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🌗🌘🌑🌒 Che fine fanno i post su Linkedin?

🌗🌘🌑🌒 Che fine fanno i post su Linkedin?

04 Giugno 2020 Carlo Mazzucchelli
Carlo Mazzucchelli
Carlo Mazzucchelli
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Dove vanno a finire i nostri post online?
Tutta colpa dell’algoritmo?
Cosa possiamo fare noi umani per battere la sua logica e intelligenza artificiale?
Quanto conta la qualità e quanto pesa il numero repentino di MiPiace.
Vale la pena continuare anche se i post non sono visualizzati?

Una domanda che molti si pongono e che non ha tante risposte convalidate e certe.

Per me è una curiosità nella forma di dubbio che credo di condividere con molte altre persone. Persone che come me abitano la piattaforma Linkedin in modo attivo, osservano l’andamento dei feed, si ingelosiscono del successo di alcuni e della dissolvenza o non visibilità di altri.

Sul tema e sul ruolo dell’algoritmo di Linkedin la letteratura è vasta, in particolare in lingua inglese, poi ripresa e riprodotta anche in lingua italiana, con un tocco di interpretazione anarchica e creativa tipica dell’italiano che sa sempre come va il mondo.

Su questo tema ho provato a cimentarmi anche io proponendo alcune riflessioni, spero utili ma soprattutto alla ricerca di falsificazioni, critiche o conferme che potrebbero trasformarsi in uno scambio profittevole.
Forse!

Senza più obiettivi lavorativi né motivazioni professionali, utilizzo Linkedin per condurre esperimenti, per sostenere i miei progetti personali, per coltivare relazioni, per incontrare nuove persone intelligenti traendo vantaggio dalle loro competenze, dai loro suggerimenti e buone pratiche.

Da sempre le mie attività su Linkedin sono state contrassegnate da buoni risultati. Più per la Rete costruita nel tempo (12000), soprattutto internazionale, da cui sono nate ottime opportunità professionali, economiche e di lavoro, che per i contributi in termini di post, articoli e attività social. Oggi che dedico parte del tempo libero a scrivere, mi capita di usare più spesso Linkedin per condividere quello che penso e scrivo e misurarne eventuale interesse e validità, per parlare dei miei libri (https://delos.digital/autore/40/carlo-mazzucchelli) e attivare nuovi progetti collaborativi.

Il dubbio che sorge spontaneo

Senza voler addossare agli algoritmi della piattaforma eccessive responsabilità, abitando Linkedin in modo stabile ho maturato il dubbio spontaneo sulla sorte dei contenuti pubblicati, su come essi vengano trattati, valutati e soprattutto visualizzati e fatti circolare. Il dubbio è legittimo per tutti e credo condiviso da molti: per il tempo dedicato alla produzione di contenuti, per le aspettative di trarne benefici reali, nella convinzione di raggiungere sempre i target e le audience che hanno in mente. Soprattutto di raggiungerle per le proprie qualità, abilità, competenze, modalità di utilizzo delle funzionalità della piattaforma e impegno dedicato alle attività online.

Cosa che evidentemente non avviene!

E questo è un problema, in particolare per coloro che usano Linkedin allo stesso modo con cui usano altre piattaforme di social networking, senza interrogarsi sulle regole che governano la logica dell’algoritmo e la sua utilità personale/individuale, sulla gestione redazionale della piattaforma, sulle strategie che guidano le scelte che Linkedin fa nel definirla in termini di codice software, funzionalità e finalità.

L’algoritmo nel tempo è cambiato

Da quando Linkedin è stato acquistato da Microsoft molto è cambiato, anche negli algoritmi, nei modelli di business e nelle strategie che governano la piattaforma. Linkedin è stato reso più simile a Facebook per facilitare pubblicazioni di nuovi post, per incentivare le interazioni, gli aggiornamenti, il maggiore engagement, per renderlo più democratico in termini di visibilità per tutti (sempre e ancora da dimostrate ma perception is reality!).

Le modifiche apportate hanno incontrato il favore degli utenti e la componente contenutistica della piattaforma ne è risultata arricchita, cresciuta è anche la partecipazione attiva. Ma come vengono valutate le attività degli utenti? A quali e a quanti viene data priorità e visibilità? Quali vengono premiate e sulla base di quali criteri o scelte? Chi decide se un post è trendy o in grado di diventarlo? Chi viene coinvolto e quanto pesa la rete di contatti nel determinarlo? Quali sono gli obiettivi reali delle scelte fatte dagli algoritmi e soprattutto di chi le ha decise? Che ruolo giocano le redazioni locali di Linkedin e le loro scelte redazionali? Perché alcuni autori vengono segnalati frequentemente e altri, in molti casi più bravi, competenti e interessanti non lo sono? Cosa impedisce loro di catturare l’attenzione dei redattori e/o quali sono le direttive marketing o di business che motivano le decisioni della redazione?

Tante domande, necessarie per capire a che gioco si sta giocando e quale sia la realtà della realtà nella quale si finisce per essere imprigionati. Una prigionia complice, non obbligatoria e a cui si può sfuggire (nessuno obbliga a stare online, tantomeno su Linkedin) ma resa tale dalla necessità di usare gli strumenti tecnologici per trarne i benefici e i vantaggi che essi rendono possibili e perseguibili.

Tutti dentro un acquario caverna

Se si accetta come reale la realtà edificata dall’algoritmo e dalla piattaforma si rinuncia a capire di essere prigionieri di una caverna platonica nella quale è reale solo ciò che viene proiettato sulla sua parete di fondo verso cui sono rivolti incatenati tutti i suoi abitanti (prigionieri). La rinuncia comporta anche la rinuncia al proprio Sé (che ci azzecca con il profilo digitale che molti continuano a costruire?), a mettere in discussione la propria condizione esistenziale e alla libertà.

Se non si accetta la realtà imposta dalla piattaforma non rimane che porsi delle domande, fare delle congetture, maturare delle opinioni e cercare di capire meglio come fare a rompere il matrix funzionale e algoritmico che la caratterizzano. Sapendo che non esistono pillole rosse per saperne di più sulla tana del Bianconiglio Linkedin.

Dopo aver scoperto che la realtà fuori dalla caverna è diversa da quella proiettata al suo interno, si può usare la piattaforma (caverna) per informare tutti gli altri della scoperta fatta. Si può fare ma non è detto che lo si faccia. Il prigioniero della caverna di Platone che scopre la vera realtà al di fuori della caverna rinuncia ad avvisare gli altri della sua scoperta perché sa che non verrebbe creduto.

Su Linkedin, ma soprattutto sugli altri social, è normale non venire creduti. Le moltitudini (folle) che li frequentano preferiscono accettare passivamente la realtà che viene loro proposta, adottare le pratiche conformistiche che li dominano, lasciarsi programmare, evitare di interrogarsi, decontestualizzare e decostruire, non praticare il pensiero critico fonte di (tecno)consapevolezza e libertà di scelta.

Vi spiego io come funziona l’algoritmo

La rinuncia a porsi domande nasce anche dalla percezione di avere capito tutto, di sapere come lavora l’algoritmo. Un algoritmo che non ama premiare chi pratica la condivisione continua, che penalizza chi non commenta o non condivide a sufficienza, che non ama chi non fa uso di tag per segnalare persone o marche, ecc. In realtà nessuno sa come opera l’algoritmo, neppure i tanti guru o studiosi che hanno cercato di analizzarne la logica, le scelte e il funzionamento.

Non saperlo significa vivere nella costante incertezza sulla sorte dei contenuti pubblicati e sulla loro reale validità o qualità derivanti dal giudizio di coloro che li hanno trovati o letti (ma quanti li trovano e chi decide a chi farli trovare?).

L’incertezza nasce dal non sapere che fine faccia un post, perché venga valutato di scarsa qualità (estensore, contenuto, foto, forma del testo, persone coinvolte, rete dei contatti, potenziali visualizzazioni, validità dei post precedenti, suo successo, affinità con chi legge, ecc.) prima che sia distribuito nei feed di tutti gli iscritti a Linkedin.

Cosa è possibile immaginare o sapere

Si sa che ogni nuovo contenuto, prima di essere distribuito al pubblico di Linkedin, deve passare al vaglio di alcuni criteri di validazione: qualità, analisi predittive sul suo successo, reazioni immediate dei contatti della Rete personale e dei follower, loro effettivo coinvolgimento e condivisioni attivate. Superata questa prima fase l’algoritmo amplia la platea di riferimento e procede con altri test su altre audience selezionate ad hoc. Con quali criteri non è dato sapere!

Ciò che si pretende di sapere sul funzionamento dell’algoritmo rimane in realtà incerto, indeterminato e imprevedibile. L’unica cosa che sembra funzionare realmente è la reazione dei cosiddetti fan o supporter della rete personale e la rapidità con cui essa si manifesta. La reazione immediata non deve però essere lasciata cadere nel vuoto e conta molto l’interazione immediata dell’autore sui commenti in modo da alimentare una conversazione. Tutto questo non determina né conferma se e quanto valido sia il contenuto pubblicato, se esso abbia avuto successo per la sua validità, interesse e qualità o per altri motivi. Ne consegue che chi pubblica non possa trarre alcuna reale informazione su cosa funzioni (in realtà Linkedin è piena di guru che propongono corsi per spiegarlo) o meno di quanto ha deciso di pubblicare e condividere. Ne derivano una difficoltà all’adozione di buone pratiche e una indecisione di fondo su come operare. Una conseguenza è anche la gelosia che nasce dal vedere come e quanto popolari siano i post di altri, percepiti spesso come non migliori dei propri.

La preferenza dell’algoritmo per MiPiace, condivisioni e commenti (quantità vs quantità?) si presta alle pratiche di chi crede di avere capito tutto e agisce di conseguenza alimentando l’algoritmo esattamente con il cibo che esso desidera di più. I MiPiace espressi probabilmente non bastano. Serve anche la presenza costante delle persone sulla piattaforma. Una presenza giustificata da molti per la possibilità di essere i primi a condividere un MiPiace sul nuovo post del guru o aspirante influencer di turno. Una presenza valutata dall’algoritmo di Linkedin come molto importante per i modelli di business e di introiti sottostanti.

Post o articoli?

Chi usa Linkedin per pubblicare contenuti deve scegliere tra post o articoli? In realtà meglio esercitarsi negli uni e negli altri. Bisogna però sapere che con i post si sta dentro l’acquario di Linkedin che li protegge come se fossero pesciolini da tenere isolati dal mondo esterno. Come se i pescecani fossero fuori e non dentro l’acquario! Come se l’acquario fosse eterno e non potesse essere sostituito o banalmente cancellato. Agli articoli da tempo Linkedin assegna minore importanza. Gli articoli però, al contrario dei post, sono indicizzati e trovabili dai motori di ricerca. Una differenza non da poco per chi interpreta l’online come una esperienza Internet a tutto tondo e non soltanto legata alle piattaforme social.

La Internet di oggi è ben diversa da quella delle sue origini. Non è più né libera né democratica, tanto meno pubblica e sempre più privatizzata, ma libera lo è sempre di più di quanto non lo siano piattaforme tecnologiche private, gestite con logiche e obiettivi di business (why not!) e di profitto (anche di potere) ma soprattutto con mire crescenti di controllo e privatizzazione ulteriore delle esperienze online di miliardi di persone.

Ciò che conta è avere la (tecno)consapevolezza che stare su Linkedin, Facebook, Twitter, Pinterest, Baidu, Amazon, ecc. non è come abitare Internet, la Rete delle reti, molto più ricca, diversa, aperta e libera degli acquari digitali social.

La differenza la fanno i comportamenti

Siamo tutti esperti di Linkedin e quando qualcosa non ci piace la colpa è degli algoritmi e della piattaforma. Un modo per chiamarsi fuori da responsabilità individuali ed evitare le buone pratiche che potrebbero fare la differenza. L’algoritmo non è neutrale ma neppure un diavolo cattivo che mira soltanto ad alimentare le sue folle di dannati.

Il ruolo delle intelligenze artificiali che agitano la mente degli algoritmi non va sopravvalutato. Quello degli esseri umani che abitano le piattaforme tecnologiche è fondamentale, può fare la differenza. L’algoritmo non fa resistenza a scelte diverse, anche un po' anarchiche e controcorrente. Non limita l’azione e non si oppone a un utilizzo diverso della piattaforma. Un uso ad esempio guidato dalla curiosità, dalla costante voglia di ricerca di cose e strade nuove, dalla serendipità che permette di scoprire ciò che non si sta cercando.

Certamente serve ascoltare coloro che spiegano che gli algoritmi amano le condivisioni anche se noi le pratichiamo poco, che servano gli #hashtag senza esagerarne l’uso, che il cosiddetto engagement sia fondamentale anche quando è limitato, che non sia necessario avere migliaia di visualizzazioni per scalare le classifiche dei Top Post, ecc.

Conta molto di più essere (percepiti) autentici, credibili, saper attivare e condurre conversazioni genuine e stimolanti, condividere esperienze reali e farlo coinvolgendo sempre gli altri. E’ importante anche sentirsi parte di comunità di conoscenza e/o di tribù di appartenenza, anche se limitate numericamente. Tra le tante forme di aggregazione (gruppi, comunità, aziende, associazioni, ecc.) quella della tribù sembra oggi la più interessante e premiante. La comunità aveva un senso ai tempi della Internet di una volta, quando l’individualismo, il narcisismo e il cinismo non erano ancora così predominanti. Oggi la comunità si sperimenta nella forma di esperienza tribale. Una esperienza che nasce dal lavorare insieme, dal condividere esperienze di gruppo esprimendole socialmente, dal connotare o mascherare una esperienza collettiva con una pratica comune o un nome, dal ricercare e praticare una spinta emozionale capace di dare un significato ideologico, sociale e anche politico a un gruppo.

Anche su Linkedin pochi leggono

Colpisce sempre la rapidità con cui si è generosamente gratificati con un MiPiace, che denota spesso una non lettura. Come se il MiPiace fosse a priori, regalato all’autore e non al suo esercizio del momento che può essere buono o cattivo e sempre sottoponibile a critiche e falsificazioni.

Se non si legge inutile criticare l’algoritmo. Leggere, al contrario, significa sperimentare nella sua potenza reale il virtuale, inteso come la possibilità di agire, cambiare, “trasformarsi in qualcosa che non si è ancora” (Berardi Bifo).

Ormai, anche su Linkedin, tutti o quasi leggono in accelerazione e in modalità sempre più superficiale ma ciò porta a rinunciare alla critica, pratica diventata per questo tanto più importante e necessaria. Soprattutto in un ambito professionale frequentato da persone che, per cultura, ruolo, conoscenze e potere stanno forse determinando le sorti di un paese. E’ come se, oltre a stare dentro l’aquario mondo della piattaforma, ci si chiudesse a riccio eliminando ogni disponibilità verso il mondo reale. Un riccio sempre però molto attento alle urla, ai rumori, a non rompere gli schemi, ad alzare la voce per farsi sentire e ad approfittare di ogni punto debole per farsi valere.

Alcune considerazioni finali

Per premiare chi ha avuto la pazienza e la curiosità di arrivare fin qui, vorrei scambiare con loro un ringraziamento sentito. Non perché abbiano letto quello che ho scritto, ma perché abitano la Rete come esperienza individuale e culturale di ricerca e di libertà. Per loro la realtà non è solo digitale, è ibridata tecnologicamente, ma non impedisce loro di tenere i piedi piantati nella realtà e di non lasciarsi attrarre dalle moltitudini di sirene che popolano gli acquari mondo online.

Per vivere la realtà odierna, fatta di disuguaglianze, precarietà, mancanza di lavoro, stagnazione culturale, media malati, false mitologie (disruption, startup, smartworking, ecc.) è necessario continuare a dotarsi di strumenti culturali e intellettuali adeguati ai tempi e alle sue urgenze/emergenze. Anche Likedin, così come altre tecnologie, è uno di questi strumenti, a patto che lo si abiti e lo si utilizzi nel modo appropriato.

Se così si fa, poco interessa se non si scoprirà mai quali siano le logiche di distribuzione dei post! Ciò che contano sono le tribù di appartenenza, le persone che le compongono…e le relazioni che con loro si costruiscono.

 PS: Ben contento che qualcuno corregga o falsifichi le mie percezioni e opinioni!

 

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