più simile ad una religione che alla media delle altre aziende, tracciano netti confini tra chi è “inside” e chi “outside” considerando l’appartenenza attiva come il meta-valore fondamentale, il cui possesso è più importante delle stesse competenze professionali”. Veniamo quindi ad alcuni esempi di credo. La Danone alla voce entusiasmo specifica: “I limiti non esistono, ci sono solo ostacoli da superare. Entusiasmo significa audacia, passione, voglia di superare. È il contrario del conformismo burocratico Significa desiderio e capacità di assumersi rischi, esplorare nuovi sentieri pieni di sorprese ed imprevisti; superare gli ostacoli. Implica libertà di spirito ed assenza di paure e pregiudizi. Passione. Sinonimo di convinzione, primordialità, indissolubilità, volontà, attrazione, superarsi, superare e raggiungere il culmine. È il desiderio fisico, ottimista ed entusiasta di crescere, di essere il primo.”
Per Zuegg i comandamenti della Corporate Social Responsability sono: collaboratori uniti attraverso la condivisione della missione e visione aziendale; collaboratori che vivono con e per l’azienda; impegno e passione per il proprio lavoro; grande spirito di squadra ed entusiasmo; forte unità nelle decisioni, nel successo e nella sconfitta; competenza e innovazione; proattività ed energia nell’esprimere la propria opinione; considerazione dell’errore come una parte del miglioramento, non come un fattore per polemizzare o ammonire.”
La religione aziendale (corporate religion) il più delle volte è diretta sia verso l’interno dell’azienda che verso l’esterno: “Clienti trasformati in fedeli, comportamenti di consumo analoghi ad un rito e dipendenti come officianti: caso esemplare di “corporate religion” è, secondo Kunde, quello dell’industria di motociclette Harley-Davidson” (ibidem). Un altro esempio è Diesel che recentemente ha lanciato la campagna Be stupid (nel senso di fresco, non conformista, sorprendente) accompagnandola con diversi claim diretti ad entrambe le categorie di credenti (collaboratori/clienti finali): you’ll create more, you’ll care less, you’ll eat better, you’ll make more friends, trust stupid, you’ll spend more time with your boss.
A margine una breve sottolineatura sull’uso seduttivo della lingua inglese in ambito aziendale, una sorta di lingua sacra, un codice di appartenenza a un mondo evoluto, moderno (postmoderno), liquido, frattale, dinamico. In questa direzione tra i valori recentemente acquisiti da molti credi aziendali vi è la flessibilità che, da una prospettiva diversa, secondo Giovanni Leghissa “Porta con sé la marcata personalizzazione dei rapporti gerarchici all’interno dell’impresa. Favorita da tutte le procedure comunicative in cui sono in gioco fattori come la motivazione e l’adesione alla cultura (culto) dell’impresa, tale personalizzazione impedisce che la negoziazione del proprio ruolo avvenga in concomitanza con la definizione di spazi conflittuali misurabili con parametri esterni a quelli fatti valere dall’impresa stessa. (…) Imprenditore di se stesso, ciascun attore in seno all’impresa deve mostrare di sapersi posizionare entro la rete di relazioni che costituisce l’organizzazione, grazie alla gestione autonoma sia della differenza che lo separa da tutti gli altri attori, sia della differenza che separa le proprie prestazioni presenti da quelle passate.” (Formazione imprese controllo: ovvero la pervasività delle retoriche del management, in “aut aut” 326, 2005, pp. 19-36).
Un altro valore “fluido” nelle aziende è la creatività, uno dei cardini delle politiche di Total Quality Management: “È di fondamentale rilievo per le imprese – scrivono Maria Colurcio e Cristina Mele – sviluppare approcci gestionali sistematici che consentano loro di stimolare la creatività all’interno della propria organizzazione e di valorizzarne i talenti al fine di ottenerne, nel medio lungo periodo, miglioramenti del clima e della soddisfazione interna e incremento delle performance di mercato attraverso lo sviluppo di proposizioni di valore in grado di sprigionare valore per il cliente. (...) I dipendenti rappresentano una tipologia di stakeholder dell’impresa particolarmente sensibile a valori differenti da quello esclusivamente economico.” (Intervento Quality management, creatività e talenti, al convegno Il marketing dei talenti, Roma, 5-6 ottobre 2007).
In conclusione ogni azienda promuove il proprio credo e i propri valori in relazione ai suoi obiettivi perché “il lavoro -come scriveva Pascal Faucher già nella prima metà dell’Ottocento - è la provvidenza dei popoli moderni; ha per loro il ruolo della morale, riempie il vuoto delle credenze e passa per il principio di ogni bene”. Culti diversi all’interno di un’unica religione che John Maynard Keynes definiva così: “Capitalism is the extraordinary belief that the nastiest of men for the nastiest of motives will somehow work for the benefit of all.”
Mario Anton Orefice