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Il nostro cervello sa imparare meglio delle macchine?

Il nostro cervello sa imparare meglio delle macchine?

26 Agosto 2015 Redazione SoloTablet
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Nell’era del machine-learning e degli algoritmi intelligenti è utile evidenziare come la capacità di imparare sia, fin dalla nascita, un talento unico del cervello umano. Un talento che si mostra in tutta la sua utilità nell’affrontare le sfide della vita, ma anche di crisi come quella attualmente rappresentata dalla pandemia da Coronavirus. Sull’importanza di apprendere e di imparare a imparare, abbiamo intervistato il Dott. Massimo De Donno, Amministratore Delegato di Genio net, rete d’imprese nata in Italia, ma presente oggi in più nazioni, che si occupa, appunto, di formazione nell’ambito delle strategie di apprendimento.

 

Buongiorno Dott. De Donno. Direi di iniziare con una breve presentazione di quello che fa, dei suoi progetti e in particolare della piattaforma e/o metodologia di apprendimento Genio. 

Genio in 21 Giorni è innanzitutto il titolo di un manuale sulle tecniche di apprendimento strategico edito da Sperling&Kupfer, del quale sono co-autore. Uscito nel 2012 è stato il più venduto in Italia e a oggi è tradotto e venduto in diverse nazioni in Europa. Visto il successo di questo nome, sicuramente ambizioso, lo ammetto, lo abbiamo registrato come marchio, proprietà di una rete d’imprese in cui lavora uno staff tanto qualificato quanto giovanissimo: tutor, docenti, istruttori di apprendimento strategico, che gestiscono 45 sedi sparse tra Italia, Spagna, svizzera, Inghilterra e USA.

Oggi, è l’unico corso internazionale che insegna un metodo di studio personalizzato che vanta più di 1.000 testimonianze di successo all’anno, dal Salvagente, rivista di tutela dei consumatori che certifica la bontà delle dichiarazioni rese dal corsisti. Più in generale, abbiamo seguito in questi anni circa 50.000 tra studenti e professionisti, con lo scopo di farli rinnamorare dello studio.

Genio in 21 giorni nasce dall’esigenza di trovare una soluzione definitiva a un problema che colpisce percentuali significative di cittadini, e che riguarda la società a qualunque livello: l’analfabetismo funzionale, l’abbandono scolastico, bassi livelli di autostima, ignoranza, tutti fattori negativi che causano crescenti difficoltà nel realizzare i propri scopi nella vita.

Ci siamo dati l’obiettivo di aiutare le persone a costruire un metodo di studio e di aggiornamento realmente efficace, personalizzato sullo stile cognitivo di ognuno, e che tenga conto delle caratteristiche individuali del corsista. Vogliamo che le persone tornino ad avere entusiasmo e gioia nell’imparare cose nuove, caratteristica che abbiamo tutti da bambini ma che purtroppo si perde andando avanti negli anni. Imparare a imparare è la prima delle cosiddette soft skills: abbiamo quindi creato l’anello che mancava per congiungere i tradizionali - e a volte poco utili - corsi di memoria e lettura veloce, con la ricerca scientifica sull’apprendimento, che a volte resta troppo astratta e priva di applicazioni concrete per le persone comuni. E i risultati e il successo della nostra proposta ci sta dando ragione.  

 

Cosa vi distingue da altre proposte simili sul mercato? 

Il “core” della nostra proposta nasce per certi versi dall’analisi di un’inadeguatezza, alla quale abbiamo dato una risposta.

Ci siamo resi conto che insegnare la velocizzazione della lettura e memorizzazione, ad esempio, non era sufficiente a sbloccare il potenziale di molti dei nostri corsisti: ci siamo dati allora da fare per capire realmente come identificare gli eventuali blocchi allo studio di ognuno e quali fossero le vere lacune accumulate in anni di banale tecnica “leggi e ripeti”, che è l’unica che viene insegnata a scuola. Abbiamo poi studiato e sperimentato svariati protocolli per lavorare sulla capacità organizzativa, di elaborazione, di autoregolazione. Abbiamo cominciato a collaborare con professionisti e scienziati di grande esperienza in diversi ambiti dell’apprendimento: la Prof. Emilia Costa, già prima cattedra di Psichiatria alla Sapienza, autrice di oltre 400 pubblicazioni, il Dott. Massimo Arattano, primo ricercatore del CNR di Torino, il Prof. Venturini, esperto di psicologia dell’apprendimento, e altri. Molte aziende nel settore della formazione continuano a erogare lo stesso corso da 30 anni; altri, hanno cercato di copiare il nostro metodo.

La nostra vera forza è la volontà di garantire ai nostri corsisti di essere seguiti personalmente dai preparatori personali, che diventano tali solo dopo un impegnativo percorso formativo e di specializzazione. La metodologia con cui lavoriamo si basa sulle migliori ricerche svolte in ambito di apprendimento negli ultimi 50 anni. Utilizziamo dei sistemi di profilazione degli stili cognitivi e di apprendimento dei nostri corsisti in modo da conoscerli sotto questo aspetto, ancora prima di incontrarli nei corsi. Grazie a quest’analisi, che continuiamo a potenziare e affinare da anni, creiamo un percorso personalizzato di potenziamento della capacità di apprendimento. Li aiutiamo a migliorare la cosiddetta metacognizione, cioè la consapevolezza di come si apprende e di come al loro cervello, in particolare, “piace imparare”. 

 

Siamo dentro un’era sempre più tecnologica. Le macchine sono dotate di meccanismi per l’apprendimento e sembrano diventare sempre più intelligenti, anche grazie alla elevata capacità di dati a cui hanno accesso (Big Data) e alla capacità computazionale di cui sono dotate (Cloud Computing e non solo). In questo scenario gli umani sembrano avere dimenticato l’importanza fondamentale dell’apprendimento, quali siano le risorse e gli strumenti da usare per farlo, ad esempio la tradizionale lettura, sempre più negletta e sostituita da un vacuo “navigare e fotografare”. Lei cosa ne pensa?

Quanto Lei afferma è corretto. Noi non nasciamo completamente precablati: disponiamo di un cervello analogico e flessibile che si presta a elaborare pensieri e immagini e ci aiuta a dare un senso a ciò che è nuovo e ignoto, a partire da ciò che già conosciamo. Non sempre siamo capaci di usare al meglio le potenzialità del nostro cervello: è come se avessimo in parte ceduto alle macchine il governo della conoscenza, lasciandoci condizionare cognitivamente in senso negativo.

Se diamo uno sguardo alla storia, vediamo come con l’invenzione della scrittura si estinsero gli aedi, i cantori professionisti che trasmettevano così la tradizione e la conoscenza, e l’epoca della trasmissione orale del sapere si è spenta. L’uomo non aveva più bisogno di memorizzare e trasferire alle generazioni successive la conoscenza attraverso la voce, ma poteva lasciare traccia di sé anche a chi sarebbe venuto centinaia d’anni dopo.

Da quando ci siamo abituati a salvare i numeri di telefono nella rubrica del cellulare, abbiamo completamente delegato a un dispositivo esterno il ricordo d’informazioni potenzialmente vitali, in determinati casi, ma fondamentalmente inutili. Meglio prima, od oggi? Analogamente, da quando salviamo le foto sul computer o sul cellulare, moltissimi hanno smesso di tenere un diario dei propri ricordi, con commenti e didascalie scritte a mano sotto le foto stampate e incollate sulle pagine. Anche in questo caso, è stata un’evoluzione o un’involuzione?

Potrei continuare con tantissimi esempi di come le nuove tecnologie, sempre di più e sempre più velocemente, stanno modificando le nostre abitudini. Probabilmente, è solo un cambiamento, che però dobbiamo capire come governare. Ogni tecnologia fondamentalmente nasce per risolvere una difficoltà o un problema percepito. Quindi, quando funziona è facile che si diffonda rapidamente, perché è una strada in discesa, un piano inclinato, dove la semplice forza di gravità esercitata dalla “comodità” ci fa rotolare sempre più velocemente. Non voglio con questo imputare il declino cognitivo a cui purtroppo stiamo assistendo da anni all’utilizzo della tecnologia, sarebbe tanto semplice quanto ingiusto: esso è legato a varie concause, tra le quali probabilmente anche la mancanza di un metodo di apprendimento che permetta alle persone di comprendere, elaborare e collegare le innumerevoli informazioni a cui si può avere accesso tramite i canali digitali nel mondo contemporaneo.

Per fare un esempio banalissimo, su YouTube ogni minuto vengono caricate 300 ore di nuovi contenuti, e il dato è costantemente in crescita; in Italia vengono pubblicati mediamente 171 libri al giorno (a riprova del fatto che nel nostro Paese c’è più gente che scrive che gente che legge, visto che il 35% delle opere stampate è destinata al macero, e molti libri non vendono nemmeno una copia). Senza ingegnarci con soluzioni concrete per migliorare la capacità di apprendere ed elaborare le informazioni, cioè collegarle, e farle proprie veramente, si diventa irrimediabilmente sempre più stupidi ed inadeguati alla complessità che ci circonda.

La soluzione non è certo quella di smettere di sviluppare tecnologie che migliorano la qualità di vita dell’uomo: gli algoritmi oggi fanno analisi predittive del movimento degli asteroidi e meteoriti che potrebbero colpire la terra, simulano scenari per individuare strategie efficaci e prevenire i danni causati da calamità naturali, aiutano la diagnostica in medicina, o nel trovare i guasti in sistemi molto complessi, e molto altro. Più studiamo come funziona il nostro sistema cognitivo, più crescono le conoscenze nel campo delle neuro-scienze, e più potenti diventano le macchine in grado di imparare ed elaborare dati.

Vent’anni fa per la prima volta un computer batteva a scacchi il grande campione Kasparov, grazie all’enorme potere e velocità di calcolo. E’ stata una sconfitta per l’umanità? No, anzi, non solo innumerevoli giocatori hanno potuto cimentarsi coi computer e migliorare autonomamente, ma soprattutto si sono aperti ambiti di ricerca in molteplici settori.

La soluzione allora è sensibilizzare gli esseri umani sull’importanza che ha per la nostra evoluzione, per la nostra crescita, per la nostra realizzazione completa, abbracciare quella che è l’attività precipua dell’essere umano: l’apprendimento. E con esso la ricerca afferente questo straordinario dominio della conoscenza. Ricordiamoci sempre che le macchine che imparano sono pur sempre una creatura dell’uomo, una riproduzione, mai perfetta, di quei meccanismi neurologici sulla base dei quali funziona il nostro cervello e l’apprendimento umano.

 

L’assenza di vita relazionale durante la pandemia Covid-19 ha eliminato improvvisamente un’opportunità importante di apprendimento, perché si apprende, si cresce e si sviluppa il proprio sé anche in relazione con gli altri. Lei cosa pensa sia successo in questo periodo? Abbiamo imparato qualcosa e cosa, quali sono le lezioni principali apprese? Cosa ci resterà dopo la pandemia, se qualcosa resterà? La lezione imparata sarà servita per dare slancio al cambiamento e alla trasformazione, tanto necessari nella nostra società?

In primo luogo, sperare che il dopo possa tornare a essere come prima, pare francamente assurdo. Non voglio peccare di disincanto, ma mi parrebbe surreale che la comunità umana non tenti di approfittare costruttivamente di questa emergenza che ho sconvolto la vita di miliardi di persone per cercare di costruire qualcosa di migliore per il nostro futuro. Immaginiamo che un terremoto ti abbia semidistrutto la casa. Magari erano anni che avresti voluto rifare il bagno, o abbattere quel muro, ingrandire quella finestra, cambiare i pavimenti, mettere a norma gli impianti… T’immagini se arrivasse una ditta a proporti di costruirla esattamente com’era prima, con gli stessi identici difetti? Sarebbe folle, nessuno lo farebbe. Quando vedi la casa distrutta, daresti tutto per avercela di nuovo, anche brutta come prima, ma ragionandoci poi un attimo a mente fredda prenderesti coraggio e ne approfitteresti per fare piazza pulita e ripensarla come l’avresti sempre voluta. L’esempio penso calzi a pennello. Vedo una grande opportunità per la scuola.

La didattica a distanza non ha funzionato alla perfezione, ma è stato un inizio: dobbiamo migliorarla, potenziarla, ma immagina se alla fine di questo processo ogni studente potesse seguire le lezioni su una piattaforma in grado di fornirgli non solo i contenuti che gli interessano maggiormente, ma tutte le lezioni dei migliori insegnanti, quindi con un livello di qualità altissimo, podcast sempre aggiornati con lezioni appassionate e appassionanti. Poi ci si trova in classe, al mattino per confrontarsi, per fare i compiti, per fare ricerche, per parlare e condividere idee, discutere magari, con i propri compagni e con gli insegnanti, che potranno dedicarsi meno all’insegnamento frontale e di più all’apprendimento vero e proprio, aiutando i ragazzi, e senza che il peso dei compiti cada sui genitori, per esempio. Perché è assurdo che a scuola si vada spesso ad ascoltare passivamente un docente che parla, e poi a casa, quando dovresti metterti a studiare tu, o fare i compiti, ci si ritrovi da soli. 

 

La pandemia che ha obbligato tutti a stare a casa, ha regalato tanto tempo libero a molti. Non tutti però ne hanno approfittato per investire e trarne vantaggio: non sembra ad esempio siano aumentate le letture tradizionali, e per contro il tempo dedicato ai molti schermi che abitano gli spazi domestici è cresciuto a dismisura. Cosa ne pensa?

In effetti non ci sono più “orari di punta” sui Social, ormai le persone sono connesse a qualunque ora. Questo non fa proprio ben sperare, in effetti, circa il fatto che questo “tempo in più” sia stato usato bene. Penso però che chi ha un mindset vincente e ha avuto del tempo in più, abbia innanzitutto potuto dedicarsi ad alcune cose che prima lasciava indietro. Sto parlando di tutte quelle attività che Stephen Covey, l’autore delle “Sette regole del successo”, che a mio avviso è uno dei testi di auto-aiuto più significativi di sempre, definirebbe “di secondo quadrante”, cioè: importanti, ma non urgenti, e che quindi tendevamo sempre a rimandare. Ciò include tutto ciò che ci permette di migliorare, dal punto di vista fisico, mentale, relazionale e spirituale: leggere, studiare, formarsi, pianificare, organizzare, pensare, meditare, allenarsi, camminare, ascoltare chi amiamo. Ecco, chi aveva già un buon mindset ha avuto modo di costruire un ulteriore vantaggio competitivo rispetto agli altri.

Secondo me quello che è diventato ancora più evidente rispetto a prima è la fondamentale importanza di sviluppare soft skills, le abilità trasversali, che tanto fanno la differenza nel raggiungere qualunque tipo di risultato, lavorativo e non, prime tra tutte la capacità di adattarsi al cambiamento: in definitiva, perché dobbiamo essere più reattivi, anzi, pro-attivi, andare incontro al cambiamento, cercando di evitare che questo ci possa raggiungere e schiacciare, superandoci. Aggiungo che la crisi determinata dalla pandemia in corso rappresenta una sfida enorme, inattesa, neppure immaginata nella sua portata e nelle sue potenziali conseguenze. E’ una crisi che suggerisce di riconsiderare il modo nel quale guardiamo e interagiamo con il mondo che ci circonda. Siamo in bilico dinnanzi a un “dopo” che obbligherà tutti a fare affidamento sulle proprie capacità e abilità personali, in un percorso di continuo adattamento. Cosa si può fare per attrezzarci a gestire questa crisi in modo realmente efficace, sotto il profilo economico, lavorativo, sociale, psichico? A mio avviso rimettere al centro l’importanza dell’apprendimento è un passaggio cruciale, non scontato, una parte dell’equazione che non può essere trascurata.

La crisi determinata dalla pandemia ha generato tre tipi di emergenza: sanitaria, economica e psicologica. Sulle prime due non dico nulla, già si sprecano articoli e commenti, da parte di analisti ben più competenti del sottoscritto. Mi interessa invece molto la terza. Se è vero che – per mutuare il concetto espresso dal titolo del primo libro che ho pubblicato, bastano circa 21 giorni per introdurre una nuova abitudine nella nostra vita, più di due mesi di lockdown hanno significativamente cambiato delle abitudini di ognuno di noi, e la regolare ripresa di certe attività sarà davvero complessa. Se una persona è rimasta “paralizzata” dal timore, sensazione più che comprensibile stante le difficoltà generate da questa irrituale situazione di “distanziamento sociale”, e non ha sfruttato questo periodo per migliorarsi, sarà veramente molto dura.

Chi aspettava le dirette Facebook del Presidente Conte per cercare di capire come sarebbe stato il proprio futuro, forse non ha ancora accettato l’idea che ognuno di noi deve impegnarsi per migliorare se stesso, reinventarsi, piuttosto, per essere più utile alla comunità, alla propria famiglia, ai propri colleghi e amici, e in definitiva – dal momento che ognuno di noi è parte di una rete sociale complessa – a se stesso. Come sappiamo, l’evoluzione premia la specie più abile ad adattarsi al cambiamento: in questo senso, la terribile esperienza che stiamo vivendo rappresenta anche un’irrinunciabile occasione per cambiare definitivamente le nostre abitudini, uscire da una zona di confort che non ci stava per nulla arricchendo, farci nuove domande e elaborare risposte innovative per migliorare definitivamente le condizioni di vita nostre e di chi ci circonda.

 

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