C’è un lavoro umano che conosciamo, che ha un luogo e un tempo. Un luogo dove si va a lavorare, dove le persone si ritrovano insieme e dove emergono forme di solidarietà. Un tempo di lavoro che lascia tempo libero, che è misura del valore della prestazione e che permette quindi di individuare un limite al di là del quale possiamo parlare di ‘sfruttamento’. Ma ci troviamo di fronte oggi a un lavoro che ci appare collocato in un non luogo che chiamiamo cloud, “nuvola”.
Con questa separazione del lavoro dal luogo, ci diventa più difficile concepire la ‘fedeltà’ al proprio lavoro e sembra scomparire la dimensione sociale della professione: ogni persona è isolata. Possiamo certo affermare che anche nei ‘luoghi digitali’ può essere cercata una socialità e anche una affettività. Ma non possiamo accontentarci di ciò che ci offrono le piattaforme di cui disponiamo.
Facebook per esempio –ma altrettanto possiamo dire di ogni social network o strumento di contatto digitale– è una imitazione del mondo molto pallida e riduttiva, semplificata all’estremo. Non può bastarci. Facebook, anzi, ci appare come una istituzione totale: non un luogo dove gli esseri umani possono cercare se stessi e gli altri costruendo spazi di libertà, ma un luogo già costruito, dove possiamo solo occupare spazi, ambiti di azione già definiti e concessi da un ‘sovrano’.
Soli con noi stessi (dialogando con Paola Sandonà)
E dove, per soprammercato, siamo continuamente osservati in ogni nostro comportamento. Il caso di Facebook ci aiuta a criticare anche i luoghi di lavoro digitale. Non per rifiutarli, ma per coglierne meglio il senso e per far sì che i Direttori del Personale –e poi in genere i lavoratori tutti– possano contribuire a progettarli.
Ci troviamo di fronte a un lavoro privo di tempo: tende a perdere senso la nozione di orario di lavoro, tende a scomparire la segmentazione della vita in periodi esclusivamente dedicati allo studio, al lavoro, alla pensione. Tende a scomparire il confine tra tempo di lavoro e tempo libero; tra tempo pubblico e tempo privato.
La nuova situazione digitale –lavoro senza tempo e senza luogo– ci offre l’opportunità di ripensare le stesse situazioni di lavoro che oggi viviamo. L’esperienza femminile mostra i limiti di queste separazioni: il tempo vissuto lontano dal luogo di lavoro non è tempo libero, perché è dedicato al lavoro domestico e di cura.
Si può così anche superare l’equivoca nozione di tempo libero che è, nelle intenzioni di qualche attore politico-economico, nient’altro che tempo che l’essere umano dovrebbe dedicare a un altro lavoro, quello del ‘consumatore’. La scomparsa della divisione tempo di lavoro e tempo libero può essere intesa come nuova libertà. La situazione attuale apre la possibilità di pensare il lavoro come attività svolta da donne e uomini durante l’intero arco della propria vita: non più una vita segmentata in formazione giovanile, età adulta dedicata al lavoro, quiescenza senile.
“Quiescenza”, nel linguaggio amministrativo, è lo stato del lavoratore dipendente di ruolo collocato a riposo e consistente nella pensione e nel trattamento di fine rapporto. In senso più lato, significa: stato di riposo, di cessazione o sospensione dell’attività. Deriva da “quiete”: un concetto che ha sempre accompagnato l’essere umano. Assenza di turbamento (opposto di moto) e stato di tranquillità (opposto di rumore). L’equilibrio è, per l’essere umano, tenere insieme lavoro e riposo, lavoro e quiete. Questo è il ritmo della vita.
Un passo dell’Iliade (Libro VII) ci parla di questo. Ettore e Aiace trascorrono il giorno combattendo da eroi, accanitamente, in singolar tenzone; niente impedisce loro di proseguire senza soluzione di continuità lo scontro, fino allo sfinimento, fino alla caduta finale di uno dei due; potrebbero dunque protrarre il combattimento nel corso della notte, alle luce di torce; eppure, all’imbrunire, Ettore propone all’avversario di interrompere il combattimento. Perché “buono è obbedire alla notte”. Aiace accetta: il combattimento è sospeso. I due, sia pure temporaneamente, si “riconciliano come amici”. E anzi, si scambiano doni. Certo, all’alba il combattimento riprenderà. Ma intanto, il ritmo della vita, il ritmo lavoro-riposo –un ritmo dettato da esigenze fisiche, da antiche convenzioni sociali– è stato rispettato.
Ecco, dobbiamo oggi saper reimmaginare tutto questo sulla scena digitale. I computer sono sempre accesi, le connessioni offerte dalla Rete sono sempre attive. In fin dei conti le tecnologie –anche quelle che sottostanno al lavoro digitale, al lavoro senza luogo e senza tempo– sono disegnate dall’uomo. Forse i tecnici che disegnano le piattaforme non hanno presente la lezione di Omero. Sta a chi di noi rammenta qualcosa di tutto questo raccontare ancora queste storie.