Si parla molto delle conseguenze della pandemia in termini di crisi economica e malessere materiale, non abbastanza degli effetti psichici da essa generati. Se ne parla poco perché si ha paura, si è impreparati a farlo, si attivano meccanismi di rimozione e si cerca di non avere paura di avere paura. Già prima della pandemia la nostra epoca tecnologica è stata raccontata come caratterizzata da passioni tristi (Spinoza, Miguel Benasayag), dalla difficoltà di vivere, da sofferenze esistenziali diventate psichiche e patologiche, da tanta solitudine generatrice di angosce e paranoie.
Tutto questo può oggi essere raccontato semplicemente dando visibilità agli innumerevoli eventi, fatti di cronaca, comportamenti e gesti che ben descrivono la realtà attuale. Fatti che trovano espressione in suicidi, gesti di insofferenza e ribellione, proteste (ambulanti, ristoratori, esercenti, eccc.), ricerca di capri espiatori, femminicidi (mai cessati) e violenze domestiche, abuso di alcool e droghe, ecc. SoloTablet.it ha deciso di raccontare tutto questo allestendo uno spazio dialogico e aperto nel quale mettere in relazione tra loro psicologi, psicanalisti, psichiatri, sociologi, filosofi e psicoterapeuti coinvolgendoli attraverso un’intervista.
In questa intervista Carlo Mazzucchelli, fondatore di SOLOTABLET.IT e autore di 20 libri pubblicati nella collana Technnovisions, ha intervistato Carlo Massarutto, (Psicologo, ad indirizzo breve e strategico, formatore e trainer.).
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Buongiorno, per prima cosa direi di cominciare con un breve presentazione di cosa fa, degli ambiti nei quali è specializzato/a e nei quali opera professionalmente, dei progetti a cui sta lavorando, degli interessi culturali e eventuali scuole/teorie/pratiche psicologiche di appartenenza (Cognitiva, Funzionale, ecc.). Gradita una riflessione sulla tecnologia e quanto essa sia oggi determinante nella costruzione del sé, nelle relazioni con gli altri (linguaggio e comunicazione) e con la realtà.
Buongiorno, mi chiamo Carlo Massarutto, sono uno psicologo a indirizzo breve strategico, ho un master in didattica meta-cognitiva, sono un formatore di aula e trainer. Attualmente sto completando in secondo anno della scuola di specializzazione in psicoterapia Breve Strategica e da qualche tempo mi occupo di psicologia clinica con focus su fobie e paure specifiche, ansia e panico.
Come modello teorico di riferimento ho sposato il costruttivismo radicale, per cui non esiste una sola realtà, ma ognuno ne costruisce una propria e sempre vera.
In sostanza, “dal tuo punto di vista, hai perfettamente ragione”.
La forza del mio modello teorico di riferimento è che è basato sull’arte del problem solving, attraverso strategie ad hoc, è possibile risolvere alcuni problemi in tempi molto brevi.
Utilizzo la tecnologia per comunicare la mia professione, per semplificare la gestione del lavoro e per riuscire ad entrare in contatto con molte più persone.
La tecnologia è uno strumento utile, ma come ogni strumento bisogna saper imparare a usarlo bene.
Davanti alle edicole o ai pochi bar aperti il dialogo tra i pochi avventori verte sui tempi bui che la crisi economica e sociale precipiterà su tutti noi in autunno. Un segnale forte che racconta come numerose persone stiano vivendo la crisi della pandemia, i suoi effetti, le aspettative future, le sue costrizioni e perturbazioni. Il segnale è sintomatico di ciò che avviene dentro il chiuso di molte case, spesso limitate per spazio e vivibilità, in termini di psicosi, angosce, ansie, incertezze, depressioni, insonnie, difficoltà sessuali, rabbia, fobie e preoccupazioni materiali per il futuro lavorativo, familiare e individuale. Lei cosa ne pensa? Crede anche lei che la crisi prioritaria da affrontare sia, già fin d’ora, quella psichica? Crede che la quarantena e l’isolamento siano serviti a fornire soluzioni positive a disagi psichici precedenti o li abbiano alimentati e peggiorati? Quali sono le malattie psichiche più preoccupanti, anche pensando al futuro sociale e politico dell’Italia?
Non è certo possibile generalizzare, nel mio piccolo, dal mio uditorio sto riscontrando diversi scenari, diametralmente opposti: da un lato alcuni hanno trovato degli effetti benefici del lockdown, riscoprendo il calore domestico, la famiglia dei ritmi più umani e meno stressanti, che cercano di difendere, ora, come non mai. Dall’altro lato, alcuni hanno accentuato i loro piccoli disagi pre-pandemia, fino a rendersi una vita un inferno.
Quello che è certo è che il cambiamento di vita è stato così repentino da dover mettere tutti nella condizione di adattarsi, ma non tutti sono in grado di adattarsi con rapidamente.
Qualcuno ho visto essere riuscito a risolvere alcuni problemi proprio grazie alla pandemia, prendendo in mano alcuni progetti, fino ad allora abbozzati.
In tempo di lockdown era molto preoccupante l’incremento delle patologie ansiose, con un forte senso di angoscia, tipico di chi si sente condannato e senza via d’uscita, preambolo di una situazione più marcatamente depressiva.
Alcuni problemi si sono visti nelle coppie, non più abituate ad una convivenza così stretta, che ha portato a rotture e ha fatto emergere problemi: molti si sono trovati a convivere con sconosciuti.
Con la fase di riapertura alcune fobie e ansie si sono accentuate, insieme ad alcune crisi di adattamento.
Nel futuro, credo, ci sarà una maggiore consapevolezza della propria salute mentale, non vedo una patologia più forte di altre, ma più un equilibrio, nonostante mi aspetto un incremento di pazienti: un disagio globale maggiore.
Corpo e mente non sono entità separate ma coesistenti all’interno dello stesso organismo complesso che noi siamo. Il coronavirus colpisce il corpo ma con esso anche la psiche, quella individuale e quella collettiva. La crisi della pandemia è emersa all’interno di una crisi più ampia e globale che ha determinato precarietà della vita e cronica precarietà del lavoro, insicurezza personale, disuguaglianze, crisi finanziarie, povertà e incertezza per il futuro. La frustrazione e il disagio psichico vengono da lontano, la crisi attuale potrebbe esserne il detonatore. Secondo lei cosa può derivare dal disagio crescente e dalla percezione di un passato perduto che non tornerà più? In che modo la pandemia sta determinando l’immaginario individuale e collettivo? Quanto inciderò sulla costruzione del Sé?
Le machine al lavoro, gli umani senza lavoro felici e contenti!
Questo virus ha attaccato le nostre quotidiane routine, azioni e relazioni, ha impedito la possibilità di dare estremi saluti ai propri cari, ha creato dei traumi che dovranno essere riparati, ha messo a dura prova alcune classi di lavoro, ha fatto rischiare la vita ad altri, ha erto eroi, ma che sono stati dimenticati in fretta.
Questo virus ci ha costretti ad un cambiamento, rapido e senza appello, in una società che già stava dando segni di cedimento interni.
Ora si sta vivendo nella paura che si blocchi tutto di nuovo, creando un consapevolezza che tutto è effimero e precario, che quello che si è costruito fino a qui, è caduto come un castello di carte.
È come se qualcuno avesse davvero fatto quel famoso squarcio nel teatrino delle marionette, di cui parlava il Pirandello nel suo “il fu Mattia Pascal”, dove sulla tragedia di Oreste da quello squarcio sarebbero entrati gli influssi del mondo esterno, trasformando l’Oreste in un Amleto, la certezza in dubbi.
Uno degli effetti del disagio psichico crescente può essere l’emergere di passioni/sentimenti furiosi come cattiveria, rabbia e ira. Il disagio che cova potrebbe far crescere e dilatare la rabbia facendola esplodere improvvisamente nel momento in cui la crisi economica si acutizzerà. Nella storia la rabbia e l’ira (descritte da Remo Bodei) hanno sempre giocato un ruolo sociale e politico importante, spesso non sono controllabili e degenerano in cambiamenti indesiderabili. Si alimentano di vittimismo, rancore, odio, voglia di vendetta e ricerca di capri espiatori, e poco importa quanto essi siano reali o immaginari. Tutto ciò si evidenzia oggi nella brutalità del linguaggio che caratterizza molti ambienti tecnologici digitali. La rabbia che emerge da questo linguaggio non è la rabbia civile che si esprime nella ricerca di maggiore giustizia e minori disuguaglianze. E’ una rabbia frutto della paura, pronta per essere usata dal primo politico, populista o manipolatore di turno. Secondo lei può la rabbia essere uno sbocco possibile della crisi pandemica in atto? Può considerarsi un effetto del disagio pischico, delle condizioni di vita materiale o di entrambe?
La tendenza dell’uomo a cercare un nemico tra i propri simili è storia antica, almeno si dalla nascita dell’homo erectus.
Questo virus ha messo le persone le une contro le altre, siamo passati dal gridare agli untori chi correva nei parchi, al cercare ossessivamente i colpevoli di tanti errori, non sono pandemici. Un virus che si è sviluppato in una società già frammentata più orientata al benessere del singolo, piuttosto che della comunità, ha accentuato i comportamenti già prima presenti.
Fa parte della natura umana lottare e combattere.
La rabbia è da sempre l’unica emozione che attiva le persone a fare qualcosa, importante è saperla canalizzare a dovere, altrimenti diventa un forza irruente e distruttrice, invece che un’alleata costruttrice.
Mi è capitato in studio un paziente che arrabbiato dalla situazione attuale, dall’impossibilità a far ripartire la propria azienda, si muoveva ovunque in cerca di soluzioni, ma ogni volta erano buchi nell’acqua, più lui si sbatteva più si allontanava dal suo obiettivo, questo perché guidato da una rabbia, senza un obiettivo definito, mentre la rabbia può essere un buon motore, ma deve essere sfruttata bene.
La rabbia è naturale e fisiologica, non è causa o effetto, ma non saperla canalizzare bene può provocare effetti disagianti.
Da questa crisi si può uscire bene ma, come ha scritto Houllebecq, anche senza alcun cambiamento. Il dopo pandemia rischia cioè di essere tutto come prima, anzi peggio. Una situazione che a sua volta potrebbe alimentare la rabbia e l’ira appena menzionati. Come ogni crisi anche la pandemia del coronavirus può essere un’opportunità. In ogni caso inciderà in profondità su quello che siamo e per anni su quello che saremo. In termini personali, culturali, psichici, economici e politici. Il mondo che ne uscirà potrà essere peggiore ma anche migliore: autoritario o più democratico, egoista o più solidale, autarchico o aperto, isolazionista o comunitario. Lo scenario che prevarrà dipenderà da: diagnosi e scelte che faremo, strade che percorreremo, impegno che metteremo. In lentezza, con prudenza, con determinatezza. Uno sbocco possibile prevede una maggiore solidarietà, locale e globale, tra persone vicine e lontane, tra popoli, tra stati, con l’obiettivo di scambiare informazioni e conoscenze e cooperare. Lei cosa ne pensa? Possono solidarietà, collaborazione e maggiore umanità essere gli sbocchi possibili della crisi in atto? Cosa succederebbe se non lo fossero?
Non credo che non ci sia alcun cambiamento, come diceva Eraclito “nessun uomo può fare il bagno in un fiume due volte, il fiume non sarà lo stesso e l’uomo non sarà lo stesso”. Così per ogni individuo, ogni sistema, più in generale, il cambiamento è costante ed eterno. Non potrà essere un dopo pandemia senza cambiamento, ci sarà stato, nei pensieri, nelle abitudini, nelle azioni e in altri piccoli dettagli.
La solidarietà maggiore è auspicabile, non per risposta ad una ripresa sociale, ma per un’evoluzione della società stessa, non tanto come sbocchi, quanto come normale crescita. Cosa dovesse accadere se non fosse così, non saprei, ma potrebbe essere il caos, ma mi auguro che non ci si arrivi mai.
Infine, per completare l’intervista, le chiedo di raccontare qualcosa delle sue attività lavorative/professionali e quanto esse siano cambiate come effetto della pandemia.
Una grossa parte della mia attività lavorativa era dedicata alle formazioni in aula, ovviamente tutte sospese, per tanto ho dovuto lavorare maggiormente sulla parte di attività clinica, lavorando maggiormente in remoto, creando uno studio virtuale, che mi ha fatto scoprire la bellezza di lavorare vicino (in) casa e portandomi a creare un nuovo progetto di un studio nella mia cittadina.
Vuole aggiungere qualcos’altro? Ci sono tematiche non toccate nell’intervista che secondo lei andavano approfondite?
Quello che adoro della parola Crisi è che, etimologicamente, dal Greco, significa Crescita, Cambiamento; come individui crescendo affrontiamo delle crisi, che una volta risolte ci portano alla fase successiva.
Ad esempio, da bambini, non riuscendo a comunicare con gli adulti, viviamo la crisi di iniziare a parlare, altrimenti emetteremmo dei suoni gutturali tutta la vita.
Quindi davanti ad una crisi, sarà sempre possibile avere un’evoluzione.