"Non c’è filosofia né azione eticamente fondata laddove ci sia disprezzo per la logica e la ragione e assenza di consapevolezza circa ciò che è stato, affinché non abbia a ripetersi. In questo senso personalmente credo si debba optare per un aut-aut: o filosofo o complottista. Perché se è vero che tutti noi possiamo coltivare dei sospetti e intravvedere degli intrighi, solo chi non ha una minima idea di che cosa significhi l’autentica ricerca del vero né di cosa s’intenda per responsabilità etico-sociale, può abbracciare con enfasi le pseudo-teorie del complotto, prive di prove, di logica e infine violente e profondamente antidemocratiche."
L'articolo che proponiamo è disponibile per intero sul blog dell'autrice: MADDALENA BISOLLO
Sono molte le prospettive attraverso le quali analizzare il fenomeno del cosiddetto “complottismo”, che spaziano dalla politica, all’economia, all’informazione, alla psicologia. Quello che tuttavia mi preme affrontare in questo articolo è il problema del complottismo quanto alla filosofia. In particolare, è necessario chiedersi se le teorie complottiste abbiano o meno qualcosa in comune con le teorie filosofiche.
Secondo Peter Pomerantsev, autore del libro Questa non è propaganda, pare proprio di no. Infatti, si tratterebbe più che altro di sostituire alla razionalità di una teoria logica e coerente, una visione del mondo totalmente fantasiosa e irrazionale. Secondo Pomerantsev, i complottisti rifuggono dalla dura realtà dei fatti, concedendosi a costruzioni mentali improbabili pur di trovare sollievo:
🍒🍒DISORIENTATI E IN FUGA NEL METAVERSO
“I fatti, in fondo, non sono sempre le cose più piacevoli; possono rammentarci, come avevo scoperto con la mia maestra, la signora Stern, il nostro posto e i nostri limiti, i nostri fallimenti e, in ultima analisi, la nostra caducità. Si prova una sorta di gioia adolescenziale nello sgravarsi di questi pesi, nel “mandare a quel paese” la triste realtà. La soddisfazione offerta da un Putin o da un Trump dipende proprio da tale liberazione dai vincoli”( 2020, ¶359)
Insomma, secondo questo autore, i politici che ostentano il gesto di rifiutare i fatti, che ratificano il piacere di sparare assurdità, che indulgono a una completa, anarchica liberazione dalla coerenza, dalla triste realtà, proprio per questo diventano attraenti.
“Che un tal numero di americani abbia potuto votare per qualcuno come Donald Trump, un uomo che tiene in così bassa considerazione la ragionevolezza e la logica, i cui tanti messaggi contraddittori non compongono un insieme coerente, è stato in parte possibile perché gli elettori avevano la sensazione di non essere coinvolti nella visione di alcun futuro fondato su basi fattuali. Era anzi la stessa incoerenza ad attrarre, come se autorizzasse a esternare tutta la follia che le persone sentivano dentro di sé. La gioia dispensata da Trump avallando il gusto di sparare stronzate è la gioia della pura emozione, spesso rabbiosa” (Ivi, ¶365).
Devo dire che, forse per la mia poca simpatia per Putin o Trump, questa descrizione del complottismo inizialmente mi è sembrata “simpaticamente allettante”. D’altro canto, credo che invece i loro sostenitori non si trovino affatto d’accordo, né che abbiano trovato granché di cui ridere. Probabilmente, a ragione.
Se infatti consideriamo come nasca una “teoria del complotto”, essa non deriva tanto da una necessità di approdare a un mondo fantastico, ma dalla speranza di dare ordine alla confusione. I complottismi derivano sempre dalla constatazione di alcune incongruenze nella realtà quotidiana e in particolare nella sua rappresentazione mediatica, che creano la sensazione che “qualcosa non quadri”. L’esigenza del complottista è quindi di un’esigenza di chiarezza e un bisogno di comprendere meglio il mondo e le modalità attraverso le quali esso viene narrato. Possiamo dire che il complottismo nasca “filosofico”? Sì, credo si possa anche dire così.