Carlo Mazzucchelli intervista Renato Pilutti, Consulente di Direzione per le risorse umane, Consulente filosofico e Docente di discipline etico-antropologiche
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Tutti sembrano concordare sul fatto che viviamo tempi interessanti, complessi e ricchi di cambiamenti. Molti associano il cambiamento alla tecnologia. Pochi riflettono su quanto in profondità la tecnologia stia trasformando il mondo, la realtà oggettiva e fattuale delle persone, nelle loro vesti di consumatori, cittadini ed elettori. Sulla velocità di fuga e volontà di potenza della tecnologia e sulla sua continua evoluzione, negli ultimi anni sono stati scritti numerosi libri che propongono nuovi strumenti concettuali e cognitivi per conoscere meglio la tecnologia e/o suggeriscono una riflessione critica utile per un utilizzo diverso e più consapevole della tecnologia e per comprenderne meglio i suoi effetti sull'evoluzione futura del genere umano.
Su questi temi SoloTablet sta sviluppando da tempo una riflessione ampia e aperta, contribuendo alla più ampia discussione in corso. Un approccio usato è quello di coinvolgere e intervistare autori, specialisti e studiosi che stanno contribuendo con il loro lavoro speculativo, di ricerca, professionale e di scrittura a questa discussione.
Buongiorno Dott. Pilutti, può raccontarci qualcosa di lei, della sua attività attuale, del suo interesse per le nuove tecnologie e per una riflessione sull'era tecnologica e dell'informazione che viviamo?
Sono forse un “animale umano” un po’ strano: dopo la maturità classica sono andato per sette anni a lavorare in fabbrica studiando nel frattempo Scienze politiche. A ventisette anni mi ha pescato il sindacato e lì son rimasto tredici anni facendo una discreta carriera, fino ad essere Segretario regionale del Friuli Venezia Giulia e membro degli organismi nazionali (con Giorgio Benvenuto). La cesura avviene quando mi chiama la Danieli, multinazionale dell’acciaio offrendomi il ruolo di Direttore del personale del gruppo; lì rimango un paio d’anni e poi me ne vado perché radicalmente in disaccordo con la linea di gestione delle risorse umane voluta dalla direzione, ma è un’esperienza decisiva per il mio futuro.
- Inizia così la mia carriera consulenziale in aziende sempre più importanti, nazionali e multinazionali, ma riprendo a studiare, questa volta discipline teologiche e filosofiche fino al conseguimento dei titoli accademici di laurea in tre discipline e di due PhD.
- Scrivo diversi volumi, soprattutto saggi, ma anche cose letterarie. Faccio il master di Phronesis, l’Associazione Nazionale per la Consulenza filosofica e dal 2012 al 2014 vengo eletto Vicepresidente. Sono anche co-autore della Perimetrazione dell’attività di consulenza filosofica, ripresa poi anche dalla legislazione nazionale di riferimento (L. 4/2013).
- Ho promosso diverse Cafè Philò e Letterari, lasciandoli poi al loro destino.
- Faccio formazione aziendale in ambito etico-antropologico e socio-organizzativo, corsi universitari e seminari teologici.
- Mi sento uno start-upper dentro, in-ventore-trovatore di cose stimoli sempre nuovi: avvio di sei filiali di lavoro somministrato nel Nordest dal 1999 al 2001; avvio dell’Ente Bilaterale artigiano dal 1989 al 1991; avvio dell’applicazione dei Codici etici e presidenza di alcuni Organismi di Vigilanza ex D.lgs 231/2001 dal 2010.
- Ho una figlia intelligente e bellissima tutt’intorno e dentro.
- Sono uno sportivo e un pensatore-pratico, figlio di operai rimasto operaio.
- Studio e applico un’antropologia platonica (con il dialogo maieutico), aristotelico-tomista, ed ermeneutica (Jaspers, Heidegger, Florenskij, E. Stein, Lévinas, Ricoeur, Gadamer, Pareyson, padre Fabro…), sia nel lavoro aziendale, sia nella consulenza filosofica individuale.
Secondo il filosofo Slavoj Zizek viviamo tempi alla fine dei tempi. Quella del filosofo sloveno è una riflessione sulla società e sull'economia del terzo millennio ma può essere estesa anche alla tecnologia e alla sua volontà di potenza (il technium di Kevin Kelly) che stanno trasformando il mondo, l'uomo, la percezione della realtà e l'evoluzione futura del genere umano. La trasformazione in atto obbliga tutti a riflettere sul fenomeno della pervasività e dell'uso diffuso di strumenti tecnologici ma anche sugli effetti della tecnologia. Qual è la sua visione attuale dell'era tecnologica che viviamo e che tipo di riflessione dovrebbe essere fatta, da parte dei filosofi e degli scienziati ma anche delle singole persone?
Non sarei così catastrofico. L’umanità ha già vissuto cambiamenti epocali, basti pensare all’invenzione dell’alfabeto sillabico (Ugarit), a Gutenberg, alla scoperta dell’America, a Copernico e Galileo. Mi pare che l’invenzione della stampa e la scoperta che il geocentrismo era una fola, siano stati due eventi di impatto straordinario nei tempi in cui sono accaduti e dopo. Oggi certamente la pervasività e la velocità del cambiamento tecnologico ha un impatto fortissimo sulla coesione sociale, sull’occupazione e sulla prevedibilità dei fenomeni socio-economici. Il fatto che lo stesso Bill Gates, dopo essere stato uno dei protagonisti (forse il principale) della rivoluzione digitale, oggi raccomandi quasi un rallentamento dell’innovazione, dell’introduzione di sempre nuove app nel sistema, la dice lunga… anche su un certo senso di colpa? In realtà, io penso che l’uomo non possa smettere di essere analogico, di utilizzare le facoltà speculative sue proprie, la logica argomentativa, direi, di stampo classico, quella che usava anche mia nonna con la terza elementare.
E poi, l’uomo è strutturato in modo infinitamente trascendente il suo stato attuale, con un potenziale neuro-psichico sterminato, su cui riporre molte aspettative.
E dunque si dà il tema dei giovani, che sono i più esposti al cambiamento, i meno attrezzati per poter affrontare questa nuova realtà con spirito critico e costruttivo. Non è un tema da poco, in una situazione assai difficile delle due agenzie fondamentali, la famiglia, che sta modificandosi profondamente sotto il profilo sociologico, e la scuola.
Miliardi di persone sono oggi dotate di smartphone usati come protesi tecnologiche, di display magnetici capaci di restringere la visuale dell'occhio umano rendendola falsamente aumentata, di applicazioni in grado di regalare esperienze virtuali e parallele di tipo digitale. In questa realtà ciò che manca è una riflessione su quanto la tecnologia stia cambiando la vita delle persone (High Tech High Touch di Naisbitt) ma soprattutto su quali siano gli effetti e quali possano esserne le conseguenze. Il primo effetto è che stanno cambiando i concetti stessi con cui analizziamo e cerchiamo di comprendere la realtà. La tecnologia non è più neutrale, sta riscrivendo il mondo intero e il cervello stesso delle persone. Lo sta facendo attraverso il potere dei produttori tecnologici e la tacita complicità degli utenti/consumatori. Come stanno cambiando secondo lei i concetti che usiamo per interagire e comprendere la realtà tecnologica? Ritiene anche lei che la tecnologia non sia più neutrale?
È vero, e occorre osservare con attenzione ciò che sta succedendo, ma anche con fiducia. Vero è che la tecnologia “non è più neutrale”, ma non lo è mai stata! Pensiamo all’invenzione del telaio a vapore e alle conseguenze sociali, luddismo, sindacalismo, proto-socialismo, cose da poco?
Alcuni libri di Renato Pilutti: Il Filo trasparente di Sofia. Girovagando nelle fenditure dell’essere e del divenire,Per una critica dell’io-centrismo cosmico. Riflessioni crepuscolari, liriche, dialoganti , Educare all’infelicità,Il viaggio di Johann Rheinwald , Non quello che voglio io faccio, ma quello che detesto. Elementi fondamentali di filosofia morale
Piuttosto io avrei cura dei linguaggi che, complici i nuovi media, i tablet, gli smarthphone, etc., stanno subendo un degrado qualitativo impressionante. Non so se si può fermare questa deriva semplificatoria e banalizzante dei concetti e delle semantiche, ma sarebbe già importante svilupparne la consapevolezza.
Si parte sempre dalla consapevolezza per agire e per progettare cose nuove. Non credo si tratti di una deriva irreversibilmente negativa, proprio in ragione degli eventi citati sopra (stampa, fine del geocentrismo, scoperta dell’America, etc.), ma anche in ragione della plasticità cerebrale umana e della potenza evolutiva della struttura umana stessa (cf. nozione degli “incidenti congelati”, E. Boncinelli).
Secondo il filosofo francese Alain Badiou ciò che interessa il filosofo non è tanto quel che è (chi siamo!) ma quel che viene. Con lo sguardo rivolto alla tecnologia e alla sua evoluzione, quali sono secondo lei i possibili scenari futuri che stanno emergendo e quale immagine del mondo futuro che verrà ci stanno anticipando?
Non condivido del tutto Badiou, nel senso che, se l’aspetto “neo-eracliteo” del suo pensiero è plausibile, non si può dire che non possiamo sapere chi e che cosa siamo, in qualche modo e a qualche livello di autoconsapevolezza. Il tema della coscienza è un tema presente da millenni nel pensiero e nella ricerca filosofica sull’umano, per cui non mi sentirei di liquidarlo con una semplificazione meramente futuribile. Magari Badiou potrebbe ripassare in lettura il Libro XI delle Confessiones di Agostino, specialmente i capitoli sul “tempo”.
Certamente il futuro ci riserverà formidabili cose nuove, interazioni uomo-macchina, scoperte importanti sulla struttura psichica dell’uomo, possibilità di cure genetiche e interventi protesici oggi impensabili, ma… credo che la struttura umana così come la conosciamo permarrà nella forma sostanziale (in senso aristotelico-tomista) che conosciamo, chissà, forse fino a un nuovo sciame vitale proveniente dallo spazio profondo.
Secondo alcuni, tecnofobi, tecno-pessimisti e tecno-luddisti, il futuro della tecnologia sarà distopico, dominato dalle macchine, dalla singolarità di Kurzweil (la via di fuga della tecnologia) e da un Matrix nel quale saranno introvabili persino le pillole rosse che hanno permesso a Neo di prendere coscienza della realtà artificiale nella quale era imprigionato. Per altri, tecnofili, tecno-entusiasti e tecno-maniaci, il futuro sarà ricco di opportunità e nuove utopie/etopie. A quali di queste categorie pensa di appartenere e qual è la sua visione del futuro tecnologico che ci aspetta? E se la posizione da assumere fosse semplicemente quelle tecno-critica o tecno-cinica? E se a contare davvero fosse solo una maggiore consapevolezza diffusa nell'utilizzo della tecnologia?
Le machine al lavoro, gli umani senza lavoro felici e contenti!
Non sono mai stato “polare” o estremista, ma sempre riformista e moderato, bernsteiniano in politica e dialogico in filosofia. Non credo in “verità radicali” se non nell’atto di Fede, se questo dono di ragione e sentimento mi giunge. Credo, però, nella possibilità di accedere a “verità locali” (cf. il mio collega Stefano Zampieri, past president di Phronesis).
La tecnologia è al servizio dell’uomo e penso che tale rimarrà, anche se la sua evoluzione potrà preoccupare i decisori politici e l’etica generale. Ecco: il punto è proprio questo: non è detto che ciò che è possibile fare tecno-scientificamente, di debba per forza fare. Qui ci può aiutare un forte richiamo all’Etica come sapere certo ed evidente sul Fine che non può non essere che l’uomo stesso e la natura, prevedendo sempre la priorità di una sua integrale salvaguardia psico-fisica.
Mentre l'attenzione dei media e dei consumatori è tutta mirata alle meraviglie tecnologiche di prodotti tecnologici diventati protesi operative e cognitive per la nostra interazione con molteplici realtà parallele nelle quali viviamo, sfugge ai più la pervasività della tecnologia, nelle sue componenti nascoste e invisibili. Poca attenzione è dedicata all'uso di soluzioni di Cloud Computing e ancora meno di Big Data nei quali vengono archiviati miliardi di dati personali. In particolare sfugge quasi a tutti che il software sta dominando il mondo e determinando una rivoluzione paragonabile a quella dell'alfabeto, della scrittura, della stampa e di Internet. Questa rivoluzione è sotterranea, continua, invisibile, intelligente, Fatta di componenti software miniaturizzati, agili e leggeri capaci di apprendere, di interagire, di integrarsi e di adattarsi come se fossero neuroni in cerca di nuove sinapsi. Questa rivoluzione sta cambiando le vite di tutti ma anche la loro percezione della realtà, la loro mente e il loro inconscio. Modificati come siamo dalla tecnologia, non ci rendiamo conto di avere indossato delle lenti con cui interpretiamo il mondo e interagiamo con esso. Lei cosa ne pensa?
Vero, io stesso ne sono un poco vittima, perché quasi analfabeta (di andata e ritorno), informaticamente parlando. Suggerirei pertanto prudenza nell’uso dei sistemi di comunicazione in essere, perché Big Data è la realizzazione del 1984 orwelliano, così come gli interventi di hacker e agenzie spionistiche di grandi nazioni (Snowden etc. docent).
Non saprei che dire di più, se non che dobbiamo considerare la cultura come la migliore salvaguardia nei confronti questi rischi: lo studio delle grandi discipline classiche, la matematica, la fisica, il latino, il greco, la logica filosofica…
Come sempre è il sapere autonomo soggettivo che fa la differenza e aiuta la costruzione di un sé capace di analizzare, sintetizzare, analogizzare e dialettizzare ciò che rischia di essere percepito come assoluto digitale.
Se il software è al comando, chi lo produce e gestisce lo è ancora di più. Questo software, nella forma di applicazioni, è oggi sempre più nelle mani di quelli che Eugeny Morozov chiama i Signori del silicio (la banda dei quattro: Google, Facebook, Amazon e Apple). E' un controllo che pone il problema della privacy e della riservatezza dei dati ma anche quello della complicità conformistica e acritica degli utenti/consumatori nel soddisfare la bulimia del software e di chi lo gestisce. Grazie ai suoi algoritmi e pervasività, il software, ma anche la tecnologia in generale, pone numerosi problemi, tutti interessanti per una una riflessione filosofica ma anche politica e umanistica, quali la libertà individuale (non solo di scelta), la democrazia, l'identità, ecc. (si potrebbe citare a questo proposito La Boetie e il suo testo Il Discorso sulla servitù volontaria). Lei cosa ne pensa?
Penso al libro di Eric Fromm (1960 o giù di lì) Fuga dalla libertà, e anche alle grandi dittature del ‘900, e mi chiedo: come mai il popolo più colto d’Europa, quello tedesco, ha innalzato Hitler a una posizione tale da poter minacciare il mondo? Che è successo a una nazione alfabetizzata da mezzo millennio (la Bibbia luterana in mano al popolo)?
In realtà può capitare che l’uomo, non sprovvisto di spirito gregario, a volte preferisca affidarsi, fidarsi, anche rinunziando a una parte della propria libertà personale in cambio di una più “rassicurante sicurezza”. La libertà, come sostenevano due pensatori molto diversi, come J.-P. Sartre e il padre C. Fabro, è una condizione antropologico-esistenziale ineluttabile per l’essere umano auto-cosciente.
Epperò la libertà forse va declinata meglio rispetto alla dizione liberal-democratica à la Stuart Mill, e il “fare ciò che si vuole” potrebbe diventare un “volere ciò che si fa”, recuperando la nozione classica di un circolo virtuoso tra intelletto e volontà, di matrice aristotelico-tomista. Il “volere ciò che si fa” recupera un dato di coscienza responsabile e cognitivamente più sano rispetto al suo contrario. Ecco, forse questa può essere una buona medicina spirituale per il tema e i rischi da lei considerati.
Una delle studiose più attente al fenomeno della tecnologia è Sherry Turkle. Nei suoi libri Insieme ma soli e nell'ultimo La conversazione necessaria, la Turkle ha analizzato il fenomeno dei social network arrivando alla conclusione che, avendo sacrificato la conversazione umana alle tecnologie digitali, il dialogo stia perdendo la sua forza e si stia perdendo la capacità di sopportare solitudine e inquietudini ma anche di concentrarsi, riflettere e operare per il proprio benessere psichico e cognitivo. Lei come guarda al fenomeno dei social network e alle pratiche, anche compulsive, che in essi si manifestano? Cosa stiamo perdendo guadagnando da una interazione umana e con la realtà sempre più mediata da dispositivi tecnologici?
Come sempre, oltre alla nostra cultura greco-latina e biblica, è bene considerare altre fonti sapienziali, e su questo tema ricorrerei alla sensibilità taoista. Voglio dire: siccome non possiamo fermare “l’acqua torrenziale” dell’innovazione informatico-digitale, cerchiamo di imbrigliarla, ché, tanto, l’acqua trova sempre la sua strada, ma forse meno violentemente.
La cosa migliore mi sembra ancora quella della conoscenza: conoscere per giudicare e per scegliere come usare i nuovi strumenti. Inoltre, soprattutto nei confronti dei giovani (e men giovani, numerosi più di quanto si pensi), che sono imbrigliati dal sistema, è il caso di segnalare loro, con garbo, che rischiano di mettersi in una condizione servile e diventare inconsapevoli vittime, suggerendo di mettersi ogni tanto in meta-posizione, sollevando lo sguardo dal tablet per contemplare l’orizzonte in cui sono inseriti, i volti dei consimili, la natura… E dialogare, dialogare con pazienza, con rispetto, riconoscendo nell’Altro un “io” (cf. Buber, Lévinas, e soprattutto Wittgenstein), non un mero “tu”. E’ un esercizio che personalmente faccio ogni mattina che viene.
In un libro di Finn Brunton e Helen Nissenbaum, Offuscamento. Manuale di difesa della privacy e della protesta, si descrivono le tecniche che potrebbero essere usate per ingannare, offuscare e rendere inoffensivi gli algoritmi di cui è disseminata la nostra vita online. Il libro propone alcuni semplici comportamenti che potrebbero permettere di difendere i propri spazi di libertà dall'invadenza della tecnologia. Secondo lei è possibile difendersi e come si potrebbe farlo?
Non saprei tecnicamente come farlo. Va bene quello che propongono questi esperti ma, insisto, occorre anche un lavoro di ripresa dialogica per irrobustire il senso critico delle persone. Non basta mai la sola tecnicalità, serve sempre la credibilità di una relazione empatica.
Vuole aggiungere altro per i lettori di SoloTablet, ad esempio qualche suggerimento di lettura? Vuole suggerire dei temi che potrebbero essere approfonditi in attività future? Cosa suggerisce per condividere e far conoscere l'iniziativa nella quale anche lei è stato/a coinvolto/a?
Direi un tema: ri-declinare insieme ciò che si può intendere per “sapere etico”, in un tempo in cui si confonde il “relativismo” con l’essere-in-relazione.
Cosa pensa del nostro progetto SoloTablet? Ci piacerebbe avere dei suggerimenti per migliorarlo!
Forse ridurre un poco il format dell'intervista che ho sperimentato oggi. Infatti, non so quanto possa essere fruibile e quindi efficace un dialogo che si dipana su tredici pagine: vale a dire qualche argomento in più in meno spazio.