Primo estratto dal libro Tecnologie e sviluppo del benessere psico-biologico - Prontuario per genitori e ragazzi, per un uso equilibrato della tecnologia scritto da Alessandro Bianchi e Carlo Mazzucchelli.
Un libro che gli autori propongono e suggeriscono per le tematiche trattate e per la rilevanza da esse assunte a causa della pandemia che ha visto crescere in modo esponenziale l'utilizzo di dispositivi tecnologici da parte di adolescenti (60% hanno un cellulare) e anche bambini (al di sotto dei 5 anni sono il 15%). Il libro è disponibile in formato E-BOOK e CARTACEO.
Un libro scritto come un prontuario di sopravvivenza attiva, pensato per genitori, psicologi e psicoterapeuti. Alcune semplici regole per ridurre la fatica della genitorialità e contribuire al benessere psicobiologico dei bambini.
“Ci stiamo avviando verso un’esistenza totalmente dentro lo schermo. Un’esistenza dove tendono a perdersi i confini tra le cose e prevale la logica della commistione. Il che costringersi a chiedersi ossessivamente se la realtà esiste ancora. Se si sta sognando o se ci si trova ancora in un mondo che ha un carattere reale.” - L’era dello schermo di Vanni Codeluppi
Un tempo erano videogiochi che interessavano un numero limitato di bambini e adolescenti, fortunati per avere ricevuto un regalo nuovo e tecnologico dai loro ricchi genitori. Oggi sono telefoni cellulari, smartphone e altri strumenti tecnologici, alla portata di tutti i bambini, anche quelli di pochi mesi e appartenenti a tutti i tipi di ceti sociali. Dispositivi diventati protesi tecnologiche e appendici simbiotiche, finalizzate all'intrattenimento e alla navigazione online, ma anche strumenti usati da molti genitori per distrarre i loro pargoli, in modo da poter continuare loro stessi le attività digitali e online alle quali si sono abituati e non riescono più a rinunciare.
Una realtà pervasiva caratterizzante l'epoca tecnologica attuale che dovrebbe suggerire una riflessione critica sulla genitorialità e sulle responsabilità che i genitori oggi hanno nel guidare i più giovani nell'uso intelligente e consapevole della tecnologia. La riflessione servirebbe a comprendere l'importanza di diventare e agire da genitori Tecnovigili (neologismo coniato da Carlo Mazzucchelli per il suo e-book Genitori Tecnovigili per ragazzi tecnorapidi pubblicato nella collana Technivisions), non lasciando mai solo il bambino o l'adolescente con videogiochi, Internet, applicazioni di social network e altri strumenti tecnologici.
I genitori devono essere consapevoli che regalare un dispositivo ai ragazzi significa fare loro un regalo ma anche cambiarli, forse in modo definitivo. Un cambiamento che interessa comportamenti e amicizie, modo di comunicare e interagire con le altre persone (il Contatto intermediato da un dispositivo con sensori che ritorna dati poi utilizzati per percepire e interagire con la realtà), esperienze e modalità di sperimentare isolamento e solitudine (non sempre negativi e in alcuni casi necessari), tipo di informazioni a cui hanno accesso, personalità, sensibilità e gusti personali.
La cuccia che cambia
La realtà tecnologica nella quale viviamo, caratterizzata da una rapida transizione verso una cultura di tipo digitale, è il risultato di una lunga evoluzione dell’Homo Sapiens. È un'evoluzione che non può essere bypassata e che in ogni fase vede le generazioni adulte impegnate nel compito di lasciare in dote a quelle più giovani la gestione, individuale e sociale, delle specifiche capacità e potenzialità umane sviluppatesi in una storia filogenetica così lunga.
La cuccia è il tempo dell'apprendimento, della scuola guida e del tirocinio.
Sulla cuccia il bambino non ha alcuna opzione di scelta: non la fa da sé né la sceglie, la trova già fatta. Vista e presa! Solo successivamente, anche prestissimo, quasi da subito, cerca di fare quanto gli è possibile per adeguarla alle proprie necessità: richiama l'attenzione, chiede o protesta con i suoi variegati pianti (che paiono simili ma sono molto diversi, a seconda della richiesta sottostante), poi, più grandicello, blandisce, insiste, pretende e talvolta ricatta sino allo sfinimento il povero genitore, istruttore e/o educatore.
Sulla cuccia ha poche opzioni di scelta anche l'adulto: può solo cambiare, personalizzandolo, l'arredamento, secondo i propri gusti, percezioni e stili personali. Obiettivi e funzionamenti di fondo, implicati nell'allestimento e nel funzionamento della cuccia, sono precisi e invarianti, frutto di qualche anno di evoluzione e di storia del genere umano sulla Terra, millenni che hanno richiesto al cervello umano diverse forme di adattamento e di riorganizzazione. Nel tempo della cuccia, il Sé del bambino deve attrezzarsi e imparare a funzionare in modo adeguato a una vita in salute e benessere, come unità psicobiologica, nei pensieri, nelle emozioni, negli atteggiamenti corporei, e nei processi neuroendocrinoimmunitari.
Sulla cuccia ha poche opzioni di scelta anche l'adulto: può solo cambiarne l'aspetto, personalizzandolo, secondo valori, gusti, percezioni e stili personali che si modificano in funzione delle latitudini e delle culture. Ma se i costumi variano anche molto, gli obiettivi e i funzionamenti di fondo della cuccia sono precisi e invarianti, frutto di millenni di adattamenti e di riorganizzazioni. Il tempo della cuccia, è quello che il bambino ha a disposizione per organizzare il proprio Sé, e deve usarlo per attrezzarsi come unità psicobiologica in modo adeguato a una vita in salute e benessere: nei pensieri, nelle emozioni, negli atteggiamenti corporei, e nei processi neuroendocrinoimmunitari. È lo spazio-tempo dell'apprendimento psicomotorio, del movimento e del linguaggio, dello sviluppo fisico e cognitivo; fucina dell'identità.
Nella crescita dalla dipendenza all'indipendenza la cuccia è sempre un ambiente relazionale.
Questo concetto va ribadito con decisione in modo da evidenziare quanto siano riduttivi (ovvero sbagliati e pericolosi) concetti rassicuranti come: “è nato così … è il suo carattere!”. Il carattere non è innato, dipende fortemente dalla cuccia e dall'ambiente nel quale essa è collocata e vissuta. Un ambiente che è governato da alcune leggi fondamentali che vanno rispettate rigorosamente.
Torniamo al Contatto, di cui abbiamo già parlato nel capitolo 1. Lo facciamo perché oggi corre il rischio di essere sostituito da altre esperienza di relazione con la realtà molto virtuali e digitali come quelle che caratterizzano l'interazione tra la superficie tattile di un display tecnologico e le dita di una mano.
Il Contatto, lo abbiamo visto anche nei topini e nelle scimmie, è un regolatore fondamentale dell'organismo. È modalità universale e memoria antichissima della nostra specie umana, dare molto contatto al neonato e riceverne di ritorno generalmente piacere: baci e carezze, abbracci e cullamenti, risciacqui e scutulii (termine siciliano) vari. Tutte pratiche necessarie alla stessa sopravvivenza del cucciolo e che appartengono al gruppo invariante dei Bisogni di Fondo. Un Contatto (con la “C” maiuscola a indicare che, aldilà dell'uso nel senso comune, la parola definisce un Funzionamento di fondo dell'essere umano) può essere definito come una: "Modalità di relazione fondamentale nella vita, tra Sé (intesi come Sistemi Integrati di processi psicobiologici) che si sviluppa dalle prime interazioni, molto corporee e tattili, tra adulti e bambino. Da essa emergerà, in continuità, la capacità e la possibilità di allacciare positive relazioni di prossimità nella vita sociale, affettiva e lavorativa."
La Psicologia Funzionale, alla quale dobbiamo la definizione precedente, suggerisce di considerare l'essere umano, ovvero il Sé, come una integrazione di 4 grandi aree di processi: cognitivi, sensomotori, emozionali e fisiologici. Possiamo così comprendere il Contatto osservandolo da più punti di vista. Come quando guardiamo il nuovo tablet che stiamo per acquistare, in uno store online o nel nuovo Apple Store di Piazza Liberty a Milano, ce ne possiamo fare un'idea chiara se lo guardiamo prima da un lato, poi dall'altro, poi di fianco (i più furbi anche di sotto). I punti di vista possono essere e sono sempre molteplici e diversificati, ma il tablet resta uno. Analogamente possiamo vedere il Contatto da diverse angolazioni prospettiche:
- come un processo inerente il tatto: tra Sé ci tocchiamo frequentemente, con le mani e con il corpo, la pelle è l'interfaccia; nel neonato è la bocca una parte del corpo che instaura spesso per prima un contatto con l'altro da sé o per manipolare un oggetto. Il tatto (il toccare) viene prima di ogni cornice narrativa ed è più di un semplice senso, è un dispositivo relazionale attraverso il quale troviamo il nostro posto nel mondo e in mezzo agli altri. Quando si sperimenta negli scambi affettivi e nelle interazioni di cura tra un adulto e un bambino provoca in ambedue sensazioni piacevoli. Tutti possiamo facilmente richiamarle alla memoria: È sufficiente che alla fine del capoverso stacchiamo un attimo dalla lettura, chiudiamo gli occhi e ci immaginiamo una carezza realmente ricevuta e/o data. Aldilà dell'evento in sé (quando, dove e con chi), se ci concentriamo un attimo, possiamo risentire, in modo percettivamente vivido, la sensazione tattile della carezza, nella nostra mano che l'ha donata o nella nostra pelle che l'ha accolta ...
- Come un'emozione: del Contatto possiamo cogliere l'emozione, lo stato d'animo ad esso connesso (ad esempio la felicità provata nel contatto col volto di una mamma sorridente e felice); la sua venatura variabile tra rassicurazione ed eccitazione (come ad esempio provocata da un tocco solleticante, quello che fa sganasciare dalle risa il bambino). Anche l'emozione, come l'esperienza del tatto, può essere riportata alla memoria e ripercepita adesso; in una ulteriore pausa nella lettura
- Come un pensiero: qui in primo piano passa la memoria dei fatti, dei gesti, il contesto ambientale e la persona oggetto del Contatto; ma anche il valore che è stato dato all'esperienza, il suo significato sul quale possiamo interrogarci. Ma chiediamoci invece quante volte abbiamo avuto un'esperienza simile negli ultimi tre giorni? Proviamo a fare il conto
- Come una cascata di ormoni e neuromediatori: di questi processi, che il contatto attiva, non abbiamo una percezione cosciente diretta. Non percepiamo il rilascio di ossitocina conseguente a un abbraccio (possiamo anche non sapere cosa sia) o l'aumento del tono vagale (che è una modalità di funzionamento del Sistema neurovegetativo[1]), ma ne sentiamo chiaramente gli effetti: il battito cardiaco che rallenta se prima agitato, il rilassamento, il piacere che si diffonde, il peso sullo stomaco che si dilegua. Sensazioni anch'esse riaccessibili nella nostra memoria ...
Nella realtà il Contatto non è nessuna di queste cose da sola, ma un unico Funzionamento psicobiologico corrispondente a uno specifico, essenziale e invariante Bisogno di fondo che solo da una esperienza piena e integrata può trovare risposta appagante.
Ma non sempre le cose vanno per il verso giusto, e può capitare che i processi (le Funzioni tattili, emotive, cognitive e biologiche) che caratterizzano il Contatto non procedano di pari passo, in modo convergente. Questo capita occasionalmente in molte situazioni di vita quotidiana, come nell'esempio che segue.
Tutti i genitori hanno fatto l'esperienza di addormentare il proprio figlio, cercando con un abbraccio e un movimento cullante di accompagnarlo nel sonno. Il genitore sa che è il momento giusto per il bambino e decide. Un'attività che solitamente richiede pochi minuti, o comunque un tempo più o meno consueto per vincere la resistenza del bambino e a distogliere la sua attenzione dalle cose nuove, interessanti e intriganti del mondo che lo circondano, si dilunga invece a dismisura quando il genitore ha fretta. Non è sfortuna ma la percezione da parte del bambino della non convergenza: il pensiero del genitore già proiettato nell'impegno urgente successivo condiziona in modo molto sottile il tipo di tocco e il suo ritmo, il battito cardiaco, il tono muscolare meno rilassato, il tono di voce. È come se una mano addormentasse e con l'altra tenesse sveglio, producendo una comunicazione dissonante che il bambino (sempre abilissimo e furbissimo) inevitabilmente percepisce impedendogli uno scivolamento verso il sonno.
Anche nella vita adulta recente possiamo ricordare contatti dissonanti: un abbraccio formale o senza convinzione, un tocco troppo superficiale o sfuggente da cui trapela l'assenza di un reale interesse e piacere, se non addirittura fastidio. Ma anche quando le cose non funzionano e la musica è stonata, il concerto è brutto e suonato da una pessima orchestra abbiamo sempre un'unica sinfonia; e quella depositiamo nella memoria. Gli esempi possono essere innumerevoli e ognuno ne ha di propri da raccontare.
Niente di serio se inevitabili eventi occasionali, ma grave se si instaurano come modalità relazionali costanti e ripetute nel tempo. Un accompagnamento cronicamente dissonante al sonno, ad esempio, può rendere difficile al bambino una corretta taratura del meccanismo sonno-veglia, con l'effetto di sbilanciare il rapporto tra gli ormoni relativi al primo (come la melatonina) e quelli relativi alla seconda (come il cortisolo).
Con lo sviluppo del bambino il Contatto diviene anche meno direttamente legato al senso e agli organi del tatto ed è raggiunto anche tramite le esperienze di vicinanza (il bambino è rassicurato dalla stessa presenza nel circondario del genitore). L'ambiente interattivo finisce per caratterizzarsi come un circondario affettivo (“so che si sei per me”), che viene percepito e può bastare come tale anche nella lontananza. Ma è una evoluzione successiva e in continuità. Per questo il Contatto nei primi anni è così importante: il "Sò che ci sei per me" funziona solamente perché richiama esperienze precedenti, registrate nei processi psicocorporei, altrimenti non avrebbe senso: il cervello potrebbe cercare quanto vuole nella sua banca dati, inutilmente (della memoria parleremo più in specifico nel paragrafo 2.6).
Per tutta l'età evolutiva l'esperienza del bambino, poi ragazzo e adolescente, si svolge prevalentemente in un senso di marcia: da un prima-interno verso un dopo-esterno. È vero che il bambino, e sempre più via via che cresce, scopre anche cose per proprio conto e quando il genitore è assente, così come è vero che subisce l'influenza dell'ambiente e della cultura esterna alla famiglia (già in utero!), ma il principale potere di direzione del traffico lo esercita il genitore dentro. Lì si sviluppano le capacità da esportare fuori per una guida autonoma nella vita. Anche l'esperienza dell'autonomia non esce dall'ambito relazionale.
La responsabilità non è del bambino ma sempre dell'adulto. Nessuno guarderebbe con partecipe comprensione la maestra di asilo che per spiegare a un genitore l'incidente capitato a suo figlio dicesse: Si è arrampicato da solo sulla libreria, per questo è caduto, io non ero presente!
Lo smartphone nella cuccia
Tra le varie cose di cui il bambino del terzo millennio (chiamiamolo Tecnorapido) fa esperienza ci sono anche i molteplici oggetti tecnologici (finalmente siamo arrivati al tema tecnologico!) che hanno riempito le case e la vita quotidiana di molte famiglie con bambini. La realtà di questi ragazzi Tecnorapidi e tecnologici di oggi è molto virtuale e sempre più online. È caratterizzata da minori attività fisiche e sociali come giocare al pallone, a nascondino o partecipare a feste di compleanno e pranzi tra amici. È una realtà che favorisce forme di intrattenimento passivo, la ricerca dell'isolamento digitale per socializzare online e che finisce per incidere nella percezione stessa delle varie realtà vissute, nella percezione di sé stessi, nella capacità di leggere, di relazionarsi agli altri e nell'apprendere.
Le machine al lavoro, gli umani senza lavoro felici e contenti!
Il battesimo digitale dei Tecnorapidi avviene presto, negli ultimi anni sempre prima. Spesso colpevolmente da genitori (presenti esclusi!) essi stessi troppo impegnati in allegre conversazioni telefoniche o a scambiare messaggi e immagini con amici e parenti attraverso Whatsapp e Instagram o ad alimentare la fame di MiPiace del muro delle facce (Facebook). Così impegnati da essere portati a regalare smartphone e altri dispositivi mobili ai loro figli, anche in tenera età e di pochi mesi, magari ancora sul seggiolone e bisognoso di attenzione, con l'obiettivo di distrarli a tradimento mentre li stanno imboccando, baloccarli, zittirli, impedendo la loro sete di domande, le loro curiosità e pretese.
Non tutti i genitori fanno sempre così, anche se qualche volta quasi tutti. È bene sapere che quando ciò accade stiamo abdicando al ruolo genitoriale (vedi paragrafo 2.7) ma soprattutto accettando con complicità i cambiamenti profondi che la tecnologia produce nella crescita e nello sviluppo fisico, cognitivo ed emotivo di ragazzi e ragazze.
Gli strumenti digitali sono oramai entrati prepotentemente nei luoghi di apprendimento del cucciolo umano. È una penetrazione pervasiva che interessa tutti, globalmente (nel senso di Globo e non solo di globale) e in ogni ambito di vita, sia personale, sia lavorativo, scolastico o familiare. La fase di evoluzione attuale della nostra società tecnologica non è interrompibile. La tecnologia ha una sua propria volontà di potenza ed ha assunto una velocità di accelerazione (di fuga) che obbliga tutti, in particolare educatori e formatori, genitori e adulti che hanno a cuore le generazioni più giovani, a una riflessione critica che vada oltre la celebrazione del nuovo paradiso terrestre tecnologico o la sua demonizzazione. La tecnologia non è il paradiso in terra ma neppure il palazzo di Barbablù dal quale tenere lontano bambini e bambine, adolescenti e teenager.
Sono i genitori a comprare i videogiochi, decidono loro quando farlo, a quale età e cosa acquistare. Esattamente come è sempre successo e succede col primo triciclo, la prima bicicletta o il motorino. Con qualche differenza sostanziale. Nessuno penserebbe di dare una bicicletta da corsa con telaio al carbonio a un bambino di tre anni, meglio rimanere sulla scelta di un triciclo o di una biciclettina bassa con le rotelline. C'è una propedeuticità da rispettare e un accompagnamento da effettuare: nessuno la consegnerebbe al proprio figlio (figlia) lasciando che vi si arrangi da solo. Tutti ci ricordiamo la mano che ci teneva il sellino, lo sguardo vigile del genitore che accompagnava le prime pedalate, il suo tifo orgoglioso, le istruzioni d’uso (si guida a destra, la mano sul freno ...), i pianti per le cadute e gli abbracci di conforto. Una sorta di Sé ausiliario che ci ha consentito di trovare il giusto equilibrio e di continuare a percepire nella memoria corporea ed emozionale la mano sul sellino anche quando non ce n'è più stato bisogno.
Perché con gli strumenti digitale dovrebbe essere diverso? La prima mano sul mouse deve essere del genitore.
Nella realtà molti genitori non si rendono conto che dare ai loro figli uno smartphone o un tablet è come regalare loro una bicicletta da corsa con telaio al carbonio e consegnare loro le chiavi di accesso a un nuovo mondo nel quale sentirsi re e protagonisti di una realtà che, nell'essere esperita, finisce per cambiarli per sempre.
Lo smartphone non ha sostituito solo il triciclo ma anche il ciucciotto. Quantomeno lo ha affiancato fin dalla più tenera età della maggior parte dei bambini italiani. Secondo una ricerca (1500 famiglie coinvolte) sul rapporto tra infanzia e tecnologie digitali, condotta nel 2017 dal centro per la Salute del Bambino Onlus di Trieste, un bambino su cinque entra in contatto con un dispositivo tecnologico nel suo primo anno di vita. Tra i tre e i cinque anni l'80% dei bambini ha già avuto esperienze digitali, spesso utilizzando i dispositivi dei loro genitori o di nonni entusiasti di vedere con quanta dimestichezza e maestria i loro nipotini sanno interagire con i display tecnologici. Nel secondo anno di vita il 60% dei genitori permette a figli di usare autonomamente uno smartphone o un tablet. La percentuale sale all'80% per la fascia di età tra i due e i cinque anni.
Il digitale, così come il triciclo o la bicicletta, non è esente da incidenti o capocciate. Con il triciclo nel cortile sotto casa il rischio è di sbucciarsi le ginocchia, al giardino pubblico le ginocchia proprie e quelle altrui, nelle strade cittadine le ginocchia proprie e quelle altrui con in più il rischio di essere investiti. Gli ambienti digitali hanno cortili piccoli e giardini limitati (gli acquari mondi ci cui ha parlato Carlo Mazzucchelli nel suo e-book I pesci siamo noi), ma incentivano precocemente a gettarsi nel traffico e a sperimentare l'ebbrezza della velocità e del rischio.
Dare uno smartphone al proprio figlio o figlia può forse garantire al genitore una maggiore tranquillità ma può essere all'origine di nuove ansie e perturbazioni varie. Perturbazioni che nei ragazzi si manifestano in difficoltà di apprendimento e di focalizzazione, in disordini emotivi, psicologici e anche fisici, difficoltà del sonno, incapacità a concentrarsi e a spostare l'attenzione su qualcosa di diverso dal display di uno schermo, forme di narcisismo sconosciute alle generazioni precedenti e in un'incapacità crescente a contestualizzare esperienze virtuali nella prospettiva più articolata e complessa della loro vita reale. L'uso continuativo dello strumento tecnologico non è di per sé un male, ma può contribuire a forme di cecità pericolose. Può impedire ad esempio di interfacciarsi e interagire con persone all'esterno della cerchia di contatti e amici online, e di comprendere il ruolo della tecnologia nel modificare quelle funzioni cognitive che dovrebbero servire al bambino per interrogarsi su un utilizzo più proficuo del suo dispositivo, di una piattaforma virtuale o di un'applicazione Mobile.
Quando i genitori si trovano a esaminare in che modo i loro ragazzi si rapportano alla tecnologia e usano i nuovi dispositivi dovrebbero interrogarsi su quanto tempo vi dedicheranno ma soprattutto in che modo interagiranno con il resto del mondo reale e sul rischio capocciate. Si devono cioè interrogare sulla loro effettiva preparazione nel mettersi alla guida di strumenti tecnologici, sofisticati, magnetici, attrattivi e che hanno raggiunto un elevato grado di sofisticazione e di potere di condizionamento e controllo su chi li usa. Non è un caso che tra le molte evoluzioni tecnologiche ci siano oggi le auto senza autista e le numerose intelligenze artificiali che stanno popolando ogni tipo di realtà.
Oggetto del dibattito non è la demonizzazione della tecnologia ma il suo utilizzo intelligente e consapevole. Un utilizzo che prevede l'affiancamento dei genitori e degli adulti ogni qualvolta a un bambino venga data la possibilità di interagire con uno schermo televisivo, un PC, uno smartphone o tablet, un videogioco o una APP Mobile.
Mani per sellini digitali
L'affiancamento non solo per vigilare ma per sostenere è fondamentale anche per le esperienze digitali. Ne deriva la necessità e l'urgenza di un ruolo attivo, consapevole e tecnovigile dei genitori e degli educatori. Un ruolo che parte dalla consapevolezza che abbandonare i bambini all'uso di un dispositivo tecnologico modifica la cuccia in cui si sono trovati a nascere, le loro abilità di apprendimento e lo sviluppo complessivo del Sé.
Ogni oggetto, lo ribadiamo, di cui il bambino fa esperienza gli/le è stato dato da un adulto. Dalla bicicletta, alla libreria pericolosa in asilo, al display,al semplice cono gelato. Una volta scoperto il gelato il bambino potrebbe continuare a volerne un altro, ma è compito dell'adulto regolamentarne la consumazione e la periodicità della stessa. Lasciato solo con la vaschetta formato famiglia il bambino potrebbe abbuffarvisi con conseguenti mal di pancia. Facilmente esagererebbe, non sapendo (ancora) quanto poterne mangiare; rischierebbero addirittura, con genitori pervicacemente distratti, di crearsi squilibri nel metabolismo e scatenando problemi alimentari futuri (ma questo succede solo in America!) [2]. Il gelato così come lo smartphone vanno regolamentati, dopo averne valutato caratteristiche, effetti, rischi e conseguenze varie e, soprattutto, accompagnandone alla gestione.
Secondo alcuni psicologi e pediatri (i riferimenti sono numerosi, il più famoso è sicuramente lo psichiatra tedesco Manfred Spitzer, autore di Demenza digitale, Solitudine digitale e il più recente Connessi e isolati), dare in mano uno smartphone a un bambino in tenera età è come iniziarlo all'uso futuro di cocaina. Il tempo speso sui social network in relazione alle capacità gestionali, può creare forme di dipendenza simili a quelle dal abuso di sostanze.
Può sembrare esagerato ma sono fenomeni che si stanno verificando.
La dipendenza trapela da una crescente disattenzione a tutto ciò che non scorre sulla superficie levigata di un display. Qualsiasi tentativo di distogliere dall'uso dei dispositivi si traduce in reazioni isteriche o di panico, in stati ansiogeni tipici dell'astinenza da sostanze. Studi e ricerche basate sull'uso di strumenti di brain image (per chi volesse approfondire l’argomento può fare riferimento alla rivista scientifica Nature che ha pubblicato numerosi lavori sul tema) hanno evidenziato effetti dei dispositivi tecnologici sulla corteccia frontale, la parte del cervello che sovrintende il controllo degli impulsi e aumento dei livelli di dopamina, il neurotrasmettitore associato alla ricerca del piacere e che è collegato all'uso di sostanze.
L'eccessiva esposizione a uno schermo può determinare disturbi del sonno, arrestare lo sviluppo del linguaggio, limitare la capacità di interazione sociale, interferire con lo sviluppo di empatia e con la capacità di risolvere problemi, aumentare l'irascibilità, modificare temperamento e carattere. Tutti effetti di cui parleremo più avanti nella descrizione delle prossime nove regole che compongono il decalogo di questo libro.
Passiamo alle prime norme d'uso prudenziali. Inizialmente i riferimenti generali seguiti da norme più precise ...
Norme d'uso generali.
I genitori devono sapere che non esistono regole semplici o definite che possano indicare cosa fare e quali comportamenti adottare. Le conoscenze sugli effetti di lungo termine della tecnologia sui bambini e sugli adolescenti sono ancora limitate e tali da suggerire prudenza e attenzione.
Come nel titolo del paragrafo, non lasciare mai solo il bambino a interagire con un dispositivo tecnologico è la regole generale. “Solo” rispetto all'uso e soprattutto all'apprendimento dell'uso. Prima dei due anni di vita meglio sarebbe non renderne possibile l'utilizzo (e raramente fino ai cinque anni). A queste età è più opportuno regalare loro un Lego piuttosto che un videogioco come Minecraft, un gioco o un libro piuttosto che un iPad e l'esperienza fisica con la natura e lo sport al posto dell'esposizione allo schermo di un televisore. E anche in questi casi la guida deve essere sempre elasticamente presente.
Dai sei anni l'uso dovrebbe essere limitato a una sola ora al giorno e sempre con l'affiancamento dei genitori e/o dopo aver definito e concordato con il bambino alcune regole che ne permettano l'uso durante l'arco della giornata. La scelta deve essere loro spiegata in modo trasparente e onesto; anche il tema tecnologie è occasione di dialogo aperto e diretto. Oltre alle norme, offrire esperienze relazionali piacevoli (giochi, frequentazioni di ambienti all'aperto …) è il miglior esempio, più efficace del monito, di ciò a cui si rischierebbe di rinunciare nel caso in cui cadessero in forme di dipendenza tecnologica. Le esperienze di vita reale devono essere vissute come migliori (e irrinunciabili) di quelle digitali. Chiediamoci seriamente come genitori quanto tempo dedichiamo a queste attività: stiamo coltivando una bella pianta che diventerà grande, rigogliosa e fruttifera, o un bonsai?
Quando i bambini crescono sarebbe meglio riuscire a convincerli che due ore al giorno davanti a un display sono già troppe e che dovrebbero privilegiare esperienze faccia a faccia (contatto), relazioni nella vita reale e giochi all'aperto.
L'affiancamento serve a evitare di trasformare il dispositivo tecnologico in una sorta di babysitter (vedi 2.4) e soprattutto a saper riconoscere per tempo eventuali problemi: manifestati da cambiamenti comportamentali, difficoltà emotive, irritabilità, segnali di disagio e atteggiamenti anomali di introversione.
Occhio al pulpito
Attenzione a tenere sempre d'occhio il pulpito dal quale viene la predica.
Nel decidere come limitare l'uso di uno strumento tecnologico i genitori devono sempre ricordare che lo sguardo dei bambini è sempre su di loro. Chiedere loro di fare ciò che viene loro detto e non quello che il genitore fa con la tecnologia non funziona. Se la faccia del papà o della mamma è costantemente immersa dentro i display difficilmente il bambino accetterà di farne a meno e chiederà di poter fare la stessa cosa.
L'affiancamento non potrà essere efficace se il genitore non sarà capace di:
- ridurre la sua stessa dipendenza dal mezzo tecnologico, se si lascerà convincere troppo facilmente sul potere educativo di applicazioni e piattaforme tecnologiche e se sarà incapace di guardare negli occhi il proprio bambino ogni qualvolta interagisce con lui, anche quando lo si fa in compagnia di un gadget tecnologico.
- di giocare e far giocare. Anche la tecnologia è occasione per giocare per il bambino, se non ha altri modi a disposizione, migliori e sensorialmente più ricchi, diviene attrattore unico e irresistibile. Fondamentale è anche il tempo dedicato dal genitore a giocare con lui. Un tempo oggi limitato anche dall'uso che i genitori stessi fanno dei loro dispositivi e dalla dipendenza che ne hanno derivato. Secondo alcuni studiosi (Action Guide for Child Care Nutrition and Physical Activity Policies e molti altri) sono sessanta i minuti che ogni bambino o bambina dovrebbe dedicare quotidianamente al gioco non strutturato, non mediato dalla tecnologia e neppure dai genitori. Giocare liberamente significa dare spazio all'immaginazione e alla creatività così come alla sperimentazione di processi decisionali e di soluzione dei problemi. È anche una ginnastica per il cervello che nei primi tre anni vita produce una quantità incredibile di nuove connessioni (sinapsi).
- di soddisfare gli altri (numerosi) bisogni non tecnologici del bambino; tramite letture, interazioni con altre persone, condivisione di piaceri variegati. Molti bambini si affidano al loro dispositivo perché si sentono soli, annoiati e senza altre motivazioni. I genitori possono aiutarli a rinunciare alla fuga nei mondi fantastici della rete e a rimanere connessi con la vita reale, le sue esperienze e relazioni fatte di sangue e carne, emozioni ed empatia.
L'intervento dei genitori nel cercare di sintonizzarsi con i figli con cui stanno sperimentando il tempo della cuccia tecnologica, le scelte da compiere in termini di quantità e qualità sono in funzione dell'età dei bambini e degli adolescenti coinvolti. Alcune scelte non sono semplici e possono essere percepite come troppo drastiche o frutto di una demonizzazione eccessiva della tecnologia. In realtà sono scelte consapevoli, pragmatiche e utili a un sano sviluppo psicobiologico futuro dei ragazzi. Uno sviluppo che da adolescenti e poi in età matura potranno valutare nel loro rapporto maturo, critico e consapevole con la tecnologia.
Norme d'uso specifiche per l'uso
Volendo provare ad abbracciare l'intero arco di vita di persone che sperimentano nel terzo millennio una longevità secolare le scelte suggerite per l'uso delle tecnologie possono essere così esemplificate:
- Entro il primo anno di vita: la parola chiave è “mai”, compresi gli strumenti tecnologici dei genitori. Il bambino non ha alcuna necessità di baloccarsi con strumenti tecnologici. Gli smartphone a tavola e cose simili sono tutte da bandire. Non intercettano alcuna necessità di apprendimento. Più che una cosa in più costituiscono un potenziale danno. Sono al massimo semplici distrattori che rischiano, con la loro attrattività e generazione di forme dipendenza, di rendere più evanescenti le esperienze di Contatto e gli apprendimenti (per esempio durante il rito sociale dei pasti in famiglia). Possono inoltre creare una dipendenza legata alla percezione della presenza costante di dispositivi digitali nell'ambito del proprio ambiente (cuccia) esperienziale e formativo. In più sottopongono a un inquinamento elettromagnetico cronico il cui rischio, per quanto ancora fonte di dibattito scientifico, non dovrebbe essere trascurato da genitori informati e tecnovigili.
- 1-3 anni. Il bambino non va mai lasciato solo. Il nuovo gioco va scoperto e sperimentato insieme e solamente insieme. La qualità della presenza adulta è di Sé Ausiliario. Solo quando il bambino ha imparato l'uso del gioco può rimanervi da solo il tempo necessario a concluderlo. Ma come non si deve rimpinzare la pancia di gelati, la quantità temporale deve essere limitata e controllata. Sicuramente sotto l'ora cumulativa giornaliera.
- 3-6 anni. Nelle scuole materne e piano piano anche nel nido viene incentivato l'uso del tablet come una propedeutica alfabetizzazione digitale. Come per l'alfabetizzazione alla lettura e alla scrittura occorre rispettare tempi fisiologici di attenzione. Il limite massimo per bambini di questa età è di un'ora al giorno, cumulativa e con la medesima qualità di Sé ausiliario della fascia precedente.
- 4. 7-11 anni. Siamo nel periodo della scuola elementare. I videogame la fanno da padrone, specie per i maschi. Per le femmine la preferenza va alle piattaforme sociali e di social networking, in particolare Instagram perché legata alle immagini e ai selfie. I genitori sono chiamati a diventare dei “media mentor”, a informarsi delle attività tecnologiche svolte dai loro figli, a verificarne progressi, problemi emergenti e difficoltà (non sempre raccontate e condivise), ma soprattutto all'affiancamento e alle partecipazione, nei limiti delle loro conoscenze e chiedendo spiegazioni ai ragazzi stessi se e quando non capiscono. Soprattutto hanno il compito di sostenere altre attività per compensare e/o riequilibrare (come vedremo nelle regole successive) l'uso del mezzo tecnologico. In questa fascia di età il tempo massimo cumulatico non dovrebbe superare le due ore, ma più che fissare un limite, i genitori dovrebbero fare attenzione se e quanto l’attività digitale mette a rischio altre attività salutari come il sonno, l’interazione sociale e l’esercizio fisico. Agendo nel ruolo di mentor il genitore sarà in grado di misurare e valutare aspetti positivi (interazione) e negativi (dipendenze, bullismo digitale, ecc.) dei mezzi tecnologici e determinarne le modalità e i tempi di utilizzo.
- 5. 12-14 anni. Siamo nel periodo della scuola media inferiore. A questa età i bambini galoppano verso l'adolescenza e dovrebbero essere già un po' corazzati grazie alle esperienze precedenti. Passano molto più tempo per conto loro, usano i dispositivi per giocare e per modalità di comunicazione. L'adulto è meno trainer, spesso ne sa meno dei figli, ma la condivisione, discreta come si conviene in preadolescenza, resta fondamentale come il compito di riequilibrare e/o compensare. Il tema della tecnologia (come gli altri) dovrebbe poter essere oggetto più approfondito di discussione. Anche In questo periodo di vita il tempo massimo di esposizione dovrebbe essere di due ore al giorno cumulative. E’ compito del genitore verificare qualità del tempo dedicato alla tecnologia e la sua incidenza sul benessere del bambino.
- 15-18 anni. I giovani navigano per conto loro, anche dove non penseremmo mai. Ma anche qui non lasciare soli significa nello specifico mantenere un tessuto di comunicazione sul tema. Più in generale e su tutti gli altri piani la cuccia è ancora presente, il ragazzo ci torna quando ne ha bisogno e deve trovarvi qualcuno.
- 18-99 anni. I ragazzi futuri, che dai 18 raggiungeranno i 99 anni, non avranno probabilmente nessun bisogno di porsi le domande che dobbiamo al contrario porci noi. Siamo una generazione di mezzo, di passaggio verso un'era sempre più dominata dalla tecnologia e nella quale incombono esseri umani con caratteristiche assimilabili a quelle delle macchine intelligenti, robot e simbionti. In attesa che si avveri il regno della singolarità delle macchine e che la nostra cuccia sia diventata una specie di Tamagochi in mano a macchine dotte di intelligenza artificiale, tutti possono porsi ogni tanto alcune, poche e semplici domande: “Non abbiamo di meglio da fare?”, “Sto utilizzando la tecnologia come una cosa in più o solamente al posto di?”, "A che tipo di evoluzione futura del genere umano sto contribuendo?"
[1] Il Sistema vagale (o parasimpatico) è componente del sistema neurovegetativo (spesso definito autonomo ma in realtà strettamente integrata con il cervello) assieme al Simpatico e all'Enterico (oggetto di studi più recenti). Generalmente è associato allo stato di quiete: rallentamento della frequenza cardiaca e respiratoria, aumento della mobilità delle pareti e delle secrezioni intestinali (ma anche salivari, gastriche, biliari, enteriche e pancreatiche), diminuzione del volume sistolico del cuore e della pressione sanguigna, contrazione delle pupille,, contrazione della muscolatura dei polmoni. In realtà il parasimpatico ha anche funzioni stimolanti, come sulla motilità e il tono dei muscoli dello stomaco, sulle secrezioni necessarie alla digestione, sull'eccitazione sessuale. La relazione “antagonista” sia come funzioni (il primo attiva e contrae e il secondo disattiva e rilassa) che come modo di funzionamento (laddove è attivo l'uno è disattivo l'altro) è stata superata per l'evidenza di una partecipazione sincrona, in costante e attiva comunicazione.
[2] L'Europa è importatrice non solo di merci ma di cultura che da oltreoceano si riversa, in modo sempre più rapido, sui nostri stili di vita. Secondo i dati 2018 dell'OMS negli Stati Uniti la percentuale di obesi raggiunge il 66,7%, in Italia (dati Istat 2015) il 35,3%. In forte aumento l'obesità infantile, correlabile anche alla riduzione di movimento all'aria aperta che la sedentarietà tecnologica sicuramente favorisce.