CUORE

01 Gennaio 2022 Etica e tecnologia
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cuòre - Organo muscolare, cavo, che costituisce il centro motore dell’apparato circolatorio, situato, nell’uomo, tra i due polmoni, sopra al diaframma, davanti alla colonna vertebrale, dietro lo sterno. Cuore, latino cardium, greco kardía, inglese heart. In sanscrito è hrid, parola che ci parla del cuore, ma più in generale di ciò che è interno, delle interiora, delle viscere. Corda, originariamente riferita a budella, intestino (ed è ancora questo il suo significato in calabrese e in sardo) forse non ha la stessa origine di cuore, ma come cuore ci parla di qualcosa di viscerale, interno, profondo e – potremmo aggiungere – di qualcosa che entra in risonanza nella vibrazione o nel ritmo del battito.

[cuò·re]

Il cuore non è sempre stato l’organo dei sentimenti e delle passioni, e amore non ha sempre fatto rima con cuore.

C’è stato un tempo nel quale era considerato sede dell’intelletto, ma anche l’organo più interno, profondo, centrale, custode della vita quando la vita coincideva col sangue, o sede della coscienza, luogo nel quale vive il soffio che ci ha dato vita e uscirà dopo il suo ultimo battito, al momento della morte, che come la nascita è solo un momento, non una condizione.

Il cuore presiedeva la nostra integrità ed esprimeva l’intimità assoluta. Modi di dire tramandati e conservati fino a oggi ci parlano dell’amico del cuore, come dell’amico più caro, e di espressioni come ti amo con tutto il cuore, ovvero con tutto me stesso, non con una parte, con i sentimenti o le passioni, ma nella mia integrità; aprire il cuore, dunque svelare i pensieri intimi.

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Dal cuore prendono vita parole nobili che con i sentimenti e le passioni non hanno a che fare. Poi è successo qualcosa, e il cuore è diventato metafora di passione, il sacro cuore di Gesù, quello dolorante di Maria, i cuoricini dell’amore bambino, fino alla pornografia delle più melliflue immagini e metafore.

Cuore, latino cardium, greco kardía, inglese heart. In sanscrito è hrid, parola che ci parla del cuore, ma più in generale di ciò che è interno, delle interiora, delle viscere. Corda, originariamente riferita a budella, intestino (ed è ancora questo il suo significato in calabrese e in sardo) forse non ha la stessa origine di cuore, ma come cuore ci parla di qualcosa di viscerale, interno, profondo e – potremmo aggiungere – di qualcosa che entra in risonanza nella vibrazione o nel ritmo del battito.

Da cuore vengono: l’accordo, parola che nella risonanza apparenta ancora il cuore con la corda e arricchisce il linguaggio costruito intorno alla musica, e ci parla di mediazione raggiunta, disponibilità a venirsi incontro, convergenza; la concordia, corrispondenza intima di idee e sentimenti; il coraggio, la virtù del cuore, per la quale possiamo esporci fino a mettere a rischio la nostra incolumità; il cordoglio, il dolore intimo, quello più profondo; la cordialità, la disposizione alla relazione, connotazione di apertura all’altro, per entrare con l’altro in sintonia; la misericordia, il cuore che si fa piccolo con chi è piccolo, ma anche l’amore non meritato.

 

Ricordare 

... non è esattamente rammentare e neppure rimembrare (parola ormai in disuso se non per la retorica commemorativa, per un uso enfatico.

Rammentare è riportare alla mente, ricordare è riportare al cuore: posso rammentare una formula, una dimostrazione, un articolo di legge, un percorso stradale, qualcosa che connetta la memoria all’intelletto; ma mio padre lo ricordo, e con lui le persone e le storie e i luoghi (non gli spazi, proprio i luoghi) per i quali conservo affetto e calore 

La via del cuore, quella cordiale, porta all’incontro, esprime un movimento dialogico, nel quale si ascolta e si parla, si riceve e si dà.

Tradotta nel lavoro della terra, la via cordiale segue l’andamento delle linee di livello, si adatta al suolo, risponde alle condizioni che incontra adeguandosi o portando modifiche leggere, che nella sostanza della forma e della composizione non alterano – non rendono altro – quel terreno, quel luogo, quell’ambiente. 

L’altra via con la quale si fa agricoltura (e che sarebbe appropriato chiamare agriusura) è quella che spiana, sbanca, elimina le pendenze, eradica e rimuove gli ostacoli, in altre parole non si adatta al terreno ma adatta il terreno a sé; non persegue un modo dialogico ma, per seguire un progetto astratto, monologico. Chi la percorre agisce come decisore monocratico, se non addirittura come predatore.

Cordiale, invece, è il modo dei terrazzamenti sulle alture: asseconda le pendenze e l’orditura del terreno, li modifica con leggerezza senza stravolgerli: questo è cosa fa chi ascolta il luogo dove lavora e lo trasforma accondiscendendo al suo andamento. Cordiale, giocato sull’accordo, come fa lo strumento che si accorda al diapason prima dell’esecuzione del brano musicale, è il modo che antepone il mezzo al fine, avendo prima ascoltato il tessuto sul quale agisce, per poi muoversi accondiscendente e convergente perché la natura di quel testo sia assecondata e, se adeguata, non capovolta.

Geometrico quello degli sbancamenti: si muove per linee rette e per piani, per realizzare il progetto steso sulla carta con matita, squadra e compasso: arriva fin dove la tecnologia glielo permette e non si ferma dinanzi ad alcuna obiezione di valore etico o estetico, salvo non sia asservibile al piano economico che in filigrana lo anima. Antepone il fine e la realizzazione del progetto ai mezzi, indifferente al tessuto sul quale agisce – la terra, l’ambiente, la comunità dei viventi – considerandolo niente più che un supporto inerte, come un foglio bianco da scrivere, cancellare e riscrivere a piacere. Di qui il primato dell’astrazione, della razionalità, del progetto, della scelta unidirezionale, di un monologo sul mondo – la decisione è presa in anticipo, poi il mondo si adatterà – che si impone attraverso la forza di leggi e direttive, fissate e imposte con la stessa modalità astratta da chi nei fatti persegue i medesimi fini. 

E altrettanto geometrica è la medicina indifferente alla personalità del paziente, alla sua storia e a quella della sua famiglia e del testo comunitario nel quale vive, ai suoi desideri, le sue paure, le sue attese, la fede che lo esprime, le scelte di vita, le sue reazioni e insofferenze particolari, la particolarità del suo corpo che non può essere subordinata all’astrazione di misure, valori, intervalli standardizzati, teoriche attese di vita, indici di normalità, protocolli terapeutici, medie dalle quali non è prudente discostarsi, diagnostica che non alza lo sguardo sulla persona ridotta a paziente, che è declinazione medica dell’individuo.

Geometrica l’architettura che prepara case senza avere chiesto il parere e ascoltato i desideri e le sensibilità e le necessità di chi le andrà ad abitare, case prefabbricate, moduli prêt-à-habiter, ottimizzando spazi, materiali, soluzioni adatte per residenti senza volto, conformi agli indici di abitabilità in vigore, con servizi e impianti astrattamente a norma, in agglomerati dove la densità porta la cavalletta prossima a mutare in locusta o in villette a schiera linde e uguali, casa-dolce-casa che basta raccontarsela e crederci, dove talvolta la standardizzazione è camuffata da una patina personalizzante.

Geometrica la scuola che prepara programmi indifferenziati e come abiti pronti da indossare li infila a chi ci si dovrà adattare, volentieri o per forza.

Geometrica la legge, quella civile come quella della chiesa, quando fissa norme indifferenti alla verità delle singole persone, alla singolarità di ciascuna storia, alla sofferenza che il loro astratto rispetto può generare, anteponendo la legge alla vita, facendola oggetto di un rispetto formale e impersonale, astratto, qualche volta idolatra. 

Non più persone, titolari di relazione, portatori sani o sofferenti di storie, sguardo di fronte allo sguardo, ma pazienti, imputati, extracomunitari, clandestini, rifugiati, clienti, consumatori, assistiti, contribuenti, patrocinati, cittadini, avventori, residenti, personaggi, star, protagonisti, eroi, titolari di un ruolo sociale dentro un spazio geometrico o dentro un spazio giuridicamente e istituzionalmente definito.

Misure umane 

Secondo il modo geometrico, per astrazione, non ci sono limiti alle misure: lo spazio, il tempo e ogni cosa sono divisibili e dilatabili all’infinito, anche se escono dai limiti entro i quali possono essere comprese o anche solo sperimentate e perciò sapute. Ma l’assenza di limiti è teorica, mentale, del tutto disincarnata. La conoscenza non conosce limiti, però la sapienza li sa, e sono gli stessi della vita e dell’ambiente, quelli definiti dall’esperienza personale, da quella comunitaria e dell’intera famiglia umana per quanto la memoria collettiva permetta di tramandare. L’assenza di limiti in un programma o in una teoria è prova certa della loro astrazione, del loro carattere ideologico, di qualcosa che le apparenta alla fantasia più che all’immaginazione, al delirio più che all’aderenza con la realtà.

Per restituire spazio all’esperienza e ricondurre la conoscenza alla dimensione della persona c’è anche bisogno di recuperare unità di misura a misura di persona, semplicemente umane.

Il cuore comunemente batte il secondo quando è in quiete, nella nostra esperienza solo il movimento degli occhi e il battito di ciglia sono più brevi, benché troppo rapidi per essere fermati e contati. Per i nostri limiti, gli intervalli di tempo inferiori al battito del cuore, proprio perché con poche eccezioni vivono sotto la soglia dell’esperienza, sono pressoché irriferibili: servono l’elettronica, la cibernetica, la finanza, ma sono astrazioni per chi attraversa la realtà e tocca le cose del mondo con le mani e gli occhi.

Le unità di misura proporzionate all’uomo sono circostanziali, non sono fisse e immutabili, nascono dal contatto sensoriale non da una convenzione, sono legate a un più o meno, a un arco di valori dentro il quale si declinano di persona in persona.

Il giorno (che propriamente è giorno di luce, come testimonia l’origine della parola, che riconduce il latino diurnus – e deus – al sanscrito dyaus, cielo luminoso) è il tempo che va dalla prima all’ultima luce del sole, ed è differente di mese in mese, e all’interno dello stesso mese dura di più o dura di meno, ed è differente di latitudine in latitudine, cioè di luogo in luogo. Ma anche in una stessa regione, in una stessa valle, il differente profilo dei monti e la loro differente altezza, quando attardano la prima luce e anticipano l’ultima, rendono locale e particolare la durata del giorno. E l’ora che per convenzione è la ventiquattresima parte del giorno suddiviso geometricamente in spicchi uguali l’uno all’altro –, se rapportata al giorno di luce, del quale è la dodicesima parte, a sua volta cambia continuamente: è più lunga o più breve secondo la data e il luogo, non più arco di tempo astratto e immutabile, conforme alla misura di uno strumento di precisione.

E se l’unità umana per la misura del tempo, il minuto secondo, è il battito del cuore, allora quella dello spazio percorso non può essere che il passo dell’uomo, quella della capienza le mani giunte a scodella, quella della distanza il tempo utile per percorrerla a piedi o lo sguardo per traguardarla senza lenti, con quello stesso sguardo che ci unisce con cosa è lontano e attraverso il quale possiamo descrivere il movimento del cielo, le forme del mondo e le dimensioni di cosa lo compone.

In quiete il mio cuore, oggi, batte con un ritmo che si ripete in poco meno di un secondo, allora il mio secondo è più breve di quello di chi ha un battito più lento e più lungo di chi l’ha più veloce; il mio passo tranquillo misura quasi 70 cm; le mie mani a scodella contengono più o meno due etti di chicchi di frumento, e così di seguito, come ogni altra persona ma, poco o tanto, differentemente da ogni altra persona... Così succede anche quando chi cucina aggiunge un pizzico di sale, una manciata di farina, un po’ di acqua, tutto quanto basta, e lo fa senza bilancia, semplicemente secondo la propria misura: così che ogni ricetta riesca meravigliosamente differente, e, nella differenza, la vita viva 


Autore

Massimo Angelini

Zappo le parole per seminare idee.

Saggista, editore, fabbricante di lunari: ho curato ricerche e scritti dedicati alla storia delle mentalità, ai processi di formazione delle comunità locali fra antico regime ed età contemporanea, alla tradizione rurale, alla cultura della biodiversità, al sacro e alla dimensione dei simboli.

Coltivo la casa editrice Pentàgora: www.blog.pentagora.it

Sono autore di Ecologia della parola (Pentàgora 2020, II edizione)

Ho amato leggere Pavel A. Florenskij, Ivan Illich, James Hillman, Giuseppe Lisi, Christos Yannaras.

 

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