Filosofia e tecnologia /

Stiamo guadagnando la consapevolezza di ciò che andiamo perdendo ( Cristina Sassi)

Stiamo guadagnando la consapevolezza di ciò che andiamo perdendo ( Cristina Sassi)

30 Marzo 2017 Interviste filosofiche
Interviste filosofiche
Interviste filosofiche
share
Quando ancora Steve Jobs reggeva in mano davanti ad una platea piuttosto perplessa il primo IPad e quasi tutti si domandavano che farne se non utilizzarlo per leggere il giornale in spiaggia, nelle associazioni, nelle famiglie, negli operatori a contatto con persone disabili e nei disabili stessi cominciava a germogliare la sensazione di avere trovato la porta di accesso verso ben altro che la navigazione in internet durante le vacanze.

Carlo Mazzucchelli  intervista Cristina Sassi, psicologa esperta in Tecnologie Assistive presso Leonardo Ausilionline

Sei filosofo, sociologo, piscologo, studioso della tecnologia o semplice cittadino consapevole della Rete e vuoi partecipare alla nostra iniziativa con un contributo di pensiero?                                           .

Tutti sembrano concordare sul fatto che viviamo tempi interessanti, complessi e ricchi di cambiamenti. Molti associano il cambiamento alla tecnologia. Pochi riflettono su quanto in profondità la tecnologia stia trasformando il mondo, la realtà oggettiva e fattuale delle persone, nelle loro vesti di consumatori, cittadini ed elettori.

Sulla velocità di fuga e volontà di potenza della tecnologia e sulla sua continua evoluzione, negli ultimi anni sono stati scritti numerosi libri che propongono nuovi strumenti concettuali e cognitivi per conoscere meglio la tecnologia e/o suggeriscono una riflessione critica utile per un utilizzo diverso e più consapevole della tecnologia e per comprenderne meglio i suoi effetti sull'evoluzione futura del genere umano.

Su questi temi SoloTablet sta sviluppando da tempo una riflessione ampia e aperta, contribuendo alla più ampia discussione in corso. Un approccio usato è quello di coinvolgere e intervistare autori, specialisti e studiosi che stanno contribuendo con il loro lavoro speculativo, di ricerca, professionale e di scrittura a questa discussione.

 

Buongiorno, può raccontarci qualcosa di lei, della sua attività attuale, del suo interesse per le nuove tecnologie e per una riflessione sull'era tecnologica e dell'informazione che viviamo?

Buongiorno,

La ringrazio per avermi sollecitata ad intervenire alla riflessione e per correre il rischio di ricevere un contributo privo dell’ampio respiro che ho letto negli interventi di coloro che mi hanno preceduta.

Il mio apporto, se me lo consente, sarà infatti fortemente orientato ad illustrare l’impatto delle nuove tecnologie sulle persone con disabilità, e le spiego il perché.

Nel mio percorso formativo - che pure mi ha portato a sfiorare la filosofia - la vera attrazione è stata quella esercitata dalla neuropsicologia cognitiva e dal metodo scientifico elaborato da Popper (che della filosofia è pur sempre figlio) mentre per quanto concerne l’esperienza professionale mi sono trovata, per un percorso che considero casuale e fortunato, ad occuparmi della tecnologia avente come campo di applicazione la disabilità.

Nel 1998 ho contribuito a creare l’azienda nella quale lavoro tuttora, Leonardo Ausilionline, che si occupa di tecnologie assistive: ci dedichiamo principalmente  all’individuazione di strumenti e  strategie per consentire ai disabili di accedere agli stessi vantaggi, alle stesse funzioni ed agli stessi servizi che le tecnologie offrono ai normodotati (ad esempio, consentendo l’utilizzo dello smartphone), a volte piegando le tecnologie esistenti alle necessità particolari di chi presenta difficoltà, affinché possano essere eliminati, aggirati o superati handicap, svantaggi o menomazioni (pensiamo ad esempio ai dispositivi che permettono di scrivere e comunicare attraverso il solo movimento degli occhi).

Riguardo alla sua domanda, le risparmio la mia riflessione sull’era tecnologica in cui viviamo, perché ancora non ho trovato un equilibrio tra la nostalgia della libertà che si poteva respirare prima, chiudendosi la porta di casa alle spalle, e la curiosità che ogni novità suscita in me, specialmente quando col mio lavoro tocco con mano gli enormi vantaggi che la tecnologia può portare, se indirizzata ad un obiettivo (Tablet e APP per affrontare i disturbi dell'apprendimento: ce lo racconta Cristina Sassi).

 

Secondo il filosofo Slavoj Zizek viviamo tempi alla fine dei tempi (Vivere alla fine dei tempi). Quella del filosofo sloveno è una riflessione sulla società e sull'economia del terzo millennio ma può essere estesa anche alla tecnologia e alla sua volontà di potenza (il technium di Kevin Kelly in Quello che vuole la tecnologia) che stanno trasformando il mondo, l'uomo, la percezione della realtà e l'evoluzione futura del genere umano. La trasformazione in atto obbliga tutti a riflettere sul fenomeno della pervasività e dell'uso diffuso di strumenti tecnologici ma anche sugli effetti della tecnologia. Qual è la sua visione attuale dell'era tecnologica che viviamo e che tipo di riflessione dovrebbe essere fatta, da parte dei filosofi e degli scienziati ma anche delle singole persone?

Cerco di rimanere concentrata sul focus che mi sono imposta: non si tratta di vezzoso understatement, ma davvero non mi sento titolata per rispondere, se non rimanendo nell’ambito specifico della mia specializzazione (che comunque condivido con un numero assai ridotto di persone, per cui spero possa comunque suscitare interesse).

Io credo che si possano distinguere due diverse fasi storiche che connotano il rapporto tra tecnologia e disabilità.

In un primo momento, l’utilizzo del computer ha creato un solco tra chi possedeva tutte le abilità cognitive, motorie e sensoriali per utilizzarlo e chi non poteva accedervi ed è stato costretto ad una lunga e faticosa rincorsa. Questo affanno è stato colto da alcuni osservatori, che hanno dato vita alla corrente del “design for all”, con applicazioni anche in questo settore. Grazie alla progettazione “per tutti”, ad esempio, tante mamme oggi possono portare i loro figli a spasso col passeggino sugli stessi marciapiedi dotati di scivolo ove circolano guidatori di carrozzine elettroniche. Ecco, per i medesimi passi, alcuni programmatori illuminati hanno cominciato a prestare più attenzione ad esempio alla programmazione delle pagine web, rendendo consapevoli anche i semplici presbiti per raggiunti limiti di età (come me) che leggere un sito scritto in giallo su fondo arancione non è una tassativa prescrizione medica e che chi si presenta in modo non accessibile a tutti forse non merita i nostri sforzi per conoscerlo.

Terminata la rincorsa e raggiunta la possibilità di utilizzare tutti quanti – più o meno - le stesse risorse, con l’introduzione del tablet, si è intuita la possibilità - inizialmente solo abbozzata - di nuovi orizzonti accessibili anche ai disabili attraverso questi strumenti potenti.

Quando ancora Steve Jobs reggeva in mano davanti ad una platea piuttosto perplessa il primo IPad e quasi tutti si domandavano che farne se non utilizzarlo per leggere il giornale in spiaggia, nelle associazioni, nelle famiglie, negli operatori a contatto con persone disabili e nei disabili stessi cominciava a germogliare la sensazione di avere trovato la porta di accesso verso ben altro che la navigazione in internet durante le vacanze.

Oggi è chiaro a tutti che l’accesso touch, la leggerezza, la trasportabilità, la lunga durata delle batterie, i bassi costi del software specifico sono solo alcuni degli aspetti che costituiscono un vantaggio per chi sul dispositivo trasferisce funzioni importanti, quale ad esempio la comunicazione faccia a faccia.

Condivido quindi questa più recente visione ottimistica, che oggi riempie di aspettative il mondo che si confronta con la disabilità: la tecnologia, già da tempo, sta mantenendo molte delle iniziali promesse (La tecnologia è il modo dell’umano di stare al mondo: difficile distinguere dove finisce l’una e inizia l’altro.).

 

Miliardi di persone sono oggi dotate di smartphone usati come protesi tecnologiche, di display magnetici capaci di restringere la visuale dell'occhio umano rendendola falsamente aumentata, di applicazioni in grado di regalare esperienze virtuali e parallele di tipo digitale. In questa realtà ciò che manca è una riflessione su quanto la tecnologia stia cambiando la vita delle persone (High Tech High Touch di Naisbitt) ma soprattutto su quali siano gli effetti e quali possano esserne le conseguenze.  Il primo effetto è che stanno cambiando i concetti stessi con cui analizziamo e cerchiamo di comprendere la realtà. La tecnologia non è più neutrale, sta riscrivendo il mondo intero e il cervello stesso delle persone. Lo sta facendo attraverso il potere dei produttori tecnologici e la tacita complicità degli utenti/consumatori. Come stanno cambiando secondo lei i concetti che usiamo per interagire e comprendere la realtà tecnologica? Ritiene anche lei che la tecnologia non sia più neutrale?

Ritengo che prima di addentrarci in una riflessione così ampia, su come e quanto la tecnologia stia cambiando il nostro cervello, occorra attendere qualche dato al quale appoggiarsi.

Credo di riscontrare un enorme ritardo della ricerca, che non sta al passo con l’innovazione tecnologica.

Il lavoro di raccolta di compendi tematici è sicuramente lungo, ed ora siamo sommersi dai risultati di ricerche che i giornali sensazionalisticamente pubblicano, senza esercitare alcun controllo scientifico serio.

Quindi attendo con fiducia che qualche dato confermi l’impressione, certamente forte, che l’uso della tecnologia stia influenzando il nostro modo di ragionare in modo deciso, senza che questo mi faccia cadere nella tentazione di una interpretazione complottistica da “Quarto Potere” o da “Grande Fratello” (Il Grande Fratello non ci guarda, siamo noi che lo guardiamo e tuttavia ne veniamo dominati.): non credo cioè che questa trasformazione sia dovuta alla precisa volontà di qualcuno, bensì la ritengo semplicemente parte del cambiamento in atto.

 

Secondo il filosofo francese Alain Badiou ciò che interessa il filosofo non è tanto quel che è (chi siamo!) ma quel che viene. Con lo sguardo rivolto alla tecnologia e alla sua evoluzione, quali sono secondo lei i possibili scenari futuri che stanno emergendo e quale immagine del mondo futuro che verrà ci stanno anticipando?

Nel mio settore, in una prospettiva immediata si utilizzerà sempre più la tecnologia per “agire con gli occhi”; già oggi non solo è possibile scrivere, navigare in internet, aprire una porta o rispondere ad una email soltanto muovendo una pupilla: si comincia ad indagare sempre più concretamente la possibilità di utilizzare le onde cerebrali per compiere le stesse attività.

Altre prospettive sono legate all’uso del GPS per le persone non vedenti, all’impiego di esoscheletri che consentano di camminare anche a chi si muove in carrozzina; mi piace pensare anche agli sviluppi che può avere l’auto che si guida da sola, ma qui usciamo dal seminato.

Guardi, quello che manca non è la tecnologia per chi è disabile: ciò che manca in Italia è un sostegno sociale alla sua diffusione. Qui sì che la filosofia diventa davvero importante: come guida alla politica, che è quella che poi traduce un’idea in una ricaduta concreta nella vita delle persone.

 

Secondo alcuni, tecnofobi, tecno-pessimisti e tecno-luddisti, il futuro della tecnologia sarà distopico, dominato dalle macchine, dalla singolarità di Kurzweil (la via di fuga della tecnologia) e da un Matrix nel quale saranno introvabili persino le pillole rosse che hanno permesso a Neo di prendere coscienza della realtà artificiale nella quale era imprigionato. Per altri, tecnofili, tecno-entusiasti e tecno-maniaci, il futuro sarà ricco di opportunità e nuove utopie/etopie. A quali di queste categorie pensa di appartenere e qual è la sua visione del futuro tecnologico che ci aspetta? E se la posizione da assumere fosse semplicemente quelle tecno-critica o tecno-cinica? E se a contare davvero fosse solo una maggiore consapevolezza diffusa nell'utilizzo della tecnologia?

L’ultima che ha detto, per parafrasare Guzzanti.

Le riporto un episodio recentissimo: mentre ero al lavoro, su un gruppo whatsapp di genitori è giunta la richiesta di controllare i cellulari dei nostri figli perché pareva circolasse - ovviamente senza il suo consenso - un video lesivo della dignità di una ragazzina.

Ecco, la tecnologia senza educazione mi fa paura: rappresenta una grande risorsa per alcuni soggetti deboli, per altri rappresenta una grande pericolo.

Credo che l’educazione, la cultura, la conoscenza, la riflessione siano i soli antidoti: sarebbe necessario un lavoro consapevole ed efficace di educazione all’uso e di formazione e informazione cui, purtroppo, spesso chi è deputato ad educare, formare ed informare, non è sufficientemente preparato. Lo ha rilevato anche lei nel suo “Tablet a scuola”, vero?

A queste difficoltà, si aggiunge poi la mancata conoscenza delle opportunità declinate in base alla disabilità. E qui ci si addentra in un territorio assolutamente inesplorato.

Ho tentato una sfida con me stessa proponendo un intervento formativo che ha come oggetto gli ausili per la comunicazione basati sulle nuove tecnologie ed il ruolo sociale: il software su tablet e l’utilizzo da parte di adolescenti con handicap. Nel mio piccolo, tento di miscelare le conoscenze di studio, che cerco di mantenere aggiornate, relative all’età adolescenziale e la mia esperienza diretta con adolescenti disabili di fronte alle nuove tecnologie. So di rischiare un azzardo o un atto di presunzione, però potrebbe rivelarsi uno stimolo a nuovi confronti e riflessioni, se avessi molta fortuna.

 

Mentre l'attenzione dei media e dei consumatori è tutta mirata alle meraviglie tecnologiche di prodotti tecnologici diventati protesi operative e cognitive per la nostra interazione con molteplici realtà parallele nelle quali viviamo, sfugge ai più la pervasività della tecnologia, nelle sue componenti nascoste e invisibili. Poca attenzione è dedicata all'uso di soluzioni di Cloud Computing e ancora meno di Big Data nei quali vengono archiviati miliardi di dati personali. In particolare sfugge quasi a tutti che il software sta dominando il mondo e determinando una rivoluzione paragonabile a quella dell'alfabeto, della scrittura, della stampa e di Internet. Questa rivoluzione è sotterranea, continua, invisibile, intelligente, Fatta di componenti software miniaturizzati, agili e leggeri capaci di apprendere, di interagire, di integrarsi e di adattarsi come se fossero neuroni in cerca di nuove sinapsi.  Questa rivoluzione sta cambiando le vite di tutti ma anche la loro percezione della realtà, la loro mente e il loro inconscio. Modificati come siamo dalla tecnologia, non ci rendiamo conto di avere indossato delle lenti con cui interpretiamo il mondo e interagiamo con esso. Lei cosa ne pensa?

Penso che un algoritmo che studi i comportamenti, le interazioni e le comunicazioni di una persona con disabilità possa mostrarsi una base eccellente per fornire soluzioni che rendano motivanti ed accessibili attività altrimenti troppo faticose.

Una predizione di parola che apprenda ciò che scrivo, una selezione di musica costruita in base ai miei gusti, un suggerimento d’acquisto legato a quanto ho già comprato può essere disturbante e invasiva per qualcuno, ma per altri può rivelarsi un aiuto estremamente prezioso.

 

Se il software è al comando, chi lo produce e gestisce lo è ancora di più. Questo software, nella forma di applicazioni, è oggi sempre più nelle mani di quelli che Eugeny Morozov chiama i Signori del silicio (la banda dei quattro: Google, Fcebook, Amazon e Apple). E' un controllo che pone il problema della privacy e della riservatezza dei dati ma anche quello della complicità conformistica e acritica degli utenti/consumatori nel soddisfare la bulimia del software e di chi lo gestisce. Grazie ai suoi algoritmi e pervasività, il software, ma anche la tecnologia in generale, pone numerosi problemi, tutti interessanti per una una riflessione filosofica ma anche politica e umanistica, quali la libertà individuale (non solo di scelta), la democrazia, l'identità, ecc. (si potrebbe citare a questo proposito La Boetie e il suo testo Il Discorso sulla servitù volontaria). Lei cosa ne pensa?

Anche in questo caso, fatto salvo quanto già detto sopra, ritengo che la riflessione sia fuori dalla mia portata.

Avverto un oscuro disagio al riguardo, ma nulla che abbia preso ancora forma di un’opinione definita (un ossimoro, peraltro, considerato quanto fluido sia questo mondo e le idee ed opinioni che il suo sviluppo continuamente stimola)

 

Una delle studiose più attente al fenomeno della tecnologia è Sherry Turkle. Nei suoi libri Insieme ma soli e nell'ultimo La conversazione necessaria, la Turkle ha analizzato il fenomeno dei social network arrivando alla conclusione che, avendo sacrificato la conversazione umana alle tecnologie digitali,  il dialogo stia perdendo la sua forza e si stia perdendo la capacità di sopportare solitudine e inquietudini ma anche di concentrarsi, riflettere e operare per il proprio benessere psichico e cognitivo. Lei come guarda al fenomeno dei social network e alle pratiche, anche compulsive, che in essi si manifestano? Cosa stiamo perdendo  guadagnando da una interazione umana e con la realtà sempre più mediata da dispositivi tecnologici?

Una risposta provocatoria: in realtà stiamo guadagnando la consapevolezza di ciò che andiamo perdendo. Non credo sia un caso l’esplosione di interesse per le pratiche di Mindfulness, che stanno entrando di prepotenza anche in settori che ne erano estranei (riabilitazione, studi di neuroscienze, educazione...)

Se, per chi ha esperienza del “prima”, questa può talora portare ad una presa di coscienza illuminante, per i nativi digitali è ancora tutto da verificare.

In ogni caso, per chi una rete sociale fatica a costruirsela per reali barriere ambientali, i social network continuano a rappresentare una validissima opportunità per intessere, coltivare e mantenere relazioni sociali.

 

In un libro di Finn Brunton e Helen Nissenbaum, Offuscamento. Manuale di difesa della privacy e della protesta, si descrivono le tecniche che potrebbero essere usate per ingannare, offuscare e rendere inoffensivi gli algoritmi di cui è disseminata la nostra vita online. Il libro propone alcuni semplici comportamenti che potrebbero permettere di difendere i propri spazi di libertà dall'invadenza della tecnologia. Secondo lei è possibile difendersi e come si potrebbe farlo?

Sinceramente al momento non ne sento l’esigenza (almeno finchè non mi capiterà di smarrire il cellulare…)

 

Vuole aggiungere altro per i lettori di SoloTablet, ad esempio qualche suggerimento di lettura? Vuole suggerire dei temi che potrebbero essere approfonditi in attività future? Cosa suggerisce per condividere e far conoscere l'iniziativa nella quale anche lei è stato/a coinvolto/a?

Non per piaggeria, ma riconosco che Lei è uno dei non numerosi riferimenti se si vuole leggere di questi temi in lingua italiana.

Per quanto riguarda i temi da approfondire, sarebbe forse interessante sollecitare esperienze di vita che possano testimoniare quanto si va discutendo.

Ed infine, invece che suggerire, sicuramente agirò nel mio ambito riferendo della vostra iniziativa (non è la prima volta) nella nostra LeoNews, la newsletter periodica che conta oltre 2000 persone interessate al tema dell’Assistive Technology.

Credo che possa essere uno scambio proficuo tra ambiti che condividono spazi di interesse.

 

Cosa pensa del nostro progetto SoloTablet? Ci piacerebbe avere dei suggerimenti per migliorarlo!

A me piace così com’è.

Se riusciste a trovare e condividere un modo per spremere dalle 24 ore del giorno un po’ di tempo in più da dedicare alla lettura, ecco, quello sarebbe un miglioramento preziosissimo.

 * Tutte le immagini di questo articolo sono scatti di viaggio di Carlo Mazzucchelli(Maroco, India, Bhutan)

 

 

comments powered by Disqus

Sei alla ricerca di uno sviluppatore?

Cerca nel nostro database