In questa riflessione si stanno cimentando molti filosofi, psicologi, sociologi e psichiatri. Ognuno. In base alla sua specializzazione, sta offrendo numerosi spunti utili a ragionare sul passato, a comprendere il presente e a provare a dare forma a futuri prossimi venturi e per riempirli di scenari non necessariamente negativi.
Carlo Mazzucchelli ha deciso di sentire sulla crisi in atto, Pietro Piro, sociologo con alle spalle una lunga attività nell’ambito della marginalità sociale e in particolare sulle misure di contrasto alla povertà.
E’ “responsabile ricerca e sviluppo” dell’area sociale e formativa dell’Opera Don Calabria di Verona. Affianca all’attività sociale anche quella di ricercatore e saggista. Autore di un libro L'uomo nell'ingranaggio. Occasioni di critica, in difesa dell’uomo e della sua umanità.
Un messaggio perfetto per i tempi del Coronavirus.
(Qui una sua precedente intervista su SoloTablet)
Buongiorno Pietro, i tempi presenti saranno ricordati come tempi del contagio, per me sono anche molto filosofici. Hanno regalato a tutti il tempo che serve per porsi domande importanti e che avevamo dimenticato di porci. Domande utili a sondare i sottofondi (Severino) dell’anima, della realtà vissuta e delle pratiche a cui ci siamo abituati o sottomessi. Lei cosa ne pensa?
Quella che stiamo vivendo è una situazione-limite. Un periodo traumatico che ognuno affronta in base alla propria condizione psico-fisica, il proprio livello culturale, la propria attitudine al rapporto con l’isolamento.
Per chi era abituato a un dialogo serrato con la propria interiorità, potrebbe essere anche un periodo fecondo. Purtroppo però, credo che questa abitudine sia sempre più rara e per la maggioranza delle persone, si tratterà di una vera e propria forma di reclusione. Credo che per “sondare i sottofondi dell’anima” sia essenziale un elemento di libertà, di volontà e di decisione che in questo momento sono assenti.
Ogni vera “ricerca di senso” implica la libertà come elemento strutturale, “fondativo” direi. Quella che stiamo vivendo è una condizione traumatica che avrà grandi ripercussioni sulla nostra fragile psiche e sarà devastante soprattutto per le persone più fragili, più sole, più povere.
Si dimentica troppo facilmente che crisi come questa, colpiscono, innanzitutto, le persone fragili, che già vivevano una condizione di marginalità e che questa situazione tremenda espone a ulteriori inutili sofferenze. Basti pensare a cosa significa vivere in poco spazio per un genitore con un figlio disabile che non può usufruire dei servizi domiciliari o dei benefici dell’attività all’esterno. Questa reclusione non è uguale per tutti. Anzi, direi proprio che mette in evidenza le disuguaglianze profonde e i limiti di una società centrata sullo sfruttamento e la competizione.
In una sua intervista ha recentemente dichiarato che questa crisi non genera il nuovo perché prima deve (una mia forzatura) portare a termine le tendenze già in atto. Condivido la riflessione. Anche secondo me il nuovo non emergerà se non sapremo fare i conti con il passato, sugli errori compiuti ma soprattutto su ciò che abbiamo testardamente negato raccontandoci tante belle storie (viva lo storytelling!). Negare povertà e disuguaglianze crescenti, crisi del lavoro e precarietà, concentrazione del potere e separazione tra élite e popolo, crisi ambientale e globalizzazione malata, è un modo per non capire alcunchè della crisi in corso e per non attrezzarsi per il suo superamento. Cosa ne pensa?
Noi siamo la società della negazione.
Senza questo meccanismo non riusciremmo a portare avanti una società ingiusta come la nostra. La negazione è un meccanismo di difesa dell’Io che serve a evitare un corto circuito psicotico. Solo negando “certe verità” è possibile ignorare molte iniquità e andare avanti indisturbati.
Sé uno vede una persona che muore di fame per strada è più facile che pensi che ci sia qualcun altro che certamente se ne prenderà cura piuttosto che fermarsi e aiutarlo. È la deresponsabilizzazione associata all’indifferenza diffusa che permettono il perpetuarsi dell’ingiustizia. Negare è diventata un’arte e tutti noi, chi più chi meno, contribuiamo ad alimentare la menzogna organizzata, la macchina delle illusioni strampalate, la logica del più forte che deruba il più debole.
Quello che più neghiamo è il nesso causale tra piccoli comportamenti individuali e grandi cambiamenti ambientali. Questa crisi è un evidente richiamo alla responsabilità dei singoli gesti per la salute dell’ambiente. Credo che abbiamo da tempo superato “i limiti dello sviluppo” e siamo entrati in una stagione di conflitto con l’ambiente che si manifesta, volta per volta, con fenomeni sempre più violenti. Dobbiamo superare la negazione e guardare in faccia la realtà per quanto dolorosa possa essere e provare a tracciare una nuova rotta.
L’era presente è caratterizzata, in negativo, dall’assenza di leader o da troppi leader sbagliati. Si potrebbe fare un lungo esempio sull’onda delle decisioni politiche prese per anticipare, gestire e vincere il contagio. Ci sono alcuni leader forti (Putin, Xi Jinping) ma forse l’univo vero leader è Papa Bergoglio. Unico, secondo me, a insistere sulla necessità di una riflessione ampia, critica dei modelli, dei sistemi e delle ideologie del momento. Bravo nello scegliere parole, gesti e ritualità del comunicare e nel suggerire un percorso possibile. Eppure il messaggio di questo Papa non sembra fare breccia. Come se individualismo, cinismo e narcisismo continuassero a essere il carattere prevalente dei tanti finti eroi dell’era tecno-moderna. E’ tempo che laici e credenti si uniscano per cambiare le priorità e imporre approcci, modelli e percorsi diversi. Quali?
C’è un solo, grande leader: l’ambiente naturale in cui viviamo.
Basta poco – e lo stiamo vedendo in questi giorni – per disintegrare le istituzioni umane, per farle collassare e implodere su sé stesse. Tutta la nostra potenza, tutta la nostra arroganza, si ritrova impotente di fronte a un minuscolo organismo capace di deteriorare il funzionamento del nostro respiro.
Ma noi non siamo un piccolo respiro individuale dentro un respiro collettivo più grande? Non siamo – forse - una piccola parte di un ambiente che respira con noi? Oppure siamo esseri isolati, che vivono in una bolla senza nessun rapporto con l’ambiente? Mi pare che questa crisi mette in evidenza che il vero “capo” è l’ambiente naturale che con il suo fragile equilibrio determina le condizioni di vita di tutti noi. Cosa mangeremo quando avremo inquinato tutte le fonti? Quale aria respireremo quando avremo abbattuto tutti gli alberi per costruire oggetti per la nostra comodità? Quale società possiamo pensare senza un ambiente naturale preservato dal nostro saccheggio continuo?
Proprio non riesco a capire come non si fa a notare come in poche settimane di blocco forzato, l’aria sia diventata più fresca e pulita, il canto degli uccelli più netto e vigoroso, i fiori esplodono di luce sull’asfalto abbandonato dalle auto. Passo delle ore ad ascoltare il silenzio di questi giorni. Mi sembra miracoloso.
L’enciclica di Papa Francesco, Laudato si’ terminava dicendo che “insieme a tutte le creature, camminiamo su questa terra cercando Dio”. Non mi pare si possa dire di più e meglio di così.
Molti hanno spento il televisore. Chi accede ai media tradizionali sente parlare costantemente di emergenza. Io condivido il pensiero di Cacciari quando dice che non viviamo sempre in qualche forma di emergenza. Il Coronavirus per me è solo una crisi dentro altre crisi che non vediamo o non vogliamo vedere. Come ci si può preparare a vivere nell’emergenza e come potremo affrontare le tante crisi in via di formazione?
Non credo che “le crisi” siano tutte uguali. Quella che stiamo vivendo è molto grave e ha carattere planetario.
Per questo motivo richiede “iniziative di coscienza planetaria”. Non bastano le vie nazionali. Occorrono iniziative concrete, radicali, durature, che permettano di stabilire nuove modalità di relazione con l’ambiente naturale che ci ospita. Non si può continuare a negare il cambiamento climatico e, allo stesso tempo, lamentarsi se i fenomeni ambientali sono sempre più distruttivi e imprevedibili.
Siamo ospiti di un pianeta che abbiamo devastato con scelte improntate alla soddisfazione dell’Io di una ristretta minoranza. Non è forse maturo il tempo di una profonda “esistenza eco-teologica”?
Nell’intervista che ho menzionato sopra lei ha suggerito che “questa crisi potrebbe essere una grande opportunità di cambiamento”. Per me la crisi è un momento di verità, un punto di svolta ma a volte può risultare in una semplice capriola o giravolta dalla quale non nasce alcun cambiamento. Come ha scritto Diamond nel suo libro Crisi “ogni crisi non nasce dal nulla, è il risultato di mutamenti evolutivi iniziati anni prima”. A volte si capisce che è una crisi dopo averne presa coscienza. E’ necessario prendere atto di vivere una crisi allargata. La crisi del contagio va collegata, alla crisi ambientale, del modello economico capitalista corrente, alla scarsità di risorse, alle disuguaglianze. Ogni crisi ci obbliga a agire ma, finito il contagio, è probabile che insorga la voglia di festeggiare più che quella di approfondimento e riflessione. Lei cosa ne pensa? Avremo un reale cambiamento?
Il cambiamento è per me il frutto della ricerca appassionata del senso.
Man mano che ci mettiamo alla ricerca del vero, del bello, del buono, cambiamo profondamente la nostra natura iniziale e ci ritroviamo trasformati in una metamorfosi radicale. Sé in questo percorso non impariamo a convivere con la paura questa può prendere il sopravvento e farci regredire. Sin da quando l’uomo ha messo piede sulla terra abbiamo cercato un senso alla nostra esperienza del mondo.
Questa crisi può essere un potente stimolo al cambiamento ma la “direzione” di questo cambiamento non è né scontata né assicurata.
Tutto dipende dal livello di coscienza che abbiamo maturato e dalle scelte che faremo.
Infine nel ringraziarla, professor Piro, ha il coraggio di condividere una sua previsione sui possibili scenari futuri, in Italia ma anche nel mondo, in termini sociali ma anche economici e/o geopolitici?
Si cominciano a vedere forme nuove – ma con radici molto antiche e profonde – di razzismo ed esclusione sociale basate sul livello del contagio: i guariti, i contagiati, gli asintomatici, i sani. Esiste già un pensiero che colpevolizza gli ammalati. Mi sembra orrendo.
È probabile che nei prossimi mesi si comincerà a selezionare le proprie relazioni in base al livello del contagio. È una forma molto complessa di paranoia. Purtroppo è già evidente per me. Aggiungerà sofferenza inutile alla sofferenza.
Credo che la società, l’economia e molto più in grande l’equilibrio geopolitico globale si costruiscono in base ai “sentimenti morali” che ognuno porta nel suo cuore. Se i nostri cuori saranno pieni di solidarietà, compassione, dedizione, cura, allora, costruiremo una società più bella e più giusta. Sé lasceremo che la paura e la diffidenza ci avvelenino mente e cuore, allora, la nostra società futura sarà terribilmente paranoica e improntata a forme spietate di controllo bio-politico. Entrambe queste versioni dei “possibili” della società futura sono già in atto in queste ore.
BIG TECH SBOOM?
Tuttavia, in questi giorni penso spesso a queste parole del Testamento di San Francesco d’Assisi:
Quando ero nei peccati, mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi; E il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi misericordia.
E allontanandomi da essi, ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza d'animo e di corpo.
E se fosse il Signore stesso a condurci tra i “nuovi lebbrosi” per generare in noi una potente e inedita risposta di “misericordia”?