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Garabombo e i capitalisti del web

Garabombo e i capitalisti del web

11 Settembre 2014 Carlo Mazzucchelli
Carlo Mazzucchelli
Carlo Mazzucchelli
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Nel suo ultimo saggio, “Rete padrona” Federico Rampini descrive il capitalismo del terzo millennio come dominato da nuovi squali. Non più e non solo finanziari ma molto tecnologici e altrettanto monopolisti. I nuovi cavalieri rampanti si chiamano Google, Apple, Facebook, Amazon, Facebook, ecc.

Il libro, da poco in libreria, è l’opera di un giornalista che conosce molto bene, per averlo studiato a lungo, il capitalismo finanziario e tecnologico che ha in mano le sorti del mondo.

Dopo aver dedicato numerosi articoli e libri al primo, oggi Rampini ha deciso che è arrivato il tempo di spostare il riflettore sul secondo. Un cambio che Rampini non è il solo a fare e che è reso sempre più necessario dalla evoluzione della tecnologia, dalla sua pervasività e dal ruolo che stanno giocando le aziende produttrici protagoniste della rivoluzione tecnologica.

Lo sguardo si sposta da Manhattan alla Silicon Valley, dai rapaci squali di Wall Street alle facce sempre sorridenti e amichevoli di Zuckerberg, Bezos, Brin e Page, alfieri e protagonisti di una rivoluzione che ci riguarda tutti e che viene fatta in nostro nome dopo averci convinto della sua ineluttabilità e destinazione condivisa.

L’autore, in quasi trecento pagine, illustra una tesi interessante perchè facilmente comprensibile e verificabile. Secondo Rampini, nonostante le premesse alla base della rivoluzione tecnologica, le promesse di maggiore democrazia, libertà e condivisione e l’alterità in termini di modelli di business, il capitalismo tacnologico è straordinariamente uguale a quello della vecchia economia del secondo millennio e anche prima. Forse più bravo. perchè abile nell'eliminare contrapposizioni e contrasti e nel costruire mondi virtuali nei quali tutti sembrano sentirsi felici e soddisfatti ( poco conta se anche molto più soli).

Nei nuovi capitalisti tecnologici, Rampini riscontra atteggiamenti e filosofie industriali assimilabili ai capitalisti e monopolisti dei secoli passati: sfruttamento della manodopera, dumping sui cervelli migliori, ansia e ricerca costante di dominio planetario, spinta al monopolio e alla eliminazione anche ‘fifica’ dell’avversario concorrente (solitamente tramite acquisizioni dopo aver fatto terra bruciata), ricerca e imposizioni di regole vantaggiose, scarso rispetto per la legislazione di paesi e mercati su cui operano (tasse e non solo), volatilità degli utili per non pagare tasse ed eludere i controlli.

Il tema più ineterssante trattato nel libro è quello di Internet e della sua narrazione fatta di utopie comunitarie di uguali, di condivisione e collaborazione, di filosofie libertarie e programmi open source, di diritti condivisi e benefici e vantaggi per tutti, di Wikipedia e progetti Gutenberg, ecc.

Si tratta di una narrazione convincente e alla quale molti continuano a credere ma solo perchè non vogliono fare I conti con i fatti e con una realtà che è ormai manipolata costantemente dagli stessi protagonist che animano e paretcipano alla narrazione. Cosa altro dire ad esempio del fatto che il motore di ricerca è sempre meno uno strumento utile a trovare cose nuove e sempre più un servitor di ‘padroni’ paganti che si muove in ottica marketing. I risultati di una ricerca sono sempre più legati al profile che Google si è costruito di noi e a soddisfarne i bisogni percepiti.

Il predominio del capitaismo tecnologico è evidente, scrive Rampini, soprattutto se si pens ache un quarto dell’intero traffic Internet degli USA passa da Google, che Netflix monopolizza la banda larga, che quasi due miliardi di persone sono su Facebook, ecc.

Secondo Rampini il paragone da fare è con i capitalisti e ricchi latifondisti dell’800 che espropriarono delle loro terre migliaia di persone recintandone i terreni per tenerli fuori o in servitù alle loro condizioni.

Per avere in passato parlato della morte del Web originario citando l’opera di Manuel Scorza Garabombo, condivido l’analisi di Rampini e la sua messa in guardia rispetto ad una Internet sempre meno prateria libera e sempre più recinto. Esattamente come recinto sono diventate le terre dei contadini Incas quando I latifondisti americani decisero di pore introrno alle loro terre del filo spinato, senza preoccuparsi delle migliaia di animali liberi che andavano a schiantarvisi contro.

Oggi destinati allo schianto sono gli utenti della rete, persone ignare di quanto sta succedendo e che si sono affidate ciecamente alla tecnologia e ai suoi sacerdoti. Una fede cieca e densa di effetti negativi, anche economici,  di cui siamo responsabili in prima persona perchè, ci dice Rampini, non solo diamo il nostro consenso ma anche il nostro apporto in termini di consumo e sostegno.

Così facendo abbiamo permesso a Gogle, Facebok, Amazon, Apple, ecc. di accumulare immense fortune che oggi sono usate per stendere altro filo spinato, per colonizzare altri territori imponendo nuovi monopoli e soprattutto, estromettendo tutti coloro che, coscienti di quello che sta succedendo, si oppongono.

Unica soluzione, ma questa non si trova nel libro di Rampini, è di trasformarsi in tanti Fermìn Espinoza o Garabombo e diventare invisibili.

Cosa molto difficile al tempo di Google e dei sistemi di vodeosorveglianza e dei droni, ma l’unica soluzione possibile per difendersi e non farsi trasformare in semplici rotelline del meccanismo della Internet galattica e tecnologica che stanno costruendo. L’invisibilità sparisce ogni qualvolta si incontrano altre persone, a loro volta invisibili, impegnate a contrastare i nuovi padroni.

Nel libro Garabombo l’invisibilità rappresenta metaforicamente la mancanza di coraggio degli indios che cercano l'invisibilità perchè guidati dalla voglia di silenzio e dalla rinuncia a rivendicare i propri diritti. In Rete e nel mondo technologic di oggi l’invisibilità invece potrebbe diventare la vera arma o armatura capace di bloccare le tendenze monopolistiche e ‘autoritarie’ del capitalism tecnologico moderno.

Si può cominciare a diventare invisibili facilmente, basta cancellare I propri profile dal Muro delle facce e dagli altri social network. Sembra strano ma molti native digitali e molti ragazzi delle nuove generazioni zeta hanno già cominciato a farlo.

La Razza padrona di Rampini non ha ancora vinto!

 

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