La pandemia sta mettendo a dura prova la nostra capacità di comprendere quello che accade intorno a noi, ormai lontani dalla normalità della vita quotidiana cui eravamo abituati fino al 2019.
Un articolo di Vito Vacca, Senior Management Consultant and Trainer
I ricercatori affermano che il nostro cervello mostra alcune forme di “cecità” nella comprensione di specifiche situazioni, ad esempio nel riuscire a tradurre le statistiche in realtà percepita, ossia nella capacità di trasformare i numeri in qualcosa di concreto e maggiormente comprensibile rispetto alle azioni da intraprendere.
Uno degli strumenti che può aiutare, è riuscire ad avere un riferimento, meglio una pietra di paragone, per potersi rendere conto pienamente di quello che sta accadendo.
Durante l’intero corso della Seconda Guerra Mondiale, gli Stati Uniti hanno avuto un totale di 405.339 vittime ufficiali tra civili e militari; oggi ad un anno dall’inizio della pandemia hanno superato le 458.000 vittime, ossia oltre cinquantamila morti in più in un tempo quattro volte minore.
Nella stessa guerra, in Italia, le vittime civili sono state circa 155.000, mentre oggi siamo nella situazione che nell’arco di un anno abbiamo già avuto due terzi dei morti rispetto al totale delle vittime civili di quell’enorme tragedia.
Pertanto, dobbiamo impegnarci e fare ricorso a tutta la nostra attenzione mentale per trasformare dei meri numeri contenuti nelle statistiche giornaliere nella reale percezione della tragedia in corso; in realtà siamo ormai quasi assuefatti ad un numero medio di morti giornalieri pari alla somma degli ultimi due più gravi terremoti avutisi in Italia: L’Aquila nel 2009 con 309 morti e Amatrice nel 2016 con 303 vittime.
C’è un secondo meccanismo che tende ad ingannare il nostro cervello, si chiama euristica della disponibilità, la nostra percezione tende a privilegiare le cose e gli accadimenti vicini, non percepisce nella loro piena rilevanza le situazioni lontane; tende a sostituire un giudizio, che necessità di maggiore riflessione, con un altro più facile e più comodo, di maggiore immediatezza.
Un esempio: l’aver assistito personalmente ad una aggressione ci farà percepire la situazione nella nostra città più pericolosa che in passato, mentre le statistiche confermeranno il calo dei reati nell’anno in corso (compreso il numero delle aggressioni) nell’area urbana in cui viviamo.
Questo perché le esperienze ed i vividi esempi personali sono più disponibili per il nostro cervello delle mere statistiche o di eventi accaduti ad altri; infatti, la conoscenza dei numeri delle statistiche sulle malattie non ci portano a cambiare stile di vita, soltanto un evento personale che ci tocca direttamente ci determina a farlo.
Nonostante tutto quello che sta succedendo, la maggior parte delle persone non ha avuto esperienza di casi vicini tra parenti, amici, colleghi o conoscenti, per cui tutto sommato perché rinunciare alla propria vita quotidiana per un pericolo lontano ed ipotetico, eventualmente dovendo subire soltanto pochi sintomi parainfluenzali.
PROFUMI E BALOCCHI IN ZONA ROSSA
Attenzione il meccanismo dell’euristica della disponibilità non crea problemi soltanto con il COVID, ma nella percezione della pericolosità di tutta una serie di malattie: ad esempio, gli ictus provocano quasi il doppio dei decessi di tutti gli incidenti messi insieme, ma l’80% delle persone reputa più probabile una morte accidentale.
Manifestiamo una terza criticità di decodifica nella comprensione delle leggi di potenza; queste portano come effetto il dispiegarsi di un fenomeno che si chiama “crescita esponenziale” per indicare una grandezza che aumenta molto velocemente nel tempo; ebbene il nostro cervello ha delle difficoltà oggettive a mettere a fuoco il significato di crescita esponenziale, nel comprendere le conseguenze pratiche e gli effetti che questa dinamica di sviluppo può avere nella vita di tutti i giorni.
Le epidemie si sviluppano secondo le leggi di potenza, questo significa che la crescita dei casi può letteralmente esplodere secondo una progressione micidiale dei numeri che può andare totalmente fuori controllo al superamento di determinate soglie di contagio; ad esempio, quanto viene meno la possibilità di tracciare i contatti che ci sono stati tra le persone (da cui deriva l’assoluta necessità delle ormai famose misure di contenimento).
Senza queste misure si ha una crescita esponenziale dei casi di contagio, che per ragioni oggettive non può continuare all’infinito; ad esempio, in una pandemia senza misure di contenimento ad un certo punto sono morte così tante persone (un numero enorme) che le rimanenti persone “suscettibili” al contagio diminuiscono e l’infezione non riesce più a diffondersi così velocemente come in precedenza e tende a rallentare.
Si perviene ad una fase chiamata di saturazione (plateau), che viene ben rappresentata da una curva logistica, questa non si impenna più come la linea esponenziale, ma tende ad assestarsi per un certo periodo (la persistenza di questo periodo determinerà il numero di vittime ulteriori) per poi finalmente iniziare la fase di discesa.
Virus molto pericolosi come ebola non si sono trasformati in una pandemia; perché gli ammalati stavano troppo male per poter andare in giro ad infettare altre persone; per cui, anche se con grande impegno degli operatori sul campo, l’epidemia si è potuta temere sotto controllo.
Invece, il COVID-19 è molto subdolo: nella maggior parte dei casi non da sintomi, le persone stanno bene e vanno in giro tranquillamente; portano a spasso il virus che può passare ad altre persone, che sviluppano sintomi lievi, altre sintomi più significativi; ma alcune finiscono in terapia intensiva ed alcune muoiono.
Anche qui la matematica di base torna in nostro aiuto, è vero il tasso di mortalità è relativamente basso; ma una piccola percentuale di un numero enorme di contagi (attualmente oltre cento milioni di casi nel Mondo) porta come conseguenza un numero altissimo di morti, che come abbiamo visto sopra è paragonabile alle vittime di una guerra importante e distruttrice.
Cosa sfugge ancora una volta alla percezione del nostro cervello: in questo caso il concetto di rete; tutti i giorni usiamo la rete delle reti (Internet) che ci ha cambiato la vita, quando prendiamo un aereo vediamo nella rivista di bordo la rete delle rotte che collegano gli aeroporti, ma non siamo in grado di mettere bene a fuoco che in questo caso noi siamo un nodo della rete che trasmette il coronavirus.
Tutti i luoghi di aggregazione ed i mezzi pubblici sono i punti di connessione della rete umana nella quale avviene la diffusione del virus per via aerea o per contatto fisico o sulle superfici.
Il virus non si vede (misura tra 100 e 150 milionesimi di millimetro), il nostro cervello non lo percepisce, la nostra attenzione cala, si abbassano le difese e le precauzioni.
A livello cognitivo come ci possiamo difendere: il virus non lo percepiamo correttamente, se non con un’enorme sforzo mentale di decodifica; ma possiamo focalizzare la nostra attenzione sulla rete, che tutto sommato è un concetto a noi più vicino e familiare (la rete degli amici, dei colleghi, dei luoghi serviti dai trasporti).
Ebbene durante una pandemia ogni volta che vediamo davanti a noi una rete (una serie di potenziali contatti) dobbiamo avere una percezione forte di pericolo ed applicare il “principio di prudenza”: nel dubbio, evitiamo di fare una cosa che ci può esporre al contagio.
Il nostro cervello ha una percezione migliore della rete rispetto al virus; tutte le volte che stiamo per entrare in una “situazione di rete” chiediamoci se per ora possiamo astenerci, se è una cosa che possiamo rimandare (oppure gestire via web o via telefono); nell’attuale dinamica dei fenomeni una maggiore attenzione alla decodifica delle situazioni può davvero salvare la vita.
Vito Vacca è Consulente e Formatore Manageriale con 30 anni di esperienza professionale (www.studio-vacca.it). Ha vissuto all’Estero per oltre quattro anni, collaborando in qualità di Team Leader e Key Expert in Programmi europei di assistenza tecnica. Vice Presidente della Associazione Italiana Formatori (AIF) dal 2001 al 2003, è stato Consigliere Nazionale AIF dal 1997 al 2006. In Italia ha svolto attività di consulenza e di formazione per le maggiori Agenzie Nazionali (Formez, Sviluppo Italia, Europrogetti & Finanza), per il Ministero dell’Economia e delle Finanze, per Regioni, per Provincie, per Città, per Parchi Scientifici e Tecnologici, per Camere di Commercio, per Associazioni degli Industriali. Ha collaborato con Università in Italia (Bari, Bologna, Lecce) ed all’Estero (Bucarest), e con Business School (CUOA, LUISS Management, NIBI-Promos, Spegea, Aforisma). Ha scritto e pubblicato per Italia Oggi, Franco Angeli, IPSOA Editore, Libri Scheiwiller (Gruppo Il Sole 24 Ore), Franco Maria Ricci. Ha partecipato in qualità di esperto a programmi televisivi di RAI 1, RAI 3, The Money Channel Romania, Radio France Internationale.