UOMO

01 Gennaio 2022 Etica e tecnologia
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uòmo [lat. hŏmo hŏmĭnis] (pl. uòmini [lat. hŏmĭnes]). – Essere cosciente e responsabile dei proprî atti, capace di distaccarsi dal mondo organico oggettivandolo e servendosene per i proprî fini, e come tale soggetto di atti non immediatamente riducibili alle leggi che regolano il restante mondo fisico: il problema dell’uomo è centrale nella massima parte delle religioni storiche e dei varî sistemi filosofici. Dal punto di vista biologico uomo è il termine con cui sono indicate tutte le specie di mammiferi primati ominidi appartenenti al genere Homo e, in partic., l’unica specie vivente Homo sapiens, caratterizzata da stazione eretta, pelosità ridotta, mani con pollice opponibile che consente la presa di precisione, grande sviluppo del cervello e del neurocranio, che sovrasta la regione facciale; si differenzia inoltre da tutte le altre specie animali per la complessità del linguaggio simbolico articolato, per l’alta capacità di astrazione e di trasmissione di informazioni per altra via che non sia l’ereditarietà biologica (trasmissione culturale). (TRECCANI)

[uò·mo]

Uomo non dovrebbe essere considerata parola femminile né maschile, e neppure neutra, ma bigenere: maschile e femminile insieme. Riferisce la Genesi, nel primo racconto della creazione, che Dio fece l’uomo a propria immagine e – con un salto vitale dall’uno al due – aggiunge che li creò maschio e femmina; maschio e femmina pronunciati, nel linguaggio biblico, in rapporto al sesso, con le parole ebraiche zakàr e neqebàh, alla lettera appuntito e perforata. Uomo, in senso bigenere, nella stessa lingua biblica è reso con ha-àdam, parola derivata da adamàh, la terra. Adam è il terroso, il fatto di terra, come riferisce nel capitolo successivo il secondo racconto della creazione (ma più antico del primo): ... il Signore prese dal suolo un po’ di terra e, con quella, plasmò l’uomo. Gli soffiò nelle narici un alito vitale e l’uomo diventò una creatura vivente.

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Allo stesso modo, nella nostra lingua, le parole uomo e umano (attraverso la parole latine homo e humanus) sono affini a humus. Come adam viene da adamàh, così humanus viene da humus. L’umano ha a che fare con l’humus. E cos’è l’humus? È la terra, ma non in senso generico; è la terra fertile, quella nella quale è un principio di fertilità e, dunque, di vita. La polvere, la sabbia sono forme della terra, ma in esse non cresce nulla. Esse non sono humus. L’humus forma quella pellicola sottilissima – pochi o pochissimi centimetri – che avvolge quella parte del pianeta sulla quale cresce e si riproduce la vita. Senza quella pellicola sottile e fragile, senza humus, la terra è inerte, è deserto, crosta arida, distesa di pietra o sabbia. Humus, invece, è terra viva, terra umida che ha in sé un umore di vita (anche umido e umore paiono affini, almeno per ciò che riguarda il suono, a humus), e rinvia a una radice √hum, nell’India vedica il mantra più recitato dopo om (cioè, aum) col quale è espressa una totalità irriferibile. Hum è un’espirazione: facendo aderire il significato al suono – sono così le parole definite onomatopeiche – hum è un soffio, potremmo aggiungere un soffio umido, un soffio di vita.

«La Cura, mentre stava attraversando un fiume, scorse del fango cretoso; pensierosa ne raccolse un po’ e incominciò a dargli forma. Mentre è intenta a stabilire che cosa abbia fatto, interviene Giove. La Cura lo prega di infondere lo spirito a ciò che essa aveva fatto. Giove acconsente volentieri. Ma quando la Cura pretese di imporre il suo nome a ciò che aveva fatto, Giove glielo proibì e volle che fosse imposto il proprio. Mentre la Cura e Giove disputavano sul nome, intervenne anche la terra, reclamando che a ciò che era stato fatto fosse imposto il proprio nome, perché aveva dato ad esso una parte del proprio corpo. I disputanti elessero Saturno a giudice, il quale comunicò la seguente giusta decisione: Tu Giove, che hai dato lo spirito, al momento della morte riceverai lo spirito; tu, Terra che hai dati il corpo, riceverai il corpo. Ma poiché fu la Cura che per prima diede forma a questo essere, fin che esso vive lo possieda la Cura, per quanto concerne la controversia sul nome, si chiami homo, poiché è fatto di humus». Konrad Burdach (1859-1936)

Il Creatore prende un po’ di terra sulla quale... hum, soffia il suo spirito, e quella terra vive. Humus richiama quel soffio di vita, lo porta in sé, ed è grazie all’humus che la vita vive e ciò che è seminato in terra germina e cresce.

Ricollegato all’humus, l’aggettivo umano perde il valore abituale che lo connette all’uomo in senso qualificativo e ne fa espressione di valore moralistico: ché dire umano – un comportamento umano, una scelta umana, un imprenditore umano – comunemente è come dire gentile, benevolente, comprensivo. Ma ricollegato all’humus, umano qualifica ciò che favorisce la fertilità, la crescita, la vita.

Ecco che allora potremmo propriamente dire che esiste un’agricoltura umana che favorisce la vita, moltiplica la varietà delle forme viventi, accresce la fertilità della terra, aumenta lo spessore della pellicola di fertilità che avvolge parte del pianeta, ed esiste un’agricoltura disumana che riduce questa pellicola di humus fino a consumarla, spegne la vita, ne erode la varietà, della terra fa deserto, riconduce i colori al grigio e alla steppa. Cosa è umano favorisce la vita, cosa è inumano le è indifferente, cosa è disumano la mortifica e la spegne.

Fuori dal moralismo che associa l’aggettivo umano alla benevolenza e alla carineria, certi invece che stiamo parlando di quello che favorisce fertilità e crescita delle persone e delle comunità, come l’agricoltura che non rende la terra sterile, potremo dire umana l’architettura che non progetta abitazioni impersonali, l’urbanistica che non rinchiude le persone in ghetti, il diritto che non legittima l’ingiustizia, la scuola che non inaridisce chi le è consegnato, la politica che non fa strame del bene comune...

«Quando il Signore Dio fece la terra e il cielo, nessun cespuglio campestre era sulla terra, nessuna erba campestre era spuntata, perché il Signore Dio non aveva fatto piovere sulla terra nessuno lavorava il suolo e faceva salire dalla terra l’acqua dei canali per irrigare tutto il suolo. Allora il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente. Poi il Signore Dio piantò un giardino in Eden, a oriente, e vi collocò l’uomo che aveva plasmato» (Gen 2,4b-8)

 


Autore

Massimo Angelini

Zappo le parole per seminare idee.

Saggista, editore, fabbricante di lunari: ho curato ricerche e scritti dedicati alla storia delle mentalità, ai processi di formazione delle comunità locali fra antico regime ed età contemporanea, alla tradizione rurale, alla cultura della biodiversità, al sacro e alla dimensione dei simboli.

Coltivo la casa editrice Pentàgora: www.blog.pentagora.it

Sono autore di Ecologia della parola (Pentàgora 2020, II edizione)

Ho amato leggere Pavel A. Florenskij, Ivan Illich, James Hillman, Giuseppe Lisi, Christos Yannaras.

 

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