Una delle leggi della storia è che i lussi tendono a diventare necessità e a produrre nuovi obblighi, ce lo insegna magistralmente Yuval Noah Harari nel suo libro Sapiens. Da animali a dei.[1] Una volta che ci si abitua a un certo lusso, lo si dà per scontato. Durante gli ultimi decenni ci siamo inventati innumerevoli strumenti che apparentemente ci fanno risparmiare tempo: cellulari, posta elettronica e Internet sono tra questi. Penso che le email siano il caso più emblematico: un tempo, uno scambio epistolare poteva richiedere settimane o mesi, oltre a un certo quantitativo di denaro, quindi ci si pensava due volte prima di scrivere. Oggi la posta elettronica ha annullato il valore economico e il senso di sforzo connesso; il risultato è che scriviamo molto di più, ma spesso per futili motivi, che non fanno altro che rendere la nostra quotidianità più ansiosa e velocizzata.
Nonostante questa premessa, che potrebbe sembrare ostile al cambiamento, ritengo che sia alquanto inutile opporsi al cambiamento. La ricerca che l’umanità ha sempre condotto per avere una vita più facile ha liberato forze di cambiamento immense, che hanno trasformato il mondo in un modo che nessuno aveva immaginato o voluto. Quel che è certo è che non si può tornare indietro, gli sforzi sarebbero di gran lunga superiori a quelli richiesti dall’adattamento. E allora eccoci qui, impegnati ad adattarci anche al digitale, come abbiamo imparato a fare da millenni.
Se la trasformazione digitale non può essere interrotta né evitata, non ci resta che imparare a gestirla. Nel libro Il Digitale Gentile, l’autrice Sara Malaguti affronta alcuni aspetti del cambiamento epocale che stiamo vivendo, aspetti che riguardano sia la vita economica e sia quelli più squisitamente legati alla sfera privata. La portata di questa rivoluzione è gigantesca, tant’è che in alcuni paesi, come il Giappone, esiste un vero e proprio programma governativo, “società 5.0[2]”, che va ben oltre la visione limitata dell'industria 4.0 di molti paesi, tra cui il nostro.
Nel libro si pone l’accento sulla necessità di adottare un approccio, basato appunto su comprensione ed empatia, piuttosto che formulare una ricetta valida per tutto. Sarebbe molto ingenuo, ad esempio, pensare di poter prendere un modello di trasformazione che ha funzionato per un’azienda o per un’Amministrazione pubblica e adattarlo tout court ad un’altra realtà, che per sua stessa natura è fatta da persone diverse, in un contesto diverso. È un mondo troppo complesso per formulare delle guide e tentare di adattarle ad un'organizzazione. Sebbene esistano sfide, obiettivi e caratteristiche comuni nelle organizzazioni di tutto il mondo, esistono anche enormi differenze per settore, regione e - soprattutto - persone.
Nel libro Il Digitale Gentile l’autrice suggerisce un approccio basato su 3 driver: l’esperienza umana del cliente, la flessibilità organizzativa e mentale, il dialogo costante.
E in maniera più approfondita possiamo dire:
1) costruire le giuste connessioni tra persone, team, tecnologie, i vari attori negli ecosistemi;
2) porre costantemente domande, di cui non dobbiamo avere timore;
3) porre l’elemento umano al centro, sia nella trasformazione in quanto tale (collaborazione, ecosistemi, abilità, cultura), sia per gli obiettivi da definire.
Il digitale, nelle sue molteplici possibilità, ci permette di tornare a stabilire una relazione personale, one-to-one, con i nostri interlocutori, può essere inclusivo, può essere al servizio della collettività. Tuttavia nessuno ha mai detto che si sarebbe autogovernato da solo, ha bisogno di leggi e della nostra volontà.
I diari nell’era digitale
Per fare un esempio, c’è una bella differenza tra considerarsi digitali perché si usano i social ed esserlo realmente perché si approccia il digitale con il vero scopo di cambiare lo status quo delle cose. Il vero valore della trasformazione risiede non nella trasformazione compiuta, ma in quell’inesauribile processo che sfida di continuo l'approccio tradizionale.
Il Digitale Gentile sprona anche i più diffidenti nei confronti della digitalizzazione a creare un nuovo paradigma di convivenza più bello e più sano di prima. Non si parla di “normalità”, perché la normalità non esiste, esistono le abitudini.
Confrontiamoci, creiamo insieme le opportunità.
Continuiamo a studiare e formarci, è l’unica via.