[mè-ri-to]
La parola merito, nel senso di riconoscimento delle capacità, ha un significato che, almeno nelle sue utilizzazioni pratiche, varia con il mutare dei tempi, in base al cambiare delle consuetudini e delle culture. Essa, però, in astratto, mantiene sempre un valore morale incrollabile.
"E venne il leccaculo.
Che si mangiò il diplomato.
Che bruciò il laureato.
Che superò il merito.
Che in tre secondi, il lavoro trovò."
(masse78, Twitter)
Forse la ragione di questa divaricazione può essere rintracciata nel suo peso etico. Essa implica infatti un giudizio di valore su qualcosa che si è compiuto. e quindi l’esistenza di due figure: una che giudica e l’altra che è giudicata. Una che ha il ruolo di valutatore e l’altra che subisce il giudizio, di premio o di biasimo. Una, il giudicante, che si trova quindi in una posizione “più alta” di quella del giudicato, e quindi dispone su questo di un potere assoluto e insindacabile.
“Merito” è una parola importante per gli esseri umani.
Essa infatti aggiusta, corregge, chiarisce il senso delle nostre azioni fin dai giorni della nostra infanzia. I nostri primi tremuli passi nel mondo sono infatti accompagnati da giudizi di rimprovero o di incoraggiamento. La parola merito contiene quindi un’idea primordiale di positività, che proviene dall’affetto antico protettivo dei nostri genitori. Più tardi, però, sarà molto diversa la figura di chi prenderà il loro posto su quello scranno “più alto”.
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Così, quando si affrontano problemi comuni dando la propria disponibilità di tempo e di pensiero in situazioni note come “partecipazione”, si entra nell’ordine del merito. Sia perché si “entra nel merito” di una questione anziché chiacchierare a vanvera su di essa, ma anche perché la partecipazione è in sé, in quella logica, un merito.Il merito infatti implica una scala valoriale, che consente a chi giudica di stabilire il “livello” del giudicato: cattivo, mediocre, buono ecc.
La parola Merito, in sì, non è però in grado di discernere tra il giudizio dato da un mafioso su un picciotto e quello di un datore di lavoro su un impiegato. La classe di merito di una compagnia di assicurazioni non sempre concorda con l’idea che ha di sé l’assicurato.
GENTILEZZA [1]
Ma meritare, visto dalla parte del giudicato, significa ottenere qualcosa, guadagnarla, averne una parte per effetto di una gratitudine o, al contrario, esserne esclusi per motivi di biasimo.
Ecco che il verbo, come il sostantivo, risulta legato alla convivenza, al rapporto con gli altri.
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