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10, 100, 1000 Joker infelici

10, 100, 1000 Joker infelici

27 Ottobre 2019 Carlo Mazzucchelli
Carlo Mazzucchelli
Carlo Mazzucchelli
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Chi non ha ancora visto Joker, un film capolavoro da non perdere, dovrebbe andare a vederlo. Quando abbandona il modello Marvel /Disney, Hollywood può ancora sorprendere e meravigliare. Joker non è un film sulla malattia mentale. Non è neppure buonista o moraleggiante. E' irriverente, politico, sociale, provocatorio, politicamente scorretto e altamente metaforico.

Parla molto dell’America di Trump ma anche delle nostre società occidentali, nelle quali trionfano passioni tristi, teorie complottarde e sentimenti di odio diffusi. Società perse e disperate alla ricerca di un’anima e dei valori perduti, incapaci di superare la crisi economica oltre che psichica ed esistenziale nella quale sono precipitate.

Suggerito a persone che...

Per guardare Joker con gli occhi giusti bisogna sapersi guardare allo specchio e avere qualche interesse reale al disagio psichico e mentale, alla solitudine e alla tanta sofferenza che agitano il mondo attuale.

Un interesse rivolto anche verso sé stessi, alle proprie solitudini e sofferenze e ai propri disagi, spesso tenuti repressi, anche con psicofarmaci, alcol, pillole o droghe (Italia(ni) viv(a)i raccontandosi storie!), per reggere le ansie da prestazione (Presente continuo. Quando tutto accade ora) e conformarsi alle teorie felicitarie oggi dominanti che vedono nella ricerca della felicità la soluzione al malessere quotidiano diffuso (“Ho solo pensieri negativi, ogni singolo giorno” – “I haven’t been happy one minute of my entire fucking life.” - dice Joker Fleck). 

Un film non buonista e politicamente provocatorio

Il film è autoriale, non è buonista (“Penso sia una cosa positiva quando un film mette a disagio, propone spunti di riflessione e suggerisce un pensiero diverso” – ha dichiarato il regista) ed è politicamente velenoso, anche per l’assenza di una morale.

Per alcuni è un trattato di sociologia sul disagio che caratterizza la condizione umana di questi tempi, per altri una semplice e ottima operazione di marketing caratterizzata dalla furbizia, per altri ancora un film che si inserisce nel dibattito attuale proponendo un pamphlet politico, infine qualcuno ha visto nel film un "racconto sull’assunzione di più punti di vista (diversi) sulla vita, tutti validi nel momento in cui se ne assume uno. Una grande lezione su cosa è la post-verità, come si creano verità ammissibili e come si gestiscono" (Andrea Fontana).

Il film è ambiguo e si presta a interpretazioni diverse, molte già contestate dallo stesso regista che ha rifiutato ogni riferimento a situazioni del mondo reale chiedendo di non fare l’errore di collegare il carattere di Joker o l’intero film stesso a qualsiasi forma di esaltazione della violenza politica nel mondo reale.

Operazione complicata quando eventi criminali, come quello che in questi giorni ha funestato una cittadina dell’est della Germania, continuano a ripetersi con matrici e risultati simili. Complicata anche dal fatto che ogni opera di finzione, sia essa cinematografica, teatrale o letteraria, finisce sempre per influenzare i comportamenti e il modo con cui le persone percepiscono la realtà, (se) la raccontano e intervengono su di essa cambiandola.

Un semplice film, tanti spunti per una riflessione

Volendo evitare di scrivere una nuova recensione o fornire un’altra interpretazione del film si può trarre ispirazione dalle molteplici metafore su cui è costruito. Tutte utili come spunti per una riflessione che tenda a richiamare l’attenzione sul mondo reale che viviamo e che molti, per pura sopravvivenza, tendono a negare o a raccontarsi in modo menzognero. 

"La follia è dilagante. Quello che spaventa del Joker è che la sua risata possa essere la risposta più lucida che potremmo dare alla follia del mondo che ci è attorno. Una follia dilagante."

La Gotham City del film di Todd Phillips, abitata da emarginati e tanti potenziali casseur, è assimilabile a quella di Batman ma molto più reale e vicina a noi. E’ cattiva, triste, sporca (New York anni 70, Roma attuale?) ansiogena, psichicamente fragile.

Una città pronta ad esplodere a ogni momento (a Milano i ciclisti lamentano un aumento di rabbia da parte degli automobilisti nei loro confronti), sempre prossima a una crisi di nervi, a insurrezioni (Gilet gialli prossimi venturi) e sollevazioni possibili che evidenziano la disintegrazione di un mondo che continua a essere raccontato come stabile e contento, attraverso fotomontaggi mediatici della realtà costruiti coerentemente con il livello di credulità del pubblico di riferimento, mentre sta sempre più manifestando crepe profonde e crisi prive di scadenze o di soluzioni. 

Un'epoca di crisi che provocano reazioni

Joker è un film che scava nelle sofferenze e nelle contraddizioni sociali attuali, evidenzia l’alienazione di un’epoca di crisi, provoca reazioni forti, individuali ma anche politiche. Parla alla pancia ma sollecita la riflessione critica finalizzata a mettere in discussione l’esistente per meglio comprenderlo e, eventualmente, cambiarlo (un segnale ai partiti che ancora si richiamano alla sinistra?). I contesti nei quali si muove Joker sono quelli che molte persone sperimentano ogni giorno nella loro vita personale (“Capita solo a me, o la follia sta dilagando là fuori?”). 

Sono contesti in profonda crisi di valori, senza empatia, socialmente frammentati dalla disuguaglianza tra poveri e ricchi, ambientalmente degradati (lo sciopero dei netturbini nel film richiama la situazione della monnezza di Roma), impoveriti e violenti, nei quali prevalgono precarietà, difficoltà di vivere, disuguaglianze economiche e sociali, la sparizione del welfare (hanno tagliato i fondi…), la sfiducia e la rabbia verso le classi dirigenti e le élite del mondo.

Assenti sono palingenesi e utopie possibili, la realtà è al contrario distopica, però molto realistica e soprattutto (f)attuale.

La rabbia repressa e montante di Joker non è isolata.  È l’urlo delle tante moltitudini di persone, dotate di mezzo proprio, smartphone e APP, che oggi si arrabattono per uno stipendio da fame lavorando per Uber, Deliveroo o Glovo. 

È il grido di allarme di persone di tutte le età che si ritrovano povere, precarie ed emarginate, senza più protezione e rappresentanza sindacale, legale o politica, che non si capacitano di essere vittime di una globalizzazione e di rivoluzioni digitali che promettono progresso continuo, nuove opportunità di benessere e felicità esistenziali ma in realtà regalano lavoro incerto, salari inadeguati e tanta infelicità. 

 È la rabbia politica e movimentista già espressa in mille iniziative che hanno visto in piazza migliaia di persone con il volto coperto dalla maschera di Anonymous, l'iconica V che è diventata linguaggio e codice interpretativo dei vari dissensi che, come tanti cigni neri, emergono qua e là su tutta la Terra. Una maschera con molteplici richiami hollywoodiani, usata da moltitudini di individui (persone, cittadini, elettori, ecc.) per combattere l'ingiustizia del mondo, le disuguaglianze e le povertà subite, ma anche per ribellarsi al potere superiore dominante di turno. 

Classi dirigenti, persone e cittadini

Le classi dirigenti di Gotham City, così come quelle della nostra realtà attuale, si mostrano insensibili alle sofferenze dei cittadini che si trovano in difficoltà. Come se la loro condizione esistenziale fosse il risultato di scelte individuali sbagliate (“Coloro che nella loro vita hanno avuto successo guarderanno sempre a quelli che non l’hanno avuto e non vedranno nient’altro che clown” – dice Thomas Wayne il candidato sindaco di Gotham City), di fallimenti e incapacità personali, di inadeguatezze varie, compresa quella di non disporre delle capacità che servono per competere, affermarsi, fare soldi e avere successo. Joker è uno di questi cittadini ma tutti loro potrebbero trasformarsi in Joker. 

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Saper ascoltare Arthur Fleck Joker e andare incontro ai suoi problemi potrebbe servire a evitare la sua uscita dallo schermo, la sua replicazione e diffusione nella realtà, ma nulla sembra oggi suggerire una disponibilità all’ascolto e tantomeno ad affrontare i problemi che interessano le migliaia di Joker potenziali che vivono nelle nostre società ex-opulente dell’occidente del mondo e che come tali preoccupano i poteri forti della Terra. Killer potenziali che diventano reali come Anon (acronimo di Anonymous) il killer in divisa neo-nazista tedesco, Brenton Tarrant il suprematista bianco neozelandese che ha ucciso 49 persone, o Anders Behring Breivik, l’estremista di destra norvegese che nel 2011 ha ucciso 77 persone.  

Nessun film è causa reale di violenza

Non è un caso che il film abbia generato reazioni controverse e polemiche da parte dell’FBI americana per la supposta incitazione alla rivolta e all’assassinio politico (alla prima del film all’esterno di molte sale americane la polizia ha allestito presidi militari per paura di possibili disordini e sparatorie). Polemiche FBI che dovrebbero comunque far riflettere. Non si sono ad esempio manifestate per film come John Wick 3 (1 e 2 non sono diversi) nei quali le persone uccise dal protagonista Keanu Reeves sono centinaia. Forse perché Joker fa riflettere ma non fa ridere, John Wick sì, provocando l’ilarità del pubblico in sala. 

La difficoltà nell’ascolto da parte delle classi dominanti e benestanti nasce dal non saper superare la sbornia liberista con la sua legge del libero mercato, l’ingordigia dei privilegiati, il consumismo sfrenato, il dominio di poche società multinazionali e la concentrazione costante di potere e ricchezza nelle mani di pochi.

Arthur Fleck Joker è il proletario del terzo millennio, interpretato magistralmente da un immenso Joaquin Phoenix (alcune scene cult così come la mimica del volto con cui l’attore racconta il suo personaggio rimarranno nella storia del cinema, prima e dopo l’Oscar che sicuramente vincerà).

Con il suo lavoro da clown ben rappresenta il nuovo proletariato così come il cognitariato precarizzato della realtà attuale, trasversale alle classi sociali e che coinvolge anche il ceto medio. Un ceto medio che, al contrario di ciò che il senso e le narrazioni mediatiche comuni continuino a raccontare, non è altro che un proletariato con un pò più di soldi in tasca e senza alcun potere nel controllare le cause e i fattori determinanti il suo tenore di vita.

10, 100, 1000 Joker

Joker è l’individuo bianco brutalizzato, dimenticato, abusato, deriso, fallito e tradito (qualche reminiscenza nella narrazione salviniana italiana?). In pratica un perdente come ce ne sono tanti nella società attuale. I tanti che non a caso sono target ideale delle campagne politiche della destra alternativa (Alt-Right) americana che ha prodotto Trump e dei molti movimenti populisti emergenti in molti paesi del mondo, Italia compresa.

“La mia teoria è dimostrata. Ho provato che non c’è nessuna differenza tra me e gli altri.  È sufficiente una brutta giornata per trasformare l’uomo più assennato del pianeta in un pazzo. Ecco tutto ciò che mi separa dal resto del mondo. Solo una brutta giornata!” (Joker)

 È un americano dimenticato (forgotten americans) come lo sono le tante persone di colore con le quali, non casualmente Joker si trova a interagire: l’assistente sociale Sharon Washington, la vicina di appartamento Zazie Beetz, la mamma sul bus, l’impiegato dell’ospedale a cui chiede informazioni sulla madre e sulla sua maternità. 

Joker è pieno di risentimento, emarginato, sempre pronto a esplodere (lo stress è evidenziato in modo magistrale dalla risata insopprimibile) e alla ricerca di qualche forma di sollievo e redenzione.

Quando l’esplosione alla fine arriva è senza sollievo e probabilmente anche senza redenzione. Anche per il pubblico in sala. 

Un fenomeno social e onlife

 

Che Joker, al di là delle interpretazioni e delle motivazioni marketing dei produttori, abbia colpito l’immaginario e la sensibilità collettiva e sia percepito come una metafora della realtà presente è testimoniato dalle reazioni online. Tutti hanno voglia di parlarne, spesso in modo rabbioso e politicamente scorretto. I post Facebook raccolgono migliaia di MiPiace, numerosissimi sono i commenti e i cinguettii (Né ottimisti né pessimisti, ma consapevoli, disincantati e ironici nei confronti della realtà!).

Il fenomeno è legato alla prestazione del protagonista attore, alle citazioni filmografiche e ai molteplici riferimenti a film di culto come Taxi Driver (1975), Toro Scatenato, Re per una notte, Il cavaliere oscuro (Batman), e a fumetti come The Killing Joke di Alan Moore, ecc., ma soprattutto a quello che il film rappresenta in termini di sofferenza, solitudine personale (Media sociali e solitudine: ansie da terzo millennio), disperazione, impossibilità di realizzare le proprie ambizioni, voglia di riscatto, anche in forma di vendetta.

Tanti stati d’animo condivisi da moltitudini frammentate di individui, anch’essi antieroi e non-eroi come lo è Joker Fleck. Moltitudini che si sentono tarpate e impedite nelle loro aspettative e proiettano su Joker la loro voglia di riscatto, insubordinazione, ribellione e vendetta (L’era delle folle tecnologiche). 

Le differenze che ci sono

La differenza tra Joker Fleck e gli aspiranti Joker digitali è che il primo possiede un corpo mostrato in tutta la sua mimica sofferenza e buttato plasticamente nella mischia, mentre i secondi sono corpi davanti a degli schermi, semplici profili algoritmici e digitali. Una differenza che dovrebbe tranquillizzare FBI e coloro che si sono preoccupati per i potenziali messaggi di violenza del film. Una differenza che si va però colmando nella percezione crescente che qualcosa non funzioni più e che sia giunto il tempo di fare qualcosa.

Più che i ragazzi del Friday for future di Greta a testimoniare che qualcosa stia cambiando sono le manifestazioni del movimento non-violento di Exticntion Rebellion, nato nel 2018 nel Regno Unito. Allo spettacolo della politica in decomposizione questo movimento replica con la messa in gioco dei corpi che si lasciano trascinare via dalla scena imbastita sulle pubbliche piazze per esprimere la loro disubbidienza civile e pacifica. 

Joker non spera, si vive dentro le proprie frustrazioni esistenziali e poi decide o si lascia decidere dalle situazioni nelle quali involontariamente si trova. Percepisce che sta correndo verso un precipizio ma non può fermarsi, anzi accelera e precipita, come è ben raccontato nelle ultime scene del film. Joker non è un folle criminale e tantomeno un potenziale rivoluzionario, è il semplice prodotto delle situazioni che si è trovato a vivere.

Quando esce dal palcoscenico sul quale ha appena sparato a Murray Franklin De Niro, Joker scopre che la guerra è già in atto, le strade sono piene di corpi in movimento, senza telefonini (il film è ambientato negli anni 80) e fuori dalle piattaforme uniformanti digitali. Individui incarnati che cercano empatia e che anticipano forse quello che potrebbe succedere nel prossimo futuro se i problemi che le nostre società stanno vivendo non troveranno una soluzione improntata alla maggiore distribuzione della ricchezza, alla giustizia, alle minori disuguaglianze, al diritto al lavoro retribuito adeguatamente e non precario, alla felicità, reale e diversa da quella teorica delle filosofie felicitarie correnti. 

Ma questa è un’altra storia, al momento non prevedibile. Ciò che è invece facilmente anticipabile è che la scena finale di Joker, con la sua resurrezione miracolosa da un urto mortale, suggerisce l’arrivo di sequel più o meno numerosi. Facilmente prevedibili e anticipabili sono anche le insurrezioni prossime venture che arriveranno! 

Stay Tuned! Rimanete sintonizzati!

 

 

Bibliografia minima

  • La guerra di tutti, Ventura
  • Nuova era oscura, AVV
  • Economia dell'odio, Alain Deneault
  • Critica della ragione artificiale, Eric Sadin

 

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