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La disconferma, questa sconosciuta

La disconferma, questa sconosciuta

27 Marzo 2021 Anna Maria Palma - Lorenzo Canuti
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Anna Maria Palma - Lorenzo Canuti
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Il termine disconferma è usato e maggiormente conosciuto nel mondo della formazione. Ma che cos’è la disconferma? Consideriamo che ogni persona si confronta con i propri interlocutori con il desiderio di trovare condivisione su quanto oggetto dello scambio relazionale, oltre che con l’aspettativa che quanto sta portando sia accettato, confermato, in particolare relativamente al ruolo che la persona ha in nell’interazione. La ricerca di conferma è un fatto sostanziale nella vita di ogni persona. E la conferma arriva con un cenno, che sia questo un sorriso, uno sguardo approvante, una stretta di mano, una comunicazione verbale di apprezzamento. Ogni soggetto esprime in qualche maniera il bisogno di essere confermato, di vedere confermate le proprie qualità, le proprie capacità, le proprie attitudini, le proprie azioni, le proprie comunicazioni. E come ciascuno manifesta la sua aspettativa di conferma, può a sua volta confermare o non confermare quella degli altri.

Sicuramente, a quanto una persona esprime si può contrapporre un punto di vista diverso, si può negare parte di quanto la persona sta portando, si può addirittura criticare il tutto. Ma con la disconferma si esprime qualcosa di più sottile e profondo di una palese negazione o di una proposta diversa. Con la disconferma spesso non ci si riferisce neanche alla realtà proposta dalla persona e neanche alla possibile discutibilità della stessa. Con la disconferma si nega in sostanza l’altro. Una replica del tipo “Hai torto” è esplicita e chiara, apre anche la possibilità al confronto su fatti concreti, la disconferma esprime implicitamente il messaggio “Tu non esisti, tu non hai significato!” Ignorare, mistificare, squalificare: queste le caratteristiche intrinseche alla disconferma. L’effetto che ne consegue è quello di minare la capacità di una persona di governare il rapporto con gli altri, di farla sentire insicura all’interno della realtà in cui opera. Questa condizione diviene più devastante quanto più arriva da chi ha un ruolo predominate, decisivo, emotivamente coinvolgente nel sistema relazionale. Da qualcuno al quale viene attribuito un valore di legittimazione alle sue manifestazioni, non criticabili le sue affermazioni e riconosciuta la sua prerogativa di mettere in dubbio, di squalificare.

"La relazione migliore
non è quella con una persona perfetta,
 ma quella nella quale
ciascun individuo impara a vivere,
con i difetti dell'altro
 e ammirando le sue qualità."
S. Pompili

Come afferma Paolo Borsoni da cui questi concetti sono tratti: «La perdita di sé è il risultato di tali processi, quando divengono esperienza comune e ripetuta con la negazione delle qualità e delle capacità di una persona, delle sue azioni, delle sue aspirazioni, dei modelli mentali con i quali tale persona codifica e decodifica la realtà. La fase finale di questi processi si compie allorché qualcuno viene posto in una posizione insostenibile, quando indipendentemente da quanto dica, faccia, avverta, indipendentemente dal significato che attribuisca alle situazioni, sono i suoi sentimenti, i suoi pensieri, i suoi messaggi ad essere spogliati di validità. Se tale genere di comunicazioni costituisce l’essenza regolare del processo comunicativo di relazione, il soggetto subordinato non è più sicuro di quanto egli stesso sia, del fatto che quanto dice sia effettivamente rispondente ai suoi pensieri, alle sue convinzioni.

La disconferma si realizza nella correzione continua dei messaggi di una persona, una correzione effettuata da chi ha un ruolo predominante e legittimo, così che la persona, in condizione subordinata, vede continuamente riproporre ciò che afferma e vuole, ma in modo diverso dalle sue intenzioni, attraverso un filtro di censure e di interpretazioni che non gli appartengono. Il soggetto subordinato viene sospinto in una posizione incerta, instabile anche nel merito delle cose che egli stesso pensa ed afferma: solo quando egli dice ciò che va bene all’altro dominante riceve segnali di approvazione, di sicurezza, di stabilità; questa situazione lo induce ad identificarsi nell’altro, nelle cose che questi dice, fa, vuole.

La squalifica delle capacità di un soggetto di costituirsi come identità personale ha l’effetto di una condizione esistenziale attraversata da indecisioni, difficoltà di scegliere, di assumere strategie personali di comportamento. Un modello interattivo fondato sulla disconferma e su una continua sequenza di disconferme incide sulla sicurezza esistenziale attraverso la quale una persona è in grado di affrontare la vita e le difficoltà con una chiara consapevolezza dell’identità di sé e degli altri».

La qualità della relazione è costruita su tutto quanto condiviso rispetto alla comunicazione, all’ascolto alla relazione, all’attenzione consapevole ed attiva; alla scelta di un certo tipo di linguaggio, alla presenza, alla ristrutturazione di pensieri non funzionali, all’elaborazione dei vissuti e delle nostre azioni. L’uso di queste modalità permette di evitare di cadere nella disconferma.

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Vizi e virtù delle disconferme

Nel desiderio di creare un’interazione funzionale con la disconferma, può divenire interessante considerarla una vera e propria attività che va in onda in modalità spesso poco consapevole e che presenta vizi e virtù. In base a quanto condiviso fino ad ora, mentre i vizi risultano sensibilmente evidenti, può sembrare difficile pensare alle virtù delle disconferme.

"L’uomo saggio comprende l’uomo stolto,
perché lui stesso un tempo
era un uomo stolto;
l’uomo stolto non comprende però
l’uomo saggio,
perché non è mai stato saggio."
Detto persiano

La nostra intenzione, tuttavia, non è quella di demonizzarle, tantomeno di creare un elenco di comportamenti denunciabili, proprio perché vengono spesso agite da uno spazio di inconsapevolezza o comunque di disattenzione. Ecco però che divenire abili in prima istanza nell’individuare le disconferme subite, cioè agite dagli altri verso di noi, può facilitarci nel divenire soggetti imparanti, ovvero disponibili ad accogliere da una parte le note degli altri sulle disconferme agite inconsapevolmente da noi e dall’altra nel portarle come nostro contributo agli altri. Considerando che il miglioramento delle relazioni può incidere in maniera determinante sulla qualità di vita delle singole persone, la disconferma può farsi strumento di evoluzione, aiutandoci in un opera, personale e interpersonale, di sensibilizzazione ed educazione ad una maggiore attenzione/presenza/responsabilità nella relazione.

Nella lettura degli esempi di disconferme che riportiamo poco più sotto, la proposta è di entrare nella percezione dei comportamenti descritti per coglierne gli elementi visibili (i comportamenti stessi) e quelli invisibili ma molto tangibili (sensazioni, emozioni e pensieri provati in risposta a questi comportamenti), per facilitare la traslazione e il riconoscimento di questo concetto nella realtà.

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Alcuni esempi di disconferme e i loro “antidoti”

 

Se si agisce in piena consapevolezza è molto facile notare numerose disconferme. Ci sono disconferme formali, quelle più evidenti, dalla mancanza di saluto, all’essere ignorato in una presentazione fra più persone, fino a quelle più profonde, quelle intime dove l’essere ignorato colpisce la parte più sensibile e profonda di noi. Ne elenchiamo qui di seguito un piccolo estratto rimandando alla fine del libro, nel capitolo “Campionario di disconferme”, per un ulteriore elenco. Tutti gli esempi sono stati scelti fra i tanti emersi nei nostri numerosi corsi fatti in tutta Italia, in aziende di diverse dimensioni, con persone nei diversi ruoli. Sono stati deliberatamente lasciati nella loro forma “verbale” perché emergesse l'emotività di cui certe situazioni sono portatrici.

"L’uomo saggio comprende l’uomo stolto,
perché lui stesso un tempo
era un uomo stolto;
l’uomo stolto non comprende però
l’uomo saggio,
perché non è mai stato saggio.
Detto persiano
la seconda è colpa mia."
Proverbio arabo
  • Viene indetta una riunione su qualcosa che mi riguarda ed io non vengo invitato.
  • Durante una riunione la persona che la conduce, guarda tutti e parla con tutti, non con me.
  • A tavola o durante una riunione, la persona che è seduta a fianco a me passa gran parte del tempo volgendomi la schiena per intrattenere una conversazione con l’altra persona accanto.
  • All’ascensore o per le scale non mi si saluta.
  • Una persona entra nella stanza dove lavoro a cercare un collega e non trovandolo esclama: “Qui non c’è nessuno?”
  • Scrivo una mail, ma non ho risposta.
  • Scrivo una mail ponendo una questione importante, mi si risponde genericamente, ma non sulla questione posta.
  • Arrivo alla macchinetta del caffè dove ci sono colleghi che parlano e vengo deliberatamente ignorato.
  • Mimiche facciali che esprimono disinteresse, non considerazione.
  • Sono esclusa da un invito a prendere il caffè.
  • Rimango con la mano tesa nel gesto di presentarmi, ma l’altra persona mi sta già volgendo la schiena.
  • Mentre parlo al telefono con una persona continuo a scrivere al computer ignara che dall’altra parte il rumore dei tasti e comunque la mia non presenza arrivano.
  • Sono nominato in una mail, ma non sono fra i destinatari della mail: lo so da altre persone in indirizzo.
  • Viene ignorata una mia proposta perché non rientrante nel ruolo o perché considerata banale.
  • Arriva il mio turno per andare allo sportello e rimango attimi davanti all’impiegato che non alza neanche la testa.
  • Chiedere di aspettare 5 minuti per poter essere richiamato e non venire richiamato.
  • A una cena, a una festa chi mi ha invitato e comunque nessuno, mi presenta.
  • Non sono informato su problematiche/decisioni inerenti al ruolo o rientranti nelle proprie competenze.
  • Partecipazione ad una riunione dove si rileva anche dai comportamenti che la nostra presenza non era pertinente.
  • Saluto con la mano non stretta e lo sguardo distratto altrove.
  • Il mio intervento non viene palesemente preso in considerazione (fatto di proposito).

Già da quanto riportato sopra, si desume quanto numerose possano essere le occasioni nelle quali avviene la disconferma. E anche se abbiamo riportato prevalentemente la forma di disconferma subita (sono quelle che più vengono rilevate, anche per il noto aforisma della trave nell’occhio del vicino e della pagliuzza nel proprio), sappiamo bene che ciascuno di noi può ritrovarsi tanto nella posizione di subire, che in quella di agire.

È vero anche che la disuguaglianza fra le due dimensioni ha a che fare con il ruolo di potere che abbiamo all’interno dell’organizzazione (e consideriamo organizzazione la coppia, la famiglia, la scuola, l’azienda, qualunque luogo dove interagiscono le persone e dove evidentemente in qualche maniera le persone hanno un ruolo). Ed è vero quindi che nella e alla posizione subordinata si riconosca meno possibilità di agire disconferme e ancor meno di proagire alle stesse quando sono subite.

Indichiamo alcuni “antidoti” alla disconferma; quelli relativi alle subite richiedono un maggior impegno e coraggio. Quelli riferiti alle agite richiedono un’attenzione attiva, una presenza di qualità, un essere animati dal principio che il successo si costruisce sulle relazioni, come sostiene Mark Sanborn e che la mia scelta di fondo è quella di vivere la vita con l’intenzione di  rappresentare un contributo e di non divenire mai un ostacolo.

Essere un contributo non significa sempre dare, trovare soluzioni, dire sempre sì, ma agire in funzione della proattività, creando fluidità, vantaggi, rispetto per se stessi, gli altri e l’ambiente in un’ottica di funzionalità e di risultato, evitando di creare attriti dentro di me e con gli altri, abitando il senso della possibilità che ci vede impegnati a cercare sempre, se non soluzioni, strade e alternative valide, proposte probabili.

Essere un ostacolo deriva da un allenamento alla replica, ai ma, ai però, un costante sguardo all’impossibilità, un atteggiamento di critica e di contestazione del tutto, divenendo così professionisti esperti, del “non si può fare”. Talvolta questo nutre un sentimento distorto dell’affermazione di sé. E nel contrasto pare che la contrapposizione conferisca maggiore visibilità, per il falso convincimento che il dire sì o l’essere d’accordo possa denunciare debolezza o “mancanza di spina dorsale”. Con questo non intendiamo assolutamente sostenere che si possa essere d’accordo sempre su tutto e con tutti, ma ancora una volta è importante il modo in cui viene espresso il disallineamento o il dissenso.

Ecco concretamente gli antidoti ad alcune delle disconferme sopra descritte.

Disconferma: viene indetta una riunione su qualcosa che mi riguarda ed io non vengo invitato.

Antidoto: appena ne vengo a conoscenza chiedo a chi ha organizzato la riunione come può essere successo.

Disconferma: durante una riunione la persona che la conduce, guarda tutti e parla con tutti, non con me.

Antidoto: richiamo l’attenzione su di me con un intervento appropriato e che catturi l’interesse.

Disconferma: a tavola o durante una riunione, la persona che è seduta a fianco a me passa gran parte del tempo volgendomi la schiena per intrattenere una conversazione con l’altra persona accanto.

Antidoto: se possibile tocco con gentilezza il braccio e dico: “Mi piacerebbe unirmi a voi in conversazione”.

Disconferma: all’ascensore o per le scale non mi si saluta.

Antidoto: saluto con gentilezza o se ho la possibilità, anche successivamente, faccio notare la cosa con l’obiettivo di chiedere se c’è qualcosa che non va al riguardo.

Disconferma: una persona entra nella stanza dove lavoro a cercare un collega e non trovandolo esclama: “Qui non c’è nessuno?

Antidoto: senza permalosità rispondo: “Ci sono io, forse non sono la persona che stavi cercando, ma ci sono”.

Disconferma: scrivo una mail ponendo una questione importante, mi si risponde genericamente, ma non sulla questione posta.

Antidoto: valuto se ribadire cortesemente la richiesta per mail o prendere il telefono e chiedere.

Disconferma: arrivo alla macchinetta del caffè dove ci sono colleghi che parlano e vengo deliberatamente ignorato.

Antidoto: garbatamente saluto e mi inserisco nella conversazione, se del caso.

Perché solo alcuni? Perché alla fine, se si riflette bene, per tutte esiste un unico grande antidoto: comunicare, esplicitare, far presente, argomentare; qualunque sia la nostra posizione. E se lo si fa senza spunti di contestazione sterile, rivendicazione, lamentela, o senza reclamare forzatamente attenzione, ma nell’ottica di co-costruire, migliorare la relazione, con l’obiettivo del miglior risultato da ottenere, nello spirito “win-win”, tutto contribuisce a creare maggiori consapevolezze, assumere più specifiche response-ability e agire nella maniera più facile e più funzionale, nel rispetto di tutti e di tutto.

Senza dimenticare la gentilezza e l’educazione che ovvierebbero a tante delle situazioni sopra indicate.

Una riflessione significativa è quella che riguarda lo  stare molto attenti a non prendere tutto sul personale, a non vivere tutto con un senso di esclusione, a saper comprendere bene che molti degli atteggiamenti degli altri non sono agiti deliberatamente contro di noi, ma frutto di inconsapevolezze, scarsa attenzione, se non in alcuni casi maleducazione.

Ogni volta che avvertiamo una disconferma in onda, prendiamoci cura della relazione e proponiamoci di collocarla subito al meglio, per evitare che si creino sommatorie pericolose che possono preludere a situazioni conflittuali, meno facili da risolvere.

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Il gusto della prevaricazione e della contrapposizione

 Parliamo di gusto perché ci sono persone che letteralmente si nutrono di queste modalità relazionali. Esistono e alimentano il senso di sé schiacciando l’altra persona o quanto meno negandola nelle modalità più disparate: dalla semplice mancanza di ascolto, alle accuse più pesanti dove emerge che la problematica è sempre a carico loro perché non sono abbastanza intelligenti, abbastanza veloci, ... Una disconferma a vita! Prevaricazione e contrapposizione sono due modalità fra le più praticate, soprattutto in un clima dove il livello culturale lascia a desiderare. Se sono certo della mia persona e delle mie competenze, non ho nessun interesse a pormi in una posizione in cui devo schiacciare l’altro per emergere. Se il mio obiettivo è co-costruire, so che nella contrapposizione fine a se stessa perdo sempre e comunque, in termini di efficienza e di efficacia, perché  devo considerare che io agisco e mi muovo non come isola, ma come parte di un arcipelago. E sminuendo l’altro depotenzio il contesto in cui opero, l’organizzazione nella quale sto operando, rinunciando ad ogni possibile evoluzione.

"Riconoscere sé stessi come individui
può essere facile
ma l’importante è riconoscere
che sono individui anche gli altri."
Italo Calvino

Un aforisma anonimo dice “Quando valuti una persona aggiungile valore”. Un insegnamento che non arriva a chi ha questo particolare gusto. Quasi in automatico, per queste persone non esiste il senso del non conosciuto da loro. La loro arroganza li porta a svalutare l’altra persona. Ignorano la possibilità che vi sia nell'altro “un non conosciuto da loro” e ciò li induce a non rapportarsi con il suo potenziale, ma, nella migliore delle ipotesi, a fare della sua prestazione un elemento incontestabile che ne testimonia l’incapacità, definita per altro in assoluto, senza circostanziare.

Il rispetto della dimensione più totale nella quale l’individuo si muove, la considerazione delle possibili interferenze, quei fattori che minano la migliore manifestazione di sé, la prestazione se vogliamo considerare il contesto organizzativo, garantiscono relazioni di qualità. E allora alle domande “Chi sono? Cosa faccio? Dove vado?”, devono fare eco altre: “Chi è l’altro? Cosa fa? Dove va?” Le risposte a queste domande hanno una storia, sono una  storia come scrive Eugenio Guarini.

«E c’è un luogo, dove amo sostare, dove amo restare anche quando mi muovo, un luogo dove sento forte il calore dell’energia, una sorta di amore primigenio, qualcosa cui non so dare un nome, ma è un luogo dove mi ritrovo, dove sento bene, da dove sorgo, da dove vado, da dove traccio rotte…

La domanda è sempre la stessa. Quella da cui sono partito, non so più da quanto tempo. Cosa voglio, chi sono, che combino?

E, strada facendo, ho capito che le prime risposte non devono essere prese per definitive. Farlo sarebbe come inchiodarsi.

La domanda è quella, ma la risposta ha una storia. La risposta è una storia.

Se accetti di ripetere la domanda, di farle spazio, ogni volta, di farla riecheggiare vedi che la risposta è come una pianta, che cresce, ramifica, ha una sua storia. E promette un futuro.

E più che la risposta è il rispondere continuamente che ti tiene in sella.»

Si colloca qui l’unica vera e grande competenza che indichiamo come sostanziale sintesi nei nostri percorsi di evoluzione. ’”essere”, “saper essere”, “fare”, “saper fare”, ma soprattutto “divenire” e “saper divenire”!

Un divenire del quale mi rendo response abile per me stesso e per le persone con le quali interagisco perché come ha scritto Rousseu. «Ogni individuo è un intreccio di potenzialità, la cui realizzazione comporta l’intervento attivo degli altri. L’evoluzione di se stessi è un processo sociale».

Tratto dal libro La gentilezza che cambia le relazioni L. Canuti A.M. Palma FrancoAngeli

 

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