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La solitudine del social networker e nuove conversazioni umane

La solitudine del social networker e nuove conversazioni umane

12 Ottobre 2015 Carlo Mazzucchelli
Carlo Mazzucchelli
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La realtà è fatta di selfie e di profili inanimati, oggetti molto virtuali capaci di allontanarci da legami autentici, con noi stessi e con gli altri e di produrre grande solitudine. Google e Facebook sono spazi perfetti per sperimentare la nostra pigrizia e ricerca di comodità. Questa è la condizione umana dell’era digitale fornita da Sherry Turkle nel suo nuovo libro Reclaiming Conversation

 

Avendo scritto un ebook sulla Solitudine del social networker, sono debitore a Sherry Turkle dell’ispirazione iniziale e di numerosi spunti che mi hanno permesso di dare forma al mio testo. Da tempo l’autrice con il suo lavoro di ricerca e scrittura esprime una voce dissonante nella narrazione tecnologica attuale, molto conformista e fidelizzata dalla potenza delle marche che rappresentano la rivoluzione in corso. Le sue ultime ricerche sono ora disponibili nella forma di un nuovo libro da poco uscito negli Stati Uniti e che sarà sicuramente presto disposnibile anche in Italia: Reclaiming Conversation: The Power of Talk in a Digital Age.

La Turkle richiama tutti, con un approccio scettico e empirico, ad una riflessione critica più allargata e approfondita e ad analizzare l’approccio integralista che accompagna molte delle letture sociologiche e psicologiche della realtà tecnologica, individuale e sociale di oggi. La sua visione non è estremista e neppure tecnofoba ma costruita da osservazioni sul campo e da uno sguardo realista che punta a demistificare il modo felice della tecnologia facilitando lo sviluppo di una nuova consapevolezza sugli effetti e le conseguenze di una evoluzione/rivoluzione che sembra essere sfuggita di mano o non impensierire la massa dei consumatori utenti.

Nel suo libro Insieme ma soli l’autrice aveva descritto le relazioni umane ai tempi di Facebook e dei social network ma anche le interazioni delle persone con la macchine intelligenti e i robot. La sua ricerca sul campo aveva evidenziato la facilità e la rapidità con cui i soggetti, modificati tecnologicamente, intervistati erano disposti a considerare i surrogati tecnologici come meglio di niente o migliori dei loro originali umani e a preferire le comunità virtuali online a quelle sociali e fisiche offline.

Nel suo nuovo libro Reclaiming Conversation The Power of Talk in a Digital Age, la Turkle continua la sua ricerca e ne condivide i risultati che la portano ad alzare l’allarme su quanto l’essere umano stia rischiando di perdere in termini di empatia e capacità di introspezione e di atrofizzazione di molte specificità prettamente umane. Il suo suggerimento è di non lasciarsi sfuggire il controllo della situazione e di rimettere la tecnologia sui giusti binari in modo da liberarsi dalla percezione sempre più diffusa che le nuove tecnologie siano oggi sempre più in grado di controllarci, condizionarci e isolarci.

Il tema di fondo è che le conversazioni che animano gli spazi abitati e sociali della rete siano continue ma anche alternative a quelle reali. Una alternativa ricercata  e quasi desiderata da utenti e individui preoccupati più dell’apparire che dell’essere, dell’immagine ritoccata più di quella messa alla prova dal faccia a faccia e incapaci a recuperare forme di interazione sociale diverse di cui sentono una forte nostalgia ma che non riescono a praticare.

Secondo la Turkle l’aver sostituito la conversazione umana con la comunicazione digitale mette a rischio gli elementi costitutivi dell’umanità e trasforma noi stessi e gli altri in semplici oggetti da consumare incapaci di condividere sentimento profondi come gli affetti e di condurre conversazioni a partire dal riconoscimento dell’umanità dell’interlocutore/interlocutrice. Un riconoscimento che non può avvenire online e in luoghi nei quali ci si presenta e si conversa attraverso personalità e profili virtuali ma si sviluppa a partire dalla percezione e esperienza dell’empatia che sempre nasce da una conversazione faccia a faccia.

Il libro è strutturato in modo sistematico e analizza tutte le varie tipologie di conversazione, a partire da quella con se stessi, in famiglia e con gli altri fino a quelle, molto documentate e trattate perché legate alla interazione tra aziende e clienti e che tanti libri di marketing e strategia hanno generato.  Una attenzione particolare è dedicata alla sparizione delle conversazioni familiari in contesti nei quali, sia i ragazzi che i genitori, comunicano di più con i loro dispositivi e display di quanto non facciano tra di loro. Il paradosso è che molti genitori si lamentino della impossibilità a comunicare con i loro figli e poi siano i primi a regalare loro dispositivi sempre più aggiornati tecnologicamente rinunciando alla responsabilità che dovrebbe portarli a spezzare il legame che i loro ragazzi hanno costruito con gli stessi.

La conoscenza approfondita di questa realtà diffusa, ormai oggetto di ricerche e analisi da parte di un numero crescente di psicologi e terapeuti della famiglia, permette alla Turkle di fornire una analisi attenta del ruolo della conversazione tra genitori e figli e di come essa sia mutata a causa della pervasività della tecnologia e delle sue conversazioni digitali. Ne deriva un forte e sentito invito ai genitori a riflettere su quanto sta succedendo loro, a fare delle scelte e a prendere decisioni finalizzate a ridefinire lo strumento e la pratica della conversazione.

E’ probabile che anche questo ultimo libro di Sherry Turkle venga catalogato tra i testi tecnofobi e tecnocritici da evitare perché basati su pregiudizi intellettuali incapaci di comprendere benefici e vantaggi della trasformazioni tecnologiche. In realtà il testo è pragmatico e può essere usato come una guida per sviluppare nuove forme di dialogo con i bambini, definire nuove modalità didattiche e di dialoghi scolastici in classe ma anche nuove forme di dialogo e comunicazione in azienda  e tre una organizzazione aziendale e la sua clientela.

L’approccio dell’autrice è tecno-pragmatico, invita alla maggiore riflessione critica che deve portare a un uso consapevole della tecnologia e alla produzione di nuove interfacce tecnologiche capaci anche di suggerire la bontà e la necessità della disconnessione e, per citare un altro suo libro, per limitare la vita sullo schermo.

Reclaiming conversation tocca anche i temi della privacy e della robotica, riprende quelli dl suo libro precedente sulla solitudine e si diverte a ricordare a tutti che in casa Steve Jobs vietava l’uso di smartphone e altri dispositivi tecnologici.

Chi amasse i prodotti della Apple come li amava Jobs potrà trovare nel libro motivazioni nuove per l’acquisto di un libro, per conversazioni faccia a faccia su argomenti non tecnologici e per attività che mettono in disparte la tecnologia. La stessa scelta potrebbe farla anche chi non dispone di un iPhone o iPad, chi vive condizioni sociali e personali di solitudine e cerca soluzioni online o chi è troppo povero o prive degli strumenti culturali necessari a difendersi dalla cultura consumista e tecnologica attuale. La differenza di atteggiamenti, comportamenti e scelte evidenzia quanto le tecnologie moderne siano sempre meno neutre politicamente. La loro non neutralità è evidenziata dalla differenze riscontrabili tra giovani piegati all’uso della tecnologia e loro compagni capaci al contrario di difendersi elaborando pensieri, valori e comportamenti con tutti e due i piedi radicati nella realtà del reale e capaci di fornire linfa vitale alla mente e al suo vagare nei mondi virtuali della tecnologia.


 * Gli spunti per questo articolo sono tratti da un articolo pubblicato dallo scrittore Franzen sul New York Times

 

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