Milan Kundera
Internet ci ha disabituati all’attesa.
Vuoi un paio di scarpe? Basta un clic.
Vuoi un libro? Se i tempi di consegna sono lunghi, c’è l’ebook.
Vuoi un cd che esce tra un mese? Nessun problema, se lo ordini avrai due tracce scaricabili fin da subito.
Vuoi un film che deve ancora uscire? Se ti accontenti dei sottotitoli è già online.
Vuoi la risposta a una domanda? Wikipedia è pronta per te.
Sei alla fermata dell’autobus e ti annoi? Prendi lo smartphone e non ci pensare.
Basta che il tempo torni a scorrere velocemente. Basta non rendersi conto dell’attesa, basta ridurla a un battito di ciglia.
Nell’era digitale c’è un costante bisogno di riempire. Riempire il vuoto, riempire il tempo, riempire l’attesa, riempire la testa, riempire la vista.
Riempire il più in fretta possibile. E quando si è riempito, passare velocemente a qualcos’altro da imbottire di immagini e suoni, parole digitate e stimoli costanti.
Tutta questa sovra-stimolazione non lascia spazio al “dolce far niente”, fagocitato dalla paura che anche solo qualche minuto della nostra vita possa essere improduttivo.
L’opinione pubblica tra filosofia e social network
Si perde la capacità di fermarsi. Di aspettare. Di guardarsi intorno.
Me lo dicono genitori e insegnanti: i ragazzi non sono più in grado di aspettare, vogliono tutto e subito.
E non posso che essere d’accordo con loro.
Eppure, allo stesso tempo, pongo loro una domanda: perché pensate che abbiano così bisogno di riempire ogni istante?
Perché nessuno insegna loro a non farlo.
Nessuno insegna loro l’importanza di fermarsi.
Al più, gli si esorta a farlo senza comprendere quali siano i loro effettivi bisogni, senza sperimentare con loro forme altre di intrattenimento o scorrere del tempo.
E se nessuno lo fa, loro si comportano coerentemente con il mondo in cui sono cresciuti e stanno crescendo. Semplicemente perché non conoscono altra realtà.
C’è chi propone esperienze di Mindfulness Education, che si stanno timidamente diffondendo anche in Italia, c’è chi sequestra gli smartphone per la durata delle lezioni e chi li utilizza a supporto della didattica, c’è chi si arrende e chi si lamenta.
Quello che vedo io, però, sono ragazzi che si comportano nel modo in cui gli altri si aspettano da loro.
“Siamo fatti così” dice qualcuno.
“Ci siamo nati”, aggiunge qualcun altro.
E non hanno nemmeno quattordici anni.
Forse il problema non sta nella tecnologia, quanto piuttosto nella mancanza dell’unica alternativa che la tecnologia non è in grado di dare: l’essere presenti con se stessi e con gli altri. Una presenza che richiede coraggio. E che troppo spesso non viene insegnata.
"Hai mai notato che chiunque vada più lento di te è un idiota, ma chiunque vada più veloce è un pazzo?"
George Carlin