Consulenza filosofica e dialogo socratico nell’era tecnologica
“La tecnica è la magica danza che il mondo contemporaneo balla!” – Ernst Junger - “Da me non hanno imparato nulla, bensì proprio e solo da sé stessi molte cose e belle hanno trovato e generato; ma d'averli aiutati a generare, questo sì, il merito spetta al dio e a me.” - Socrate (Teeteto)
L’era tecnologica e digitale suggerisce leadership riflessive, dialoganti, capaci di interpretare le categorie dell’efficienza organizzativa, delle capacità individuali e dell’efficacia alla luce della rivoluzione tecnologica e nell’ottica delle persone.
Internet, smartphone, piattaforme social hanno trasformato ogni attività online in conversazioni, spesso caratterizzate dalla superficialità dell’interazione e dalla brutalità del linguaggio. Conversare però non è dialogare. Dialogo significa parlare attraverso, con il desiderio di trovare un punto in comune. Il dialogo è anche mettersi nei panni degli altri, non è un semplice scambio di opinioni, neppure una discussione dialettica finalizzata ad avere ragione. Si basa sull’ascolto dell’altro, sulla capacità di catturare l’attenzione reciproca e sull’ottenimento di un consenso generale.
Il dialogo oggi è anche strumento della pratica filosofica che il consulente filosofico utilizza con persone che vivono l’era digitale attuale con incertezza, disagio, ansia, stanchezza e insoddisfazione. Il dialogo serve a porsi domande, a guardare alla realtà in modo diverso, a superare schemi fissi e i paradigmi che li sostengono, bias di conferma, per andare alla ricerca di nuove strade. Il dialogo è importante, fondamentale, per superare i conflitti e nella consulenza filosofica diventa cura e prendersi cura. Di dialogo, consulenza filosofica, era tecnologica, leadership e organizzazioni abbiamo deciso di parlare, in forma di intervista, con manager d’azienda, consulenti filosofici, leader di mercato e studiosi.
L’intervista è condotta da Carlo Mazzucchelli (fondatore di www.solotablet.it e scrittore) e Maria Giovanna Farina (filosofa, Consulente filosofico e scrittrice) con Giulia Bertotto, Consulente filosofica.
Buongiorno, può raccontarci qualcosa di lei, come ha scelto il Master in consulenza filosofica? Qualora esercitasse a chi vorrà rivolgere la sua attività di pratica filosofica? Nella sua futura attività quanto è sentita la necessità di una riflessione critica sulle nuove tecnologie, sull'era tecnologica e dell'informazione attuale? In che modo la sua consulenza secondo lei può indurre il cambiamento che tutti sembrano oggi ricercare?
Credo di essere sempre stata una mente filosofica, ricordo che da piccola a scuola, spezzettavo una parte della mia merendina sulla tovaglietta fino a ridurla in briciole...mi chiedevo dove fosse il confine tra qualcosa e niente, quando e come la merendina passava da essere qualcosa, a non essere più. Questa faccenda dell'esistere/non esistere mi faceva perdere la testa. Da adolescente, come molti ragazzi e ragazze non accettavo le regole di condotta sociale e dell' “ipocrisia quotidiana” dei nostri rapporti, ma ancora non sapevo come trasformare questa istanza provocatoria in una dinamica costruttiva. Attraversare la rabbia, arrivare alla paura e coltivare l'autostima. La filosofia in questo processo di crescita, è stata certamente di aiuto.
Solo all'università ho scoperto che tutte le domande che mi ponevo sul senso della vita potevano essere incanalate in uno studio sistematico, ricco e profondo.
Dopo la laurea ho scelto il master in Consulenza Filosofica e Antropologia Esistenziale perché volevo scoprire e imparare altri modi di coniugarsi della filosofia: ho conosciuti critici d'arte, medici, sacerdoti, un geologo, poeti e pittori...la filosofia, come ho scritto spesso, è l'habitat cognitivo dell'essere umano, che inserisce il proprio vissuto in quello degli altri e del cosmo.
Oggi c'è una gran fame di filosofia, come di spiritualità. Anche per questo si assiste ad una rinascita della filosofia divulgativa e della pop filosofia. La filosofia nasce per la Meraviglia che investe l'uomo di fronte alla realtà, alla vita, alla creazione, scrissero Platone e Aristotele. Lo trovo esaltante e commovente. La filosofia prova a rispondere ai perché. Facciamoci caso: la scienza risponde ai come, in che modo, per quale motivo accade quella catena di cose...ma non ci dice mai il Perché. Gli scienziati ci dicono che si va alla ricerca di vita nell'universo, ma come scrisse Borges, noi non sappiamo cosa sia l'universo. Come credevano molti antichi filosofi possiamo pensare che sia un organismo, che sia Vivo. Io non credo che l'universo si sarebbe manifestato se non fosse stato Vivo.
La filosofia è l’unica disciplina umana che si identifica con il pensiero umano stesso, e non è una determinata materia soggetta all’autolimitazione dei suoi interessi focali. La filosofia è come la coscienza umana: non sappiamo ancora quali siano i suoi confini e le sue potenzialità. La filosofia è fatta dagli uomini che sono limitati e finiti, eppure porta in sé un respiro soprannaturale, fuori dal tempo.
Si dice che Internet sia Conversazione (The Clutrain Manifesto). Il mondo interconnesso globalizzato dalla tecnologia ne è una testimonianza palese. Dispositivi, applicazioni e piattaforme facilitano interazioni, conversazioni, colloqui. È come se tutti stessimo dialogando. In realtà la pratica del dialogo (διά- λογος - attraverso le parole) online è la grande assente, sia nelle interazioni personali sia in quelle lavorative e professionali. Online si legge poco, superficialmente, non si presta attenzione, la concentrazione è scarsa, prevalgono l’urlo e la brutalità del linguaggio, si praticano la promozione e la vendita (anche di sé stessi) più che la persuasione. Lei cosa ne pensa? Come vede il dialogare online, anche filosofico? In che modo si potrebbe alimentarlo e coltivarlo?
Internet è elettrizzante, è tante cose, ed è anche la realizzazione del sogno illuminista, una biblioteca universale del sapere condiviso. Certo con tutte le sue contraddizioni, pericoli, e i suoi “emarginati dalla Conversazione”.
Credo che la premessa del dialogo, che sia sui Social o di persona, debba essere la disponibilità al dialogo, che va accordata prima con sé stessi e quindi la domanda: “voglio davvero dialogare con questa persona?”, “Cosa cerco da questo scambio di visioni?” “Voglio vincere la discussione?”. C'è una sorta di dogma del dialogo, si deve dialogare a tutti i costi, ma dialogare non è convincere, reclutare adepti di una qualche ideologia, è esporre nel modo più chiaro e onesto possibile la propria visione. Il dialogo è un piacere e insieme uno sforzo di ascolto e anche di epochè husserliana, cioè di sospensione aperta e temporanea della propria convinzione. Credo sia molto difficile ma già ricordarlo stempera l'umana voglia di avere ragione, quindi è un esercizio utile. Socrate nei suoi dialoghi riprendeva ciò che l'interlocutore aveva detto, e chiedeva sempre conferma: quindi hai detto così? E se abbiamo detto questo, possiamo concludere quest'altro?
I social sono anche il sollievo all'insicurezza e il trionfo della vanità: il profilo Facebook rappresenta spesso l'io che vorrei essere, che voglio che gli altri vedano di me, la personalità nella quale voglio essere riconosciuto/a. Forse stiamo coltivando molti io ideali, nella rete. Stiamo spostando il progetto che vogliamo realizzare di noi stessi, nello specchio dello schermo. A questo cerco di fare attenzione.
Dialogare è prendere contatto, il contatto oggi manca non solo perché ci incontriamo di meno fisicamente. Il contatto è anche quello della concentrazione che si sofferma su un pensiero, dell'attenzione che si adagia su una parola o su una sensazione. In tal senso manca il contatto che presuppone il dialogo. Spesso crediamo di essere ansiosi, e lo siamo, ma l'ansia è un segno di mancanza di contatto con noi stessi, con il nostro dialogo profondo. Il contatto è la cura all'ansia. E' una difficoltà che anche io ravviso con me stessa.
Saper dialogare non è importante solo online. Lo è nella vita, nelle aziende, nelle organizzazioni e nella società. Il dialogo serve a migliorare la capacità di formulare pensieri, a coltivare la capacità e la sensibilità di ascolto, a andare in maggiore profondità, a praticare il pragmatismo della comunicazione e a conoscere meglio sé stessi e gli altri. Il dialogo serve a togliere la maschera alle cose e alle persone, a aprire nuove possibilità di conoscenza (anche del Sé), di consapevolezza e di relazione. Quanto conta secondo lei il dialogo nelle pratiche quotidiane, individuali, professionali e lavorative? Quanto importante ritiene che esso sia in aziende e organizzazioni nella fase attuale di trasformazione digitale, di smartworking e didattica a distanza, e di conversazioni online?
Ricordiamo che il primo assioma della comunicazione è “Non si può non comunicare”. Anche i pesci più solitari nelle più buie profondità marine si sono evolutivamente attrezzati per comunicare con la loro bioluminosità. Comunicare è un'esigenza sopravvivenziale. Quindi mentre il linguaggio è un fatto naturale, animale, il dialogo è un fatto culturale, che mira a superare il comunicare per necessità. Il dialogo è sperimentale perché anela alla Verità, ed è creativo, esige qualcosa di nuovo.
Socrate, se vogliamo il fondatore della consulenza filosofica, credeva nell'immortalità dell'anima che si realizza al di là del nostro perire carnale. Qualche tempo fa mi era saltata in mente questa suggestione: l'essere umano sta indirizzando le sue aspirazioni metafisiche nella tecnologia. L'affrancamento dal corpo e dai suoi limiti auspicato dal platonismo come dalle religioni d'Oriente è stato traslato sul piano della tecnologia e di Internet. Non sto dicendo che sia un male o un bene, ma un tentativo, una capriola di quelle che fa l'umanità nel suo percorso di crescita.
Socrate è il primo filosofo della filosofia occidentale a occuparsi dell'interiorità. Considerato il più sapiente di Grecia dall'oracolo di Delfi ha ideato il dialogo come strumento di ricerca interiore. La sua arte maieutica capace di far partorire le menti era improntata sull'ironia. Maieutica e ironia, due strumenti capaci di mettere in scacco l'interlocutore per far elaborare gli stereotipi. Il dialogo socratico è utile a dirigenti d’azienda, manager, professionisti ma anche a chiunque voglia acquisire la conoscenza di sé. Nella pratica professionale di consulente filosofico cosa pensa del dialogo socratico? Può avere un ruolo terapeutico? Diverso e/o migliore di terapie psicologiche e altre pratiche finalizzate al benessere personale? In che modo secondo lei si potrà usare, adattandolo, nelle attività di pratica filosofica?
Le machine al lavoro, gli umani senza lavoro felici e contenti!
Credo che la filosofia sia terapeutica (nel senso etimologico di cura, da dubbi e paure) sia come strumento logico, di guida alla comprensione, sia nei suoi contenuti, e sono due cose diverse: il primo è infatti l'atteggiamento filosofico, il secondo lo studio delle idee e concetti che si sono succeduti nella storia della filosofia. L'Infinito di Bruno, la coincidenza degli opposti di Cusano ad esempio, sono saperi (gnosi) che educano l'ego e i qualche modo ridimensionano la nostra sofferenza.
Per quanto riguarda il rapporto tra psicoterapia e filosofia credo che la filosofia serva ad ampliare la propria esperienza in un orizzonte universale, mentre la psicoterapia (che ho svolto per diversi anni) serve a reinterpretare le proprie emozioni ed esperienze rimosse o vissute nei camuffamenti funzionali a non sentirne il dolore. Credo che siano diverse, insostituibili, entrambe preziose. Penso che entrambe possano salvarci la vita e portarci ad esplorare noi stessi e il mondo in modo profondo e appagante. Del resto però penso anche che la psicoterapia sia inclusa nella filosofia, non per ragioni cronologiche di datazione della disciplina, ma per ragioni che direi ontologiche.
Per quanto riguarda gli stereotipi: oggi si tende a sovrapporre e confondere la nozione di stereotipo (che ha accezione negativa) con quella di archetipo. Ma sono differenti. Il Femminile e il Maschile, o il Padre e Madre di cui si parla molto oggi ad esempio, non sono stereotipi imposti ma archetipi condivisi, e la loro potenza va riscoperta e valorizzata.
Molti consulenti filosofici che hanno preso a modello Socrate e non solo, fanno della formazione lo strumento e la chiave delle loro pratiche filosofiche. Ma il filosofo non è un insegnante, neppure un educatore, semmai un maestro come lo è stato Socrate, sempre alla ricerca di conoscenza, anche del sé, di nuove mappe della realtà e di nuove verità. Il maestro non ha alunni, studenti o allievi ma discepoli. La ricerca, che parte dal non sapere, non va confusa con l’educare che si basa sulla trasmissione di un sapere acquisito e consolidato. Mentre l’educazione trasferisce cose e concetti già pronti, idee già masticate e digerite, la ricerca serve a creare cose nuove, a partire da nuove idee e nuove concettualizzazioni del mondo, Cosa pensa? Si sente filosofo, educatore, maestro, ricercatore? Che importanza ha per lei continuare a fare ricerca e che importanza ha nella pratica filosofica da consulente?
Anche il vero educatore dovrebbe ricordare che il suo compito non è trasferire conoscenze ma tirare fuori originalità sulla scorta di esse. Inoltre il maestro dovrebbe educare senza pensare di poter essere oggettivo nei confronti del discente. Questo insegnamento lo si trova in “Sei lezioni sulla Storia” di H. Carr: lo storico è immerso nella storia, quindi è più lucido l'atteggiamento dello storico che ne è consapevole, che sa di essere emotivamente coinvolto, di quello che pensa di essere al di sopra della Storia. E' quanto secondo me dovrebbe accadere anche nella mia professione, il giornalismo: non ha senso illudersi di essere obiettivi, meglio sapere di non esserlo e quindi sforzarsi di essere il più possibile coerenti e onesti.
L'educatore maturo poi, cerca di tirar fuori in modo maieutico il talento del suo allievo, non cerca di imprimere una copia di sé in quest'ultimo. L'educatore dovrebbe empatizzare con l'allievo senza identificarsi con lui e senza dipendere dalla sua adesione per sentirsi soddisfatto.
Il paradosso dell'educatore sta nel fatto che questo sa di aver svolto in modo efficace il suo compito quando l'allievo lo “tradisce”, quando trasgredisce all'insegnamento. E' anche l'antico mito della Genesi: l'uomo per aderire al maestro, a Dio, deve prima essere libero di disobbedire al comando che limita l'accesso all'Albero della Conoscenza.
Personalmente mi sento un ricercatore perché sono inquieta e ingorda, e vorrei diventare un Filosofo. Non posso smettere di ricercare, è qualcosa che accade in me, al di là di me e nonostante me.
Ho molti maestri a cui sono grata. Maestri di coraggio come W. Reich, di poesia come la Szymborska, ma anche di saggezza ironica come Carlo Verdone. Ci sono anche alcuni amici che ritengo dei maestri, per la loro gioia nel mondo, per la loro complicità con me.
Molti filosofi, consulenti con formazione umanistica si stanno oggi cimentando nella consulenza filosofica. Con quali risultati è difficile dirlo, soprattutto perché diversi sono gli approcci e le metodologie adottate e proposte. Secondo lei esiste un unico metodo universale per la consulenza filosofica o ne esistono diversi? Qual è quello che lei adotterebbe e/o quale considera il più adeguato in una realtà mediata e ibridata tecnologicamente? Una realtà accelerata, caratterizzata dal costante cambiamento, che obbliga a cambiare modi di pensare e paradigmi, a aprire la mente e a elaborare pensiero critico. Una realtà che obbliga aziende e persone a cambiare ma che non hanno necessariamente pensato che una consulenza filosofica potrebbe fornire loro la giusta soluzione.
Premetto che la consulenza filosofica aziendale non è il mio campo quindi si tratta di caute considerazioni.
E' un dilemma sul quale mi sono interrogata anche io, senza venirne a capo. In parte credo che non ci sia e non possa esserci attività umana che prescinda dalla filosofia, dall'avere una sua filosofia e quindi anche le aziende non possano prescindere da essa. In parte mi chiedo: ma la filosofia può essere “mercificata” come fosse un metodo imprenditoriale o una strategia di marketing? Non vorrei porre un confine troppo netto tra etica e impresa, ma la filosofia in qualche modo è ribelle alla funzione, si sottrae all'utile, è come Gesù quando distrugge il mercato nel tempio.
La consulenza filosofica può essere chiarificante per tutti, perché tutti noi siamo creature filosofiche. La vita stessa è un problema filosofico, è un'opportunità filosofica, e ci stiamo tutti dentro. E il grande nodo dell'umanità e di ciascuno di noi è che non abbiamo uno scopo, non sappiamo quale sia la nostra missione, se ce n'è una. E non sappiamo neppure di patire questo smarrimento che ogni giorno ci adoperiamo a combattere, distrarre o sedare. Trovo che l'insegnamento di Aristotele riportato spesso da Galimberti sia magnifico: ciascuno di noi ha dentro un demone interiore, e la felicità cioè l'eudaimonìa è la buona riuscita di questo demone. Il demone è l'entusiasmo per qualcosa che ti sgorga da dentro, la passione che ti attanaglia le viscere e insieme ti solleva da terra. Per me è la scrittura. La mia relazione con il mondo è scriverlo. Ogni volta che ho vissuto un'esperienza la prima cosa che ho desiderato fare è stata metterla su carta o tablet. Non significa che non sarò mai più disorientata o triste, ma che la mia sintesi di quelle emozioni sarà scriverle, come le piante che trasformano il sole in zucchero.
Prima della consulenza filosofica c’è la filosofia e l’essere filosofo. La filosofia fa parte della vita di ogni consulente filosofico. Cosa significa per lei filosofare? Come è arrivato/a scegliere il master in consulenza filosofica, con quali motivazioni e attraverso quale percorso? Cosa è per lei la consulenza filosofica? Non le sembra strano che proprio mentre la filosofia sta attraversando un periodo problematico nelle scuole e nelle università, sia diventata strumento e pratica rilevante all’interno di numerose aziende e organizzazioni (in Italia forse meno che in altri paesi)?
Per me filosofare significa pensarmi sempre in un ordine più grande di eventi, in una trama stupefacente! Nel mio caso credo però che la filosofia come esigenza inestricabile da me, sia nata da una sofferenza molto antica, qualcosa che mi porto dentro fin da quando ero bambina. Filosofare significa soffrire con Schopenauer, ridere amaro con Cioran, salire vette mistiche con M. Eckhart, provare a godere l'universo infinito che coincide con Dio in Bruno, o la Trascendenza assoluta dell'Uno con Plotino. Mentre con me stessa posso essere dilaniata e in conflitto, con i filosofi sono in pace, e le loro idee, anche quando sono in contrasto, abitano cordialmente in me. La filosofia non è (o almeno non è solo) una materia o un lusso. Pensiamoci bene. Durante il giorno ci capitano eventi, relazioni, scontri, dubbi che portano in se questioni filosofiche. Tutti siamo soggetti alle separazioni, alla morte, alla malattia, a perplessità etiche, e affrontarle non è certo una velleità intellettuale, ma un vincolo inevitabile. Tutti inoltre abbiamo una filosofia, possiamo esserne coscienti o meno ma è così, come ha scritto Popper.
Achenbach, il fondatore della prima consulenza filosofica codificata, ha scritto che l'uomo è un essere “costituzionalmente filosofante” perché oltre a pensare è anche impegnato nel “secondo pensare” i suoi stessi pensieri. Sembra contorto ma è il nostro stato.
Ciò che la consulenza filosofica offre non sono risposte e domande poste mille volte ma la ricerca della domanda giusta, capace di cambiare la prospettiva alla radice sul problema preso in considerazione. In un’epoca accelerata dalla tecnologia, la consulenza filosofica suggerisce di rallentare, fermarsi, tacere e isolarsi dal brusio digitale di fondo, per riflettere e impegnarsi in un percorso di ricerca personale dal significato e effetti esistenziali. Perché un dirigente di azienda dovrebbe scegliere un filosofo come consulente? Per curiosità (aprirsi a prospettive inattese), disperazione, simpatia verso la filosofia, bisogno di acquisire un approccio critico e indipendente, libero da condizionamenti e pensieri abituali, difficoltà a accettare il conformismo diffuso, antipatia verso terapie psicologiche, o altro ancora? Lei cosa ne pensa?
Sì, la filosofia non è stordirsi di paranoie, ma inquadrare la propria condizione in modo più lucido, mirato, e quindi anche più responsabile. Potremmo fare questa analogia con il Sofista di Platone dire che l'infodemia quotidiana è il chiacchiericcio dei sofisti, mentre il filosofo cerca di riportare il pensiero all'essenziale. Il filosofo ritorna all'ossatura fondamentale delle cose e scaccia le distrazioni. Nel Fedro Platone scrive che dovremmo comprendere la realtà scrutando le sue articolazioni ontologiche, e fa l'esempio del “buon macellaio” che nel tagliare le parti segue le linee dei corpi, perché esse già gli indicano gli aspetti che emergono dalla realtà. Significa che per comprendere le cose dobbiamo seguire i segni della loro costituzione.
Credo che il consulente filosofico possa offrire al mondo imprenditoriale un nuovo modo di vedere la propria azienda, di identificare la propria attività e anche la propria clientela e il proprio target. Per quanto riguarda il rapporto con la domanda il filosofo può intuire e rintracciare i bisogni reali delle persone. Non i bisogni introdotti e indotti dai media e dal mercato dei desideri fittizi, ma i bisogni che davvero sentiamo.
Uno degli ambiti nei quali potrebbe focalizzarsi la ricerca filosofica è quello tecnologico e digitale. Di nuovi libri su Socrate, Platone, Spinoza o Nietzsche non se ne sente una reale necessità. Di studi filosofici sulla tecnologia al contrario ce n’è un gran bisogno. Anche per i filosofi che hanno scelto la consulenza filosofica fatta di filosofia pratica e dialogo socratico. Una ricerca in ambito tecnologico non potrebbe essere definita astratta o lontana dalla vita ma molto pratica e concreta. Porterebbe a riflettere criticamente sulle molteplici realtà quotidiane mediate tecnologicamente, a sperimentare nuovi strumenti dialogici, tecnologici e digitali. Lei cosa pensa? Non ritiene urgente una riflessione critica sulla tecnologia e i suoi effetti? Nella sua esperienza, che ruolo hanno le nuove tecnologie (piattaforme social, APP di messaggistica, strumenti come Zoom, Skype, ecc.?).
Certamente occorre regolamentare queste enormi reti di potere, per quanto riguarda l'aspetto giuridico. E' una sfida nuova per la Legge e anche per la Filosofia.
Vorrei però anche sottolineare che i social e la tecnologia della comunicazione non devono diventare un'attenuante, insomma siamo sempre noi umani ad agire e i social slatentizzano le nostre pulsioni: aggressività, ricerca di approvazione, compulsività di condivisione...
I social sono uno specchio, sono l'apoteosi dell' “eterotopia” per usare un termine di Foucault. Come ho scritto in una mia poesia ciò che mi fa davvero paura non è l'enorme potenza del Web, ma il fatto che noi umani sembriamo non cambiare mai nella nostra ferocia. Sembriamo immobili anche se andiamo su Marte, alla faccia del progresso, restiamo “bipedi ingrati” come scrisse Dostoevskij.
Sembra che Einstein abbia detto: “Un giorno le macchina riusciranno a risolvere tutti i problemi, ma mai nessuna di esse potrà porne uno”, questa breve riflessione è illuminante.
Sui social, soprattutto a riguardo della pandemia da Sars-coV-2, si legge spesso l'espressione “fede nella scienza”. Occorre tenere presente che la scienza oggi, è qualcosa di molto diverso dalla scienza di ieri, che non andrebbe interpretata quindi con le stesse categorie storico-politiche, per via delle sue moderne implicazioni economiche e capitalistiche capillari e complesse. Chi pretende di elevare la scienza a valore idealizzato e puro, dovrebbe notare che questa idolatria positivista ne mina le fondamenta stesse. La scienza infatti muta con l’uomo e le sue esigenze; oggi la scienza è iper tecnologizzata e lavora anche sulla genetica degli esseri viventi. La scienza attuale vive di colossali conflitti di interesse, contraddizioni forti, dell’intreccio tra finanziamenti di multinazionali e spinte delle Big Pharma, interessi sovranazionali, opportunità economiche e di potere inaudite. Non siamo davanti alla medicina rinascimentale che si trova a combattere il tifo. Siamo dentro ad una pandemia globale (e mediatica) in cui ogni nazione cerca il proprio tornaconto di ogni tipo, non solo sanitario. “Avere fede nella scienza” diventa allora il comandamento paradossale del fanatismo religioso scientista, che nulla ha più a che fare con la scienza stessa e la filosofia della scienza.
Vuole aggiungere altro per i lettori di SoloTablet, ad esempio qualche suggerimento di lettura? Vuole suggerire dei temi che potrebbero essere approfonditi in attività future? Cosa suggerisce per condividere e far conoscere l'iniziativa nella quale anche lei è stato/a coinvolto/a?
A proposito della questione pedagogica di cui accennato prima posso consigliare il breve e illuminante saggio di Philippe Meirieu, dal titolo “Frankenstein educatore”: sul principio dell'educare senza “costruire” l'allievo. Un libro sempre intenso, struggente e lacerante è le “Confessioni” di sant'Agostino, a proposito di ironia di cui si parlava prima, consiglio “Le Cosmicomiche” di Calvino.
Se posso permettermi segnalo anche il mio breve saggio “Westworld la coscienza in serie” (Edizioni Progetto Cultura), risultato della mia tesi di master in Consulenza Filosofica. In questo libro provo a tuffarmi nelle tematiche filosofiche che ho scoperto nella serie tv di fantascienza “Westworld”: libero arbitrio e predestinazione, enigma della Coscienza, potenza cognitiva e metafisica della memoria, reincarnazione, significato metafisico del Potere, memoria esplicita e intrauterina. Grazie per questa occasione di dialogo!