Internet e new Media

01 Giugno 2016 Redazione SoloTablet
SoloTablet
Redazione SoloTablet
share

Il libro di Carlo Mazzucchelli Tecnologia, mon amour forever è pubblicato nella collana Technovisions di Delos Digital

Internet e new Media: un forte bisogno di Utopia per immaginare il futuro 

Nel senso comune l’utopia (termine coniato da Tommaso Moro nel 1516) è un semplice concetto letterario, qualcosa che non esiste o non è facile da realizzare, relegata al mondo dell’immaginario e spesso semplice illusione. In realtà essa fa parte del carattere originario della specie umana, ha molte facce, sfaccettature e altrettanti significati. È una potente forza di trasformazione della realtà e di mutamento sociale perché capace di imprimere impulsi e motivazioni alla progettazione di nuovi futuri finalizzati a soddisfare bisogni, anche rivoluzionari, individuali e collettivi, personali e sociali. Anche quando l’utopia ha assunto le sembianze di Internet e dei mondi virtuali e liberi da essa prefigurati. Gli ecosistemi e i mondi tecnologici di Google, Facebook e Apple sembrano oggi un’utopia (per alcuni distopia) realizzata. In realtà sono solo una delle tante possibili rappresentazioni, spesso tra loro dicotomiche, con cui si guarda all’utopia (Cyber-Utopia) di Internet e dei nuovi media sociali. Non tutti sembrano disponibili a condividere questa forma di utopia e forse non bisognerebbe neppure farlo. La tecnologia è una forza abilitante e generativa di sempre nuove utopie per la sua capacità di immettere il possibile nel reale e di coltivare la fiducia nell’avverarsi di nuovi mondi futuri possibili. Il risultato finale non sono necessariamente mondi utopici, fatti di benessere e città del sole ma mondi distopici e dispotici governati dal predominio dei pochi sui molti, dalla manipolazione sulla verità, dalla comunicazione sulla politica e dai mondi virtuali su quelli reali. L’esito potenzialmente negativo di molte delle utopie immaginate non impedisce il ricorso allo strumento dell’utopia per immaginare mondi diversi, anzi ne sottolinea ancor più l’importanza e l’urgenza. Pensare l’utopia serve all’uomo tecnologico a recuperare il senso del futuro per dare forma sia a ou-topie (non luoghi – ou=non) sia a eu-topie (buoni luoghi – eu=bene) in cui vivere. Le une e le altre servono a immaginare il futuro dando risposte concrete all’irrequietezza che da sempre caratterizza il genere umano e che non è sparita neppure nell’era tecnologica attuale. 

Il bisogno umano di utopie ricorrenti

È soprattutto in periodi di crisi come questi che l'uomo va alla ricerca di nuove utopie, luoghi senza luogo perché non ancora esistenti o luoghi buoni nei quali rifugiarsi per scappare da quelli meno buoni del presente, un altrove diverso da quello che viviamo, senza spazio e senza tempo (atemporale e aspaziale e oggi sempre più spesso virtuale) nel quale poter immaginare (sognare) di realizzare un sogno, un progetto una idea folle, una utopia (etopia).

La ricerca di mondi utopici è sempre esistita (le colonne d'Ercole e il mondo al di là del mondo greco, l'Atlantide dispersa menzionata da Platone, la caccia al vello d'oro, il Valhalla, l’America, ecc.) ma si è concretizzata in pensiero speculativo a partire dal cinquecento, prima con riflessioni sulle tre dimensioni spaziali dell'universo conosciute, poi su quella temporale (Newton e Einstein) e infine a quella digitale e degli universi virtuali e paralleli, molto simili ai mondi dei quanti della nuova fisica (“If you dream alone, it’s just a dream. If you dream together, it’s reality.” – da una canzone folk Brasiliana).

Grazie ad internet e ai suoi strumenti tecnologici, che hanno fatto evolvere l'universo digitale, abbiamo potuto elaborare nuovi progetti utopici (oggi nella forma di cyber-utopie o utopie virtuali) e sperimentare nuove forme di ricerca dei loro non luoghi e delle nuove regole che li rendono possibili. Con l'eliminazione delle barriere geografiche e temporali, Internet ci ha avvicinato al regno dell'utopia permettendoci di realizzarne alcune (biblioteca universale, comunicazione globale grazie alle traduzioni e ai vocabolari di Google Translate e soluzioni simili) ma anche di dare forma ed esistenza a insoliti pericoli e a situazioni equivoche, percepite come dense di conseguenze negative per il nostro futuro di esseri umani.

Non tutti però condividono l'idea che l'utopia di Internet si sia trasformata in una realtà positiva (eu-topia). Alcuni pensano che, qualsiasi sia il risultato prodotto, andrebbe comunque superato con la ricerca o produzione di nuove utopie. Per altri invece è sempre più forte la necessità di una riflessione sul perché quest’utopia si sia tramutata in qualcosa di diverso da quanto è stato sognato e perseguito per anni e sui passi da fare per mantenerla viva come possibile destinazione futura e un percorso ancora da completare. Un percorso che non permette cedimenti al pensiero unico dilagante, anche in Internet, e che suggerisce molta immaginazione (utopica) guidata da molte letture e altrettanta conoscenza.

Il mondo non è come appare. Anche la realtà digitale è pura rappresentazione e interpretazione. Internet e i mondi (non-luoghi) digitali che lo abitano non sono perfetti, sono ricchi di conflitti e problematicità ma al tempo stesso sono pieni di opportunità e potenzialità. Le nuove utopie nascono dalla volontà di volerle sperimentare e realizzare mettendosi in gioco e immaginando che altri mondi siano possibili. Né più né meno che nella realtà degli universi spaziali e temporali che già conosciamo!

Utopie e utopisti di Internet

Alcuni anni fa, molto prima che apparisse il tablet e prima ancora dell’iPhone,  alla domanda su cosa fosse l’utopia, Derrick de Kerckove rispondeva: “L’utopia è a portata di mano, è una sorta di palmtop universale, con un sistema operativo che funziona, in collegamento costante e senza fili con la mia posta elettronica, capace di darmi le informazioni che mi interessano, capace anche di collegare in tempo reale il mio pensiero connettivo con quello dei miei collaboratori e di farlo senza limiti di frontiere e di tempo” (Utopia, De quelques utopies à l’aube du 3° millenaire – Syllepse 2001 France ).

Oggi il dispositivo universale sembra avere preso forma nell’iPad di Apple e nei suoi numerosi fratelli e fratellastri, smartphone, phablet, tablet e prodotti tecnologici indossabili. Google e Internet ci permettono di vivere costantemente nel presente (everything is NOW) alla velocità della luce e Facebook da a tutti l’illusione che il pensiero connettivo (collettivo per Pierre Levy) sia ormai una realtà. 

Internet è stato da sempre il regno dell’utopia e lo spazio vitale per numerosi utopisti (Andrew Keen, Clay Shirky, Ray Kurwei, Pierre Levy, Derrick de Kerckove, Kavin Kelly, Evgeny Morozov, Ethan Zuckerman, Howard Rheingold, Geert Lovink, ecc.) che, negli spazi virtuali della Rete, hanno intravisto la possibilità di realizzare nuove realtà possibili e parallele. Internet è diventato lo strumento per dare forma ad una terza dimensione, denominata cyberspazio (spazio virtuale, senza luogo perché non legato ad una entità fisica che occupi spazio) che si è venuta affiancando agli altri due spazi, fisico e mentale, di esperienza umana.

Il cyberspazio, grazie alla comunicazione digitale elettronica, ha trasformato la globalizzazione da economica a psicologica e cognitiva, dando luogo ad una riorganizzazione immateriale e ad una  ri-modellizzazione dei territori abitati dall’uomo limitando o eliminando il condizionamento e la resistenza del materiale e della fisicità. Internet con i suoi spazi virtuali è diventata lo spazio dei desideri da realizzare e della creatività artistica e imprenditoriale. Un campo di esplorazione perenne, un’estensione della psiche dei suoi abitanti e lo spazio immaginario per una coabitazione sociale, migliore di quella vissuta nella realtà di tutti i giorni.

Essere utopisti non significa necessariamente desiderare o lavorare per mondi migliori. Tutti gli obiettivi utopici sono buoni, è sbagliato però assumere che essi siano inevitabili e perseguirli in modo naïve. L'utopia di Internet non deve essere vista come una previsione di mondi futuri e possibili ma come una profezia da avverare con il proprio coinvolgimento e impegno. Non si tratta di fare previsioni e attendere che si avverino ma di operare in modo virtuoso e mantenendo la barra diritta verso l'obiettivo utopico da realizzare.

In questo senso Internet è già un’utopia realizzata. Grazie alle sue tecnologie il mondo sociale è oggi migliore, più interconnesso, più aperto alla comprensione reciproca, alla maggiore collaborazione e alla condivisione di conoscenze, alla cooperazione. In una parola il cambiamento sociale introdotto dalle nuove tecnologie è buono ed ha offerto nuove opportunità a un numero più elevato di persone e in tutti i luoghi della terra (progetto MIT-Etiopia e tablet per auto-apprendimento).

Una riflessione è oggi necessaria

Se per molti, Internet è l’eu-topia (un luogo del benessere e di felicità) realizzata, per alcuni è una realtà che obbliga a rinnovate e più approfondite riflessioni. La riflessione è diventata indispensabile perché, alla visione dell’utopia Internet ottimistica, si sta oggi sostituendo, almeno nel pensiero di molti studiosi, quella negativa. Una visione questa, dettata dalla sempre maggiore privatizzazione degli spazi che passa principalmente attraverso il ruolo che giocano, all’insaputa di molti utenti e cittadini della rete, società private come Google, Facebook, Apple e altre ancora.

Slavoj Žižek, il filosofo vivente oggi forse più importante, parlando del Web ha notato come: “Tutto è oggi accessibile, ma sempre (only) come informazione mediata attraverso un’azienda che possiede tutto, software, hardware, contenuti e computer.  Coloro che possiedono i cancelli d’ingresso, possono filtrare i servizi e il software che propongono in modo da dare alla parola ‘universalità’ un significato particolare e dipendente dagli interessi commerciali e ideologici ad essi associati.” Su questa visione si sono oggi posizionati anche altri pensatori come Lehmann, Baluja,  Eli Pariser (Il Filtro – Edizioni Il Saggiatore) e in particolare Eugeny Morozov con i suoi libri su Internet. Nel suo ultimo libro pubblicato (Silicon Valley: i signori del silicio), l’accademico Morozov sottolinea l’aspetto utopico legato alle promesse di prosperità, uguaglianza, e di una società in cui tutto sarò condivisibile e accessibile ma poi si interroga se sia effettivamente così. La risposta di Morozov, non dissimile da quella di Slavoj Žižek, è che dietro la retorica utopistica e rivoluzionaria delle utopie dei protagonisti della Silicon Valley si celi al contrario l’ennesima versione dell’accentramento del potere economico e politico nelle mani di pochi. Ne deriva una manipolazione dei fatti ma anche cognitiva tesa a trasformare le distopie in arrivo in utopie ed etopie irrealizzabili.

Google e Facebook sono sempre più concentrati sulla personalizzazione (ad esempio in Google i risultati delle ricerche sono calibrati sulla percezione del profilo dell’utente che usa il motore di ricerca) delle informazioni offerte in modo da poter sfruttare al meglio le proposte commerciali e pubblicitarie su cui si basa il loro modello di business. Non è un caso che Mark Zuckerberg abbia sostenuto che “Uno scoiattolo che sta morendo di fronte alla vostra casa possa essere una notizia più rilevante di centinaia di persone che stanno morendo per la fame in Africa”. Meglio cioè giocare allo scambio di messaggini su Facebook che prendere tempo per una riflessione che esuli dal mezzo tecnologico o che lo usi in modo diverso. Un uso diverso sarebbe molto più produttivo per l'utente ma molto meno remunerativo per Facebook!

Con Internet sempre più dominato da poche aziende, è utile riflettere su quali siano i valori che sottendono le loro strategie e processi decisionali. Morozov mette in guardia dai valori di progresso, abbondanza e innovazione celebrati dalla Silicon Valley e richiama l’attenzione sulla fame bulimica di dati e informazioni delle società tecnologiche e sui loro tentativi di porre intorno alle nostre vite un filo spinato invisibile ma pericoloso come quello con cui si è confrontato il comunero peruviano Garabombo (personaggio del romanzo omonimo di Manuel Scorza) nei pascoli dei latifondisti del Centro e Sud America. Non tutti concordano sulla rilevanza dei rischi attuali perché ritengono che Internet abbia in sé tutti gli anticorpi utili ad assicurare il continuo progresso verso l’utopia del cyberspazio. Il fatto di continuare a crederci può dipendere dal fatto che "Apres le desenchantement, on a besoin de croire e d'esperer encore. Depuis que le mythe est mort, que par la suite les croyances se sont effilochèes, les utopies comme on on fabrique des machines; les unes et les autres s'usent vite" - Fernand Dumont

Alcuni studiosi sottolineano al contrario, come ad esempio fa Chris Lehman, l’urgenza di una riflessione critica su un cyberspazio sempre più commerciale e privatizzato. L’urgenza nasce dagli effetti cognitivi prodotti dalla diffusione dei media sociali. Twitter, Facebook, Youtube e altre società simili stanno producendo un surplus cognitivo non necessario e colonizzando la sfera sociale facendo sparire le differenze tra pubblico e privato, tra produzione professionale e amatoriale, tra proprietà intellettuale e condivisione volontaria di contenuti.

Per capire ciò che sta succedendo, bisogna scavare in profondità ed elaborare pensiero critico utile a valutare la differenza tra l’uso della rete per la produzione di valore sociale e quello per giocare e godersi film pornografici, tra un uso che privilegia compassione e creatività ed uno che promuove manicheismi e integralismi vari. Un contributo per una riflessione non superficiale e originale è quella di Morozov perché si incardina in alcuni semplici ma rivoluzionari concetti con cui tutti dovrebbero fare i conti e che vengono al contrario sottaciuti se non manipolati e rimossi. Una prima riflessione segnala la stretta commistione tra la logica dell’utopia tecnologica e falsamente socializzante dei produttori tecnologici, con quelle di Wall Street che predicano austerità. Sembrano due logiche contrapposte ma si alimentano a vicenda ed entrambe hanno effetti importanti sul vivere civile, sullo stato sociale, sui diritti dei cittadini e sull’informazione. L’utopia tecnologica, perseguita concretamente attraverso l’uso diffuso di gadget tecnologici, cela il fatto che la vera rivoluzione in corso non è tecnologica ma politica, economica e sociale. Va oltre il fatto di essere tutti connessi e digitali ed ha effetti profondi sulle vite delle persone.

Internet rispecchia oggi la composizione sociale e di classe delle nostre società. A tutti è data la possibilità di sognare le proprie utopie ma pochi hanno le risorse cognitive ed economiche per concretizzarle. Ai più l'utopia è servita come profezia e come prodotto già confezionato, edulcorato e ben descritto. A offrire questo tipo di prodotti sono Facebook e Google, Apple e Samsung. Le utopie alle quali danno corpo questi prodotti sono ristrette a confini delimitati da bisogni commerciali e modelli di business contingenti che svuotano lo scopo e il fine del percorso da compiere per realizzarne di vere. Sono utopie che qualcuno cerca costantemente di trasformare in miti con l'obiettivo di allontanarci dalla realtà tumultuosa e rivoluzionaria che stiamo vivendo, timoroso com’è che si possano profetizzare utopie diverse, più ricche di pathos e di libertà, di socialità e riflessione critica, di scambio di conoscenze basate sulla conoscenza, di democrazia e partecipazione.

In assenza di esperienze utopiche reali, i consumatori digitali rischiano di cadere nella trappola delle utopie mistiche e quasi magiche dei produttori tecnologici che sembrano suggerire la sostituzione nel tempo dei servizi pubblici con il self-service della Rete, della disuguaglianza della vita reale con l’uguaglianza dei mondi digitali online, dell’economia concorrenziale con la sharing economy, delle istituzioni statali con quelle virtuali e tentacolari del Panottico tecnologico. Queste però non sembrano essere utopie ma semplici favole, intrise di ottimismo e di caratteri utopistici. Il problema è che ci impediscono di lavorare per la realizzazione di nuove utopie future e ci portano a introiettare le patologie del nostro sistema economico e politico attuale facendole diventare scelte individuali e consapevoli. Liberarsi da questa convinzione può risultare sempre più complicato e arduo perché come scrive Morozov: “Sensori, smartphone, APP sono i tappi per le orecchie della nostra generazione.” Sono tappi che impediscono di osservare la realtà con la giusta attenzione in modo da percepire e comprendere i tanti segnali emergenti che indicano quanto siano lontane le utopie promesse dalla tecnologia e quanto sia invece urgente tornare a ripensare l’utopia da un punto di vista umano.

Alcune riflessioni conclusive

Criticare l’evoluzione attuale di Internet rischia di porre in cattiva luce chi pratica la critica, anche quando è costruttiva e finalizzata a una maggiore conoscenza dei fenomeni nei quali siamo immersi. In una realtà in cui prevale il pensiero unico, la critica alla Internet personalizzata e commercializzata di Google e di Facebook può essere vista come la solita posizione alternativa e ribellistica che celebra la Rete libera e democratica o come il risultato di una incapacità a comprendere la rivoluzione tecnologica in corso. A questa critica è facile reagire affermando che la tecnologia è sempre più una scatola nera impenetrabile ai più e che l’utopia non è mai morta. Autori come Pierre Levy hanno ben descritto la buona utopia di Internet, intesa come maggiore libertà individuale e collettiva, maggiore comunicazione e interdipendenza ma oggi altri autori come Trebor Scholz, Miriam Cherry, e Jonathan Zittrain suggeriscono di esplorare  a fondo il cambiamento regressivo del cyberspazio odierno per far emergere i molti  timori qui esposti.

Il timore più grande è quello legato alla privacy delle persone e alla sua costante violazione da parte di società come Google, Facebook, Microsoft, ecc.. Una novella (A Novel of Deception, Power, and Internet Intrigue) di Shumeet Baluja, uno scienziato americano, illustra molto bene cosa è oggi possibile fare grazie alla centralizzazione dei dati personali nella Silicon Valley. I rischi che corriamo non possono non farci riflettere sui compromessi a cui siamo oggi obbligati per abbeverarci alla cornucopia di Internet e dei suoi social media. Meglio esserne coscienti e acquisire maggiori conoscenze e informazioni.

L'utopia nella sua duplice veste di eu-topia (luogo di felicità) e u-topia (un altrove da realizzare) non è morta ed è anzi motore potente di ogni cambiamento. I tempi che viviamo sono, in molti aspetti a nostra insaputa, rivoluzionari e come in ogni rivoluzione aumentano le opportunità di dare forma a nuovi sogni, profezie e utopie. Le nuove utopie non saranno più solamente fisiche (finito è il tempo delle Città di Campanella o dei falansteri di Fourier) ma soprattutto cognitive e virtuali, più fluide e dinamiche, reticolari e orizzontali (meno gerarchiche) più automatizzate e universali.

In tutto questo bisogna però anche essere coscienti dell’ambiguità della tecnologia. In Medio Oriente, Twitter e Facebook non hanno fatto alcuna rivoluzione. A farla sono state le persone e le loro pratiche politiche e rivoluzionarie finalizzate al cambiamento e al miglioramento delle condizioni reali di vita individuale e sociale. Internet, i social media e le nuove tecnologie sono state lo strumento abilitante, posto al servizio di finalità positive e che hanno a loro volta contribuito e condizionato l'unica vera utopia, il perseguimento della sua attualizzazione che non richiede un sua necessaria concretizzazione. Operare questo tipo di riflessione permette di uscire fuori da una visione centrata sulla tecnologia dell'informazione e di tenere conto dei numerosi altri mondi complessi da noi abitati ed esplorati ogni giorno.

 

Bibliografia

  • Silicon Valley: i signori del silicio di Eugeny Morozov, Edizioni Codice
  • Homo utopicus, Cosimo Quarta, Edizioni Dedalo
  • L’età ibrida di AYesha Khanna e Parag Khanna, Edizioni Codice
  • L’intelligenza collettiva. Per un’antropologia del cyberspazio di Pierre Levy, Edizioni Feltrinelli 

 

 

comments powered by Disqus

Sei alla ricerca di uno sviluppatore?

Cerca nel nostro database