Parlando di Coronavirus e dei suoi effetti /

Il confinamento è stato un trauma immenso ma non uguale per tutti (dialogo con Brigitte Monassi)

Il confinamento è stato un trauma immenso ma non uguale per tutti (dialogo con Brigitte Monassi)

24 Maggio 2020 Pandemia e salute
Pandemia e salute
Pandemia e salute
share
Quando la crisi sarà passata molti riprenderanno uno sviluppo positivo. E’ la definizione della resilienza. Non sarà il caso di tutti, ci sarà un lavoro a livello personale da fare per costruire il proprio futuro qualora sul piano professionale sia stato affetto dalla crisi del Covid19. Ci sarà un grandissimo bisogno di accompagnamento e cura degli adulti e dei bambini che hanno subito dei maltrattamenti e mi duole il cuore a pensare a quanta sofferenza è emersa.

Si parla molto delle conseguenze della pandemia in termini di crisi economica e malessere materiale, non abbastanza degli effetti psichici da essa generati. Se ne parla poco perché si ha paura, si è impreparati a farlo, si attivano meccanismi di rimozione e si cerca di non avere paura di avere paura. Già prima della pandemia la nostra epoca tecnologica è stata raccontata come caratterizzata da passioni tristi (Spinoza, Miguel Benasayag), dalla difficoltà di vivere, da sofferenze esistenziali diventate psichiche e patologiche, da tanta solitudine generatrice di angosce e paranoie.

Tutto questo può oggi essere raccontato semplicemente dando visibilità agli innumerevoli eventi, fatti di cronaca, comportamenti e gesti che ben descrivono la realtà attuale. Fatti che trovano espressione in suicidi, gesti di insofferenza e ribellione, proteste (ambulanti, ristoratori, esercenti, eccc.), ricerca di capri espiatori, femminicidi (mai cessati) e violenze domestiche, abuso di alcool e droghe, ecc. SoloTablet.it ha deciso di raccontare tutto questo allestendo uno spazio dialogico e aperto nel quale mettere in relazione tra loro psicologi, psicanalisti, e psicoterapeuti coinvolgendoli attraverso un’intervista.

In questa intervista Carlo Mazzucchelli, fondatore di SOLOTABLET.IT e autore di 20 libri pubblicati nella collana Technnovisions di Delos Digital, ha intervistato Brigitte Monassi, life coach, counselor relazionale e psicosociologa. Libera professionista.


 

Buongiorno, per prima cosa direi di cominciare con un breve presentazione di cosa fa, degli ambiti nei quali è specializzato/a e nei quali opera professionalmente, dei progetti a cui sta lavorando, degli interessi culturali e eventuali scuole/teorie/pratiche psicologiche di appartenenza (Cognitiva, Funzionale, ecc.). Gradita una riflessione sulla tecnologia e quanto essa sia oggi determinante nella costruzione del sé, nelle relazioni con gli altri (linguaggio e comunicazione) e con la realtà.

Sono francese. Ho deciso di trasferirmi nel paese dei miei avi meno di 20 anni fa dopo una completa conversione professionale che ha fatto di me una formatrice clinica e consulente in psicosociologia, specializzata nel passaggio generazionale nelle aziende familiari.

Era un bellissimo progetto che ho messo in opera fino a quando, per una scelta personale in termini di qualità di vita e di salute, ho deciso di optare per lo sviluppo dell’attività di insegnamento dello Stretching Postural®, un metodo francese di posturologia neuromuscolare, il mio hobby al quale però avevo dedicato una vera e propria formazione professionale, molto impegnativa.

Per gli ultimi 14 anni ho insegnato con grande successo presso il Centro di Preparazione Olimpica CONI di Formia(LT), tuttavia senza mai allontanarmi dall’’aspetto clinico, completando la mia preparazione in psicologia dello sport e in counseling relazionale con indirizzo Voice Dialogue.

Davanti alle edicole o ai pochi bar aperti il dialogo tra i pochi avventori verte sui tempi bui che la crisi economica e sociale precipiterà su tutti noi in autunno. Un segnale forte che racconta come numerose persone stiano vivendo la crisi della pandemia, i suoi effetti, le aspettative future, le sue costrizioni e perturbazioni. Il segnale è sintomatico di ciò che avviene dentro il chiuso di molte case, spesso limitate per spazio e vivibilità, in termini di psicosi, angosce, ansie, incertezze, depressioni, insonnie, difficoltà sessuali, rabbia, fobie e preoccupazioni materiali per il futuro lavorativo, familiare e individuale. Lei cosa ne pensa? Crede anche lei che la crisi prioritaria da affrontare sia, già fin d’ora, quella psichica? 

Diciamocelo chiaramente:

perché non siamo tutti uguali sul piano psicologico.

Alcuni di noi prima del confinamento avevano acquisito dei fattori di protezione come dice il neuropsichiatra Boris Cyrulnik: “una famiglia stabile, che dà sicurezza, una buona maestranza del linguaggio, un diploma che permette di avere un mestiere corretto, una casa abbastanza ampia”; queste persone hanno sofferto poco, hanno letto molto, ascoltato musica, hanno conservato contatti con amici e parenti anche in videochiamate: se hanno conosciuto momenti difficili si  riprenderanno rapidamente.

Aggiungo che chi aveva un giardino ed ha potuto occuparsi della sua terra, piantare, ordinare, pulire, organizzare quasi quasi non ha sentito il disagio del confinamento. Il rapporto con la natura è stato determinante.

Ha sofferto meno anche chi ha lavorato, ma non è indenne comunque. Indubbiamente, “essere confinati è essere imprigionati, se dura troppo tempo provoca angosce e scompensi psicologici, se dura troppo tempo il cervello si altera” (sempre citando Boris Cyrulnik).

Crede che la quarantena e l’isolamento siano serviti a fornire soluzioni positive a disagi psichici precedenti o li abbiano alimentati e peggiorati? Quali sono le malattie psichiche più preoccupanti, anche pensando al futuro sociale e politico dell’Italia?

Non sono abilitata per la diagnosi o la cura di disturbi psichici dunque mi fermo qui, ma mi pare ovvio che chi ne era affetto prima rischia di aver peggiorato, e non parliamo dei tanti suicidi. Sono molto preoccupata per la prossima emergenza psichiatrica … che tra l’altro costerà tantissimo in termini umani, sanitari ed economici.

Corpo e mente non sono entità separate ma coesistenti all’interno dello stesso organismo complesso che noi siamo. Il coronavirus colpisce il corpo ma con esso anche la psiche, quella individuale e quella collettiva.  La crisi della pandemia è emersa all’interno di una crisi più ampia e globale che ha determinato precarietà della vita e cronica precarietà del lavoro, insicurezza personale, disuguaglianze, crisi finanziarie, povertà e incertezza per il futuro. La frustrazione e il disagio psichico vengono da lontano, la crisi attuale potrebbe esserne il detonatore. Secondo lei cosa può derivare dal disagio crescente e dalla percezione di un passato perduto che non tornerà più? In che modo la pandemia sta determinando l’immaginario individuale e collettivo? Quanto inciderà sulla costruzione del Sé?

Nella mia attività di Stretching Postural® ho avuto la fortuna di assistere (in piccoli gruppi) centinaia di persone nel corso degli ultimi 14 anni, la maggior parte delle quali professionisti, commercianti, piccoli imprenditori, personale sanitario, ecc. La partecipazione ad una sola lezione alla settimana è stata l’occasione per loro di aprire una valvola di sfogo salvatrice che regolava lo stato di tensione fisica e mentale nel quale erano sempre più imprigionati dalla crisi economica. Era ben poco, direte? - ebbene era quel poco che bastava per far ritrovare loro una forma di equilibrio psicofisico in profondità, è stata anche un’occasione sociale di ritrovarsi e scherzare, sia prima che dopo la concentrazione intensa della lezione.

Ora che oltre al di là dei contatti telefonici e whatsapp sto incontrando alcuni miei allievi, mi rendo conto di quanto sia mancato questo incontro “terapeutico”, molto di più sul piano psicologico -anche se naturalmente sul piano fisico. E’ anche dovuto al modo mio di insegnare, cioè al mio approccio definitivamente clinico, -centrato sulla persona- e alla relazione che mi lega ad ognuno di loro.

Quando la crisi sarà passata molti riprenderanno uno sviluppo positivo. E’ la definizione della resilienza. Non sarà il caso di tutti, ci sarà un lavoro a livello personale da fare per costruire il proprio futuro qualora sul piano professionale sia stato affetto dalla crisi del Covid19. Ci sarà un grandissimo bisogno di accompagnamento e cura degli adulti e dei bambini che hanno subito dei maltrattamenti e mi duole il cuore a pensare a quanta sofferenza è emersa.

Uno degli effetti del disagio psichico crescente può essere l’emergere di passioni/sentimenti furiosi come cattiveria, rabbia e ira. Il disagio che cova potrebbe far crescere e dilatare la rabbia facendola esplodere improvvisamente nel momento in cui la crisi economica si acutizzerà. Nella storia la rabbia e l’ira (descritte da Remo Bodei) hanno sempre giocato un ruolo sociale e politico importante, spesso non sono controllabili e degenerano in cambiamenti indesiderabili. Si alimentano di vittimismo, rancore, odio, voglia di vendetta e ricerca di capri espiatori, e poco importa quanto essi siano reali o immaginari.  Tutto ciò si evidenzia oggi nella brutalità del linguaggio che caratterizza molti ambienti tecnologici digitali. La rabbia che emerge da questo linguaggio non è la rabbia civile che si esprime nella ricerca di maggiore giustizia e minori disuguaglianze. E’ una rabbia frutto della paura, pronta per essere usata dal primo politico, populista o manipolatore di turno. Secondo lei può la rabbia essere uno sbocco possibile della crisi pandemica in atto? Può considerarsi un effetto del disagio psichico, delle condizioni di vita materiale o di entrambe?

Non considero la rabbia in questo contesto come effetto di un disagio psichico, la considero come un fenomeno naturale, normale, visto ciò che abbiamo vissuto.

Che possa o meno essere recuperata politicamente è probabile ma non sono affatto esperta in questo campo. Invece penso che la rabbia espressa in modo sano debba servire a costruire nuove opportunità per sé e/o per gli altri, va utilizzata in qualità di forza interiore di volontà di cambiamento, non di distruzione o di violenza.

La cittadinanza secondo me ha tutto l’interesse ad unirsi in piccoli gruppi per attivare reti di solidarietà, in situazioni catastrofiche come questa vengono sempre fuori persone coraggiose e creative che animano a livello locale iniziative estremamente potenti. Io credo nella potenza dell’azione non violenta.

Da questa crisi si può uscire bene ma, come ha scritto Houllebecq, anche senza alcun cambiamento. Il dopo pandemia rischia cioè di essere tutto come prima, anzi peggio. Una situazione che a sua volta potrebbe alimentare la rabbia e l’ira appena menzionati. Come ogni crisi anche la pandemia del coronavirus può essere un’opportunità. In ogni caso inciderà in profondità su quello che siamo e per anni su quello che saremo. In termini personali, culturali, psichici, economici e politici. Il mondo che ne uscirà potrà essere peggiore ma anche migliore: autoritario o più democratico, egoista o più solidale, autarchico o aperto, isolazionista o comunitario. Lo scenario che prevarrà dipenderà da: diagnosi e scelte che faremo, strade che percorreremo, impegno che metteremo. In lentezza, con prudenza, con determinatezza. Uno sbocco possibile prevede una maggiore solidarietà, locale e globale, tra persone vicine e lontane, tra popoli, tra stati, con l’obiettivo di scambiare informazioni e conoscenze e cooperare. Lei cosa ne pensa? Possono solidarietà, collaborazione e maggiore umanità essere gli sbocchi possibili della crisi in atto? Cosa succederebbe se non lo fossero?

Io mi auguro vivamente che sia questo “sbocco profondo” a vincere, come peraltro lo prospetta il futurologo belga Marc Luyckx (ex Membro della “Cellule de Prospective” della Commissione Europea 1990-99) nel suo ultimo articolo intitolato “Le sfide che ci aspettano nel 2020-21,22”: “è quindi stando in piedi insieme, e promuovendo e attuando una nuova visione del futuro simboleggiata da nuovi valori di vita, di sostenibilità, di solidarietà, di giustizia e di libertà, che l’Umanità sarà in grado di creare una nuova civiltà più adulta, più sostenibile, più etica e più spirituale. 

Ieri mattina su France Inter  Emanuel Faber, CdA di Danone  affermava che “la concentrazione attuale delle ricchezze è una bomba ad orologeria”. L’economia di mercato come viene praticata attualmente non potrà durare se non diventa economia sociale di mercato.” Emanuel Faber si augura “uno sforzo di solidarietà, insieme ad un processo democratico, che faccia in modo che l’accesso al lavoro sia promosso e che si possano correggere i meccanismi di mercato altrimenti aumenteranno le disuguaglianze”.

Infine, per completare l’intervista, le chiedo di raccontare qualcosa delle sue attività lavorative/professionali e quanto esse siano cambiate come effetto della pandemia.

Naturalmente ho dovuto immediatamente smettere la mia attività di posturologia neuromuscolare e non potrò riprenderla nelle stesse condizioni di prima, si vedrà a settembre. Mi devo ancora consultare con la direzione del Coni di Formia che ben naturalmente adesso si concentra sugli atleti di alto livello che devono riprendere gli allenamenti. Anche loro hanno sofferto tantissimo dopo essersi preparati per anni per le olimpiadi di Tokyo: la delusione, l’impossibilità di allenarsi, di stare con i compagni, con il coach, i programmi andati in fumo … è un disagio immenso per il quale forse, e me lo auguro vivamente, potrò essere d’aiuto. 

Per quanto riguarda la mia attività di counseling, avevo già sviluppato un percorso di trasformazione promosso tramite Facebook e LinkedIn per l’accompagnamento al pensionamento in un primo luogo, poi un secondo percorso per il superamento delle difficoltà legate ad un cambiamento importante, inevitabile e non desiderato … e adesso che siamo quasi tutti in questa situazione ho affinato questa mia proposta di approfondimento e di consapevolezza di Sé e in vista della creazione di un progetto di vita che corrisponda veramente alle nostre aspirazioni più profonde e a chi siamo. Ho riscontrato nelle mie consulenze virtuali che la qualità del lavoro energetico che metto in atto non soffre assolutamente dell’utilizzo del mezzo informatico, direi quasi “anzi”.

Poter incontrare il counselor senza dover subire lo stress dello spostamento fisico (con le paure del contagio ad esso legate tutt’ora), nella comodità della propria casa, della propria “zona confort”, sinceramente non ha prezzo. Per me è stato una meravigliosa scoperta che mi apre orizzonti infiniti, visto che posso lavorare in italiano, in francese ed anche in inglese (essendo vissuta anche parecchi anni in Australia).

 

 

comments powered by Disqus

Sei alla ricerca di uno sviluppatore?

Cerca nel nostro database