Cambridge Analytica ha reso chiaro alle folle il significato, il ruolo condizionante e il peso degli algoritmi. Entità oscure come le formule magiche di cui i più forse ignoravano l’esistenza ma che hanno acquisito nel tempo un ruolo crescente nella vita di miliardi di persone così come nella disinformazione e manipolazione delle scelte e dei processi decisionali delle persone. Non solo nel ruolo di consumatori impegnati nell’acquisto di beni e servizi ma anche in quello di elettori e cittadini.
Resisi conto del danno economico che potrebbe nascere dalla maggiore consapevolezza degli internauti sugli effetti e sull’uso della tecnologia, in poco tempo abbiamo assistito a una proliferazione di messaggi, dichiarazioni e prese di posizione sulla necessità di fare qualcosa, di correggere il tiro, di prestare maggiore attenzione alle false notizie e al diritto alla privacy e molto altro ancora. Come se le dichiarazioni di Zuckerberg e soci fossero credibili o verificabili. Soprattutto come se fossero sufficienti, senza che ad esse seguano concrete azioni.
Le machine al lavoro, gli umani senza lavoro felici e contenti!
Mentre i leader della Silicon Valley fanno a gara a confessarsi e a rilasciare dichiarazioni, quello che colpisce è la distrazione e la scarsa attenzione con cui il popolo delle piattaforme e della Rete vive la propria esperienza tecnologica online. Colpisce la scarsa conoscenza e curiosità verso i numerosi studi pubblicati da un numero crescente di studiosi (ad esempio Sherry Turkle, Maryanne Wolf, Eli Pariser, Douglas Rushkoff, ecc.) che invitano a prestare maggiore attenzione a un uso critico e consapevole della tecnologia. L’invito è rivolto a tutti ma in particolare a genitori, insegnanti, psicologi e psicoterapeuti, a tutte le persone che hanno qualche responsabilità nei confronti delle nuove generazioni.
Il disincanto è necessario per smontare le false utopie alimentate dai guru dei Signori del silicio che hanno lavorato in modo intelligente alla creazione di una nuova religione fondata sulla fiducia cieca in nuove divinità ma soprattutto nei suoi sacerdoti. Così come per la chiesa Cattolica ci sono voluti anni per riconoscere i danni e gli effetti collaterali derivati dall’inquisizione e dal colonialismo votato alla conversione, anche la chiesa tecnologica richiederà tempo prima che si possa ragionare e riflettere in modo sereno e a-ideologico sugli effetti e sulle conseguenze da essa prodotte sulla vita di tante persone ma anche sociali e politiche.
Per scoprire che Internet si è riempito di spazzatura e di false notizie non ci voleva molto. Fa comunque impressione osservare quanti personaggi importanti della Silicon Valley si stiano cimentando oggi in una qualche forma di senso di colpa che li spinge a suggerire una qualche forma di riflessione critica utile a elaborare nuove strategie e a suggerire strade nuove, meno mirate alla manipolazione, a creare dipendenza con l’unico obiettivo del profitto, e più finalizzate a favorire nuove forme di umanità e umanesimo online e nella vita reale delle persone.
Per gli utilizzatori delle piattaforme tecnologiche, delle APP e dei motori di ricerca poco cambia. Le une e gli altri, unitamente agli algoritmi e alle intelligenze artificiali che li fanno funzionare, continuano a essere proprietà esclusiva di un numero limitato di aziende e di persone che danno forma a un tecno-capitalismo globale e alla conquista del mondo intero. Una conquista che passa attraverso il ruolo assunto nella vita privata e personale, individuale e sociale, lavorativa e professionale di miliardi di persone. Il problema non è come rendere, in modi che si manifestano in modo paternalistico, più umana la tecnologia ma come renderla più libera e democratica. L’umanesimo può aiutare la narrazione massmediatica dei Signori della Silicon Valley, libertà e democrazia pertengono di più alla vita delle persone. Così come servirebbe che la tecnologia favorisse amicizia e solidarietà.
A fare la differenza in future non saranno tanto le nuove strategie delle multinazionali tecnologiche ma la consapevolezza, che nasce dal disincanto, che un’altra tecnologia è possibile. Una tecnologia che fa parte dell’essere umani e come tale è un diritto e un bene comune. A rendere umana la tecnologia ci penseranno gli umani ma per poterlo fare hanno bisogno che le nuove tecnologie siano più democratiche, aperte e meno soggette al potere di pochi che, con le loro piattaforme e i loro algoritmi, saranno sempre alla ricerca di maggiori fatturati e guadagni. Se la democrazia e la libertà sono i veri obiettivi il disincanto deve portare ad azioni concrete, politiche e finalizzate a ridurre il potere di coloro che oggi lo detengono limitando libertà e democrazia. La strada sarà lunga e forse neppure senza finali positivi ma è l’unica strada disponibile prima che tutti siamo trasformati in cyborg rassegnati, passivi e ubbidienti.