Filosofia e tecnologia /

Tecnologicamente consapevoli ma recuperando l'intimità!

Tecnologicamente consapevoli ma recuperando l'intimità!

24 Marzo 2017 Interviste filosofiche
Interviste filosofiche
Interviste filosofiche
share
L’uomo, l’inventore della tecnica, dovrebbe a mio avviso recuperare quell’intimità per la vita e solo conseguentemente porsi la questione della tecnica, mi riferisco ad una scelta di campo: l’uso non consapevole degli strumenti non è una questione digitale ma umana.

Carlo Mazzucchelli  intervista Barbara Piozzini, Professoressa di Filosofia e Storia presso un Istituto paritario e collaboratrice di ricerca in Logic Based Therapy ( lbtinstitute.com ) presso un’istituzione universitaria statunitense (per info sulla formazione: italianinstituteoflbt@gmail.com).

Sei filosofo, sociologo, piscologo, studioso della tecnologia o semplice cittadino consapevole della Rete e vuoi partecipare alla nostra iniziativa con un contributo di pensiero? .

Tutti sembrano concordare sul fatto che viviamo tempi interessanti, complessi e ricchi di cambiamenti. Molti associano il cambiamento alla tecnologia. Pochi riflettono su quanto in profondità la tecnologia stia trasformando il mondo, la realtà oggettiva e fattuale delle persone, nelle loro vesti di consumatori, cittadini ed elettori.

Sulla velocità di fuga e volontà di potenza della tecnologia e sulla sua continua evoluzione, negli ultimi anni sono stati scritti numerosi libri che propongono nuovi strumenti concettuali e cognitivi per conoscere meglio la tecnologia e/o suggeriscono una riflessione critica utile per un utilizzo diverso e più consapevole della tecnologia e per comprenderne meglio i suoi effetti sull'evoluzione futura del genere umano.

Su questi temi SoloTablet sta sviluppando da tempo una riflessione ampia e aperta, contribuendo alla più ampia discussione in corso. Un approccio usato è quello di coinvolgere e intervistare autori, specialisti e studiosi che stanno contribuendo con il loro lavoro speculativo, di ricerca, professionale e di scrittura a questa discussione.

 

Secondo il filosofo Slavoj Zizek viviamo tempi alla fine dei tempi. Quella del filosofo sloveno è una riflessione sulla società e sull'economia del terzo millennio ma può essere estesa anche alla tecnologia e alla sua volontà di potenza (il technium di Kevin Kelly) che stanno trasformando il mondo, l'uomo, la percezione della realtà e l'evoluzione futura del genere umano. La trasformazione in atto obbliga tutti a riflettere sul fenomeno della pervasività e dell'uso diffuso di strumenti tecnologici ma anche sugli effetti della tecnologia. Qual è la sua visione attuale dell'era tecnologica che viviamo e che tipo di riflessione dovrebbe essere fatta, da parte dei filosofi e degli scienziati ma anche delle singole persone?

Parto da una premessa che riprende la sua domanda.

Proporre a Terzi il tipo di riflessione che devono fare mi sembra riduttivo esattamente come l’utilizzo mal indirizzato della Tecnologia.

Innanzitutto non credo si possa proporre una paideia universale a una classe dominante di intellettuali dividendo in sottocategoria l’immagine di popolo. Il problema a mio avviso andrebbe innanzitutto posto in termini di rapporto e scarto tra la coppia di termini umanità e collettività.

Recentemente, sono stata a una conferenza di Galimberti il quale citava la perdita di intimità con la propria Vita, non credo che la tecnologia abbia prodotto questo effetto ma al contrario credo sia una conseguenza.

Riporterei quindi l’attenzione sul rapporto Io-Mondo.

L’uomo, l’inventore della tecnica, dovrebbe a mio avviso recuperare quell’intimità per la vita e solo conseguentemente porsi la questione della tecnica, mi riferisco ad una scelta di campo: l’uso non consapevole degli strumenti non è una questione digitale ma umana.

 

Miliardi di persone sono oggi dotate di smartphone usati come protesi tecnologiche, di display magnetici capaci di restringere la visuale dell'occhio umano rendendola falsamente aumentata, di applicazioni in grado di regalare esperienze virtuali e parallele di tipo digitale. In questa realtà ciò che manca è una riflessione su quanto la tecnologia stia cambiando la vita delle persone (High Tech High Touch di Naisbitt) ma soprattutto su quali siano gli effetti e quali possano esserne le conseguenze.  Il primo effetto è che stanno cambiando i concetti stessi con cui analizziamo e cerchiamo di comprendere la realtà. La tecnologia non è più neutrale, sta riscrivendo il mondo intero e il cervello stesso delle persone. Lo sta facendo attraverso il potere dei produttori tecnologici e la tacita complicità degli utenti/consumatori. Come stanno cambiando secondo lei i concetti che usiamo per interagire e comprendere la realtà tecnologica? Ritiene anche lei che la tecnologia non sia più neutrale?

Siamo sicuri che sia la Tecnica a trascrivere e falsare la realtà?

Il device tecnologico è stato programmato ad immagine e somiglianza dell’uomo sfruttando la Biologia, il perno su cui fa leva è una naturale predisposizione dell’umano.

Il nostro sistema nervoso centrale funziona per trascrittività del reale, la realtà viene mappata e rielaborata, dei fasci fotonici colpiscono la retina e poi coni, bastoncelli e smistamento a cascata dell’informazione visiva.

Dal programma neurobiologico alla tecnologia, la decodifica e relativa riproduzione dei fatti avviene al livello meno articolato possibile, nonostante la complessità del nostro sistema, tutto viene riprodotto secondo una schema logico ordinato che assume la forma di un colore, di un nome, di un’immagine ben definita.

Rispondo invece alla sua domanda sulla neutralità in due brevi passaggi.

Il concetto di neutralità esiste davvero?

Lo zero inventato dagli arabi è davvero possibile incarnato in un essere umano con una logica, un Io e relative capacità volitive che giocano la propria partita nell’incontro con  fatti di vita?

Non credo si tratti di neutralità della tecnologia o neutralità dell’uomo rispetto a questa, credo piuttosto, si possa parlare di un depotenziamento di rapporto che ciascuno di noi crea con la propria Vita.

E’ il recupero della volontà di Vita che manca, siamo noi ad essere diventati indifferenti rispetto all’esistenza sfruttando i vantaggi di una tecnologia riduttivista, di una psicopatia del fare.

 

Secondo il filosofo francese Alain Badiou ciò che interessa il Filosofo non è tanto quel che è (chi siamo!) ma quel che viene. Con lo sguardo rivolto alla tecnologia e alla sua evoluzione, quali sono secondo lei i possibili scenari futuri che stanno emergendo e quale immagine del mondo futuro che verrà ci stanno anticipando?

Il problema del futuro è un problema dell’adesso.

Di fronte al tempo ci sono due opzioni: seguire un’ermeneutica lineare o una circolare. Le società occidentali sono abituate a credere che esista uno scopo ultimo alla fine della Storia, inconsapevolmente corriamo verso una logica lineare cercando così giustificazioni causali in quello che accade e uno scopo ultimo dell’agire che redima una progressiva civilizzazione.

Umberto Eco in una delle sue bustine pubblicate sull’Espresso parla, a tal proposito, della possibilità di un involuzione da inglobare nel senso della Storia.

Se l’orologio a cipolla è stato sostituito dall’i-phone come strumento di ultilizzo per leggere l’orario forse, giudicandone la comodità si tratta di involuzione.

Al contrario lo stesso strumento, se utilizzato nel modo corretto per effettuare chiamate, risulta efficace.

Non ho aspettative rispetto alle evoluzioni tecnologiche possibili ma ritengo che, sapere se si tratti di evoluzione o di regressione, dipende dai criteri di paragone che abbiamo.

Se a decretare il giudizio di validità dello strumento i-phone per leggere l’orario è il criterio del tempo impiegato per ritrarlo dalla tasca aumentando la probabilità che questo cada, allora si può parlare di involuzione.

Lo stesso strumento, altresì, può essere valutato in termini di contrazione delle distanze per raggiungere parenti lontani e creare maggiori opportunità di lavoro in e-distance.

Aggiungo solo una breve considerazione, sarà il tempo stesso a dare dei limiti alla tecnica, l’umanità tecnologizzata nella sua struttura più intima non potrà che tornare indietro e rivendicare i propri diritti inalienabili e costitutivi.

 

Secondo alcuni, tecnofobi, tecno-pessimisti e tecno-luddisti, il futuro della tecnologia sarà distopico, dominato dalle macchine, dalla singolarità di Kurzweil (la via di fuga della tecnologia) e da un Matrix nel quale saranno introvabili persino le pillole rosse che hanno permesso a Neo di prendere coscienza della realtà artificiale nella quale era imprigionato. Per altri, tecnofili, tecno-entusiasti e tecno-maniaci, il futuro sarà ricco di opportunità e nuove utopie/etopie. A quali di queste categorie pensa di appartenere e qual è la sua visione del futuro tecnologico che ci aspetta? E se la posizione da assumere fosse semplicemente quelle tecno-critica o tecno-cinica? E se a contare davvero fosse solo una maggiore consapevolezza diffusa nell'utilizzo della tecnologia?

Martin Heidegger in La questione della Tecnica tratta di questo dualismo, la sua non vuole essere una critica alla tecnica ma piuttosto una critica della Tecnica.

Ancora con Heidegger, credo che a contare davvero sia un chiarimento dei rapporti nei quali siamo coinvolti tutti i giorni: “Gli oggetti della conoscenza si determinano secondo una forma teoretico-percettiva, non sono, cioè delle cose (res) della realtà ma…degli eventi intramondani di cui ci prendiamo cura”. ( Essere e tempo di Heidegger introduzione alla lettura, Adriano Fabris, Carocci, Roma)

La tecnologia non è una questione del mondo ma del singolo inserito in una triade Io-collettività-mondo che, certamente, può essere pensata come riproduzione reificata di un reale banalizzato, ma di certo non può essere ridotta solo a questo.

Nell’Era dell’immediatezza volitiva la tecnologia asseconda i nostri desideri; autofagia, contrazione delle distanze, impulsività e  immediatezza non sono che un esempio di quest’atrofia.

Ancora una volta ritengo che il punto focale sia il recupero della dimensione globale dell’Individuo; ma credo anche di aver già chiarito nelle domande antecedenti quanto, a mio avviso,  il problema debba essere posto in questi termini.

 

Mentre l'attenzione dei media e dei consumatori è tutta mirata alle meraviglie tecnologiche di prodotti tecnologici diventati protesi operative e cognitive per la nostra interazione con molteplici realtà parallele nelle quali viviamo, sfugge ai più la pervasività della tecnologia, nelle sue componenti nascoste e invisibili. Poca attenzione è dedicata all'uso di soluzioni di Cloud Computing e ancora meno di Big Data nei quali vengono archiviati miliardi di dati personali. In particolare sfugge quasi a tutti che il software sta dominando il mondo e determinando una rivoluzione paragonabile a quella dell'alfabeto, della scrittura, della stampa e di Internet. Questa rivoluzione è sotterranea, continua, invisibile, intelligente, Fatta di componenti software miniaturizzati, agili e leggeri capaci di apprendere, di interagire, di integrarsi e di adattarsi come se fossero neuroni in cerca di nuove sinapsi.  Questa rivoluzione sta cambiando le vite di tutti ma anche la loro percezione della realtà, la loro mente e il loro inconscio. Modificati come siamo dalla tecnologia, non ci rendiamo conto di avere indossato delle lenti con cui interpretiamo il mondo e interagiamo con esso. Lei cosa ne pensa?

Siamo davvero sicuri che, quanto da lei citato, sia un processo a posteriori rispetto alla nascita del riduttivismo?

La tecnologia nasce come risposta a un bisogno umano o è il contrario? Il problema risulta essere psichico e non tecnologico. Appassioniamaci della Vita, diceva Nietzsche!

Assumiamoci la responsabilità dell’agire, l’uso consapevole della tecnologia dipende da noi e la ricerca di un colpevole rientra in una logica di deresponsabilizzazione.

Questa tematica è più che mai attuale, in alternativa, il rischio che si corre è quello di diventare strumenti che inghiottiscono i mezzi propagandati dal sistema.

 

 

Se il software è al comando, chi lo produce e gestisce lo è ancora di più. Questo software, nella forma di applicazioni, è oggi sempre più nelle mani di quelli che Eugeny Morozov chiama i Signori del silicio (la banda dei quattro: Google, Facebook, Amazon e Apple). E' un controllo che pone il problema della privacy e della riservatezza dei dati ma anche quello della complicità conformistica e acritica degli utenti/consumatori nel soddisfare la bulimia del software e di chi lo gestisce. Grazie ai suoi algoritmi e pervasività, il software, ma anche la tecnologia in generale, pone numerosi problemi, tutti interessanti per una una riflessione filosofica ma anche politica e umanistica, quali la libertà individuale (non solo di scelta), la democrazia, l'identità, ecc. (si potrebbe citare a questo proposito La Boetie e il suo testo Il Discorso sulla servitù volontaria). Lei cosa ne pensa?

Nella storia dei secoli è sempre stato un vantaggio governare masse di individui acritici, come li definisce lei. Nessuna novità.

L’asservimento al sistema è una scelta volontaria anche se non sempre consapevole e non credo che questo implichi sempre una riduzione di libertà.

Quando un popolo, divorato dalla sete di libertà,
si trova ad avere a capo dei coppieri che gliene versano a sazietà, fino ad ubriacarlo, accade allora che,
se i governanti resistono alle richieste
dei sempre più esigenti sudditi, sono dichiarati despoti.
E avviene pure che chi si dimostra disciplinato nei confronti dei superiori è definito un uomo senza carattere, servo;
(…)In questo clima di libertà, nel nome della libertà, non vi è più riguardo per nessuno. In mezzo a tale licenza nasce e si sviluppa una mala pianta: la tirannia.>
Libro VIII de “La Repubblica” di Platone

Chi è il padrone di questa licenza? Chi la concede?

 

Una delle studiose più attente al fenomeno della tecnologia è Sherry Turkle. Nei suoi libri Insieme ma soli e nell'ultimo La conversazione necessaria, la Turkle ha analizzato il fenomeno dei social network arrivando alla conclusione che, avendo sacrificato la conversazione umana alle tecnologie digitali,  il dialogo stia perdendo la sua forza e si stia perdendo la capacità di sopportare solitudine e inquietudini ma anche di concentrarsi, riflettere e operare per il proprio benessere psichico e cognitivo. Lei come guarda al fenomeno dei social network e alle pratiche, anche compulsive, che in essi si manifestano? Cosa stiamo perdendo  guadagnando da una interazione umana e con la realtà sempre più mediata da dispositivi tecnologici?

Già Pascal parlava del divertissement argomentando che gli uomini, non avendo potuto guarire la morte, la miseria, l’ignoranza, hanno risolto per vivere felici di non pensarci.

Con l’espressione non pensarci Pascal, com’è ovvio ai più, non si riferiva al divertimento in senso puro ma alle distrazioni che l’uomo si dà per sfuggire al senso di noia e di inquietudine. Non sono queste le stesse funzioni che il lavoro e la tecnologia acquisiscono nel nostro quotidiano?

La scoperta di cosa si perde, quello che lei mi chiede, è l’avventura della Vita: una danza tra Apolinneo e Dionisiaco.

In un libro di Finn Brunton e Helen Nissenbaum, Offuscamento. Manuale di difesa della privacy e della protesta, si descrivono le tecniche che potrebbero essere usate per ingannare, offuscare e rendere inoffensivi gli algoritmi di cui è disseminata la nostra vita online. Il libro propone alcuni semplici comportamenti che potrebbero permettere di difendere i propri spazi di libertà dall'invadenza della tecnologia. Secondo lei è possibile difendersi e come si potrebbe farlo?

Difendersi da cosa? La tecnologia non è certo un leviatano invadente che inganna chi la utilizza, siamo noi che decidiamo il modo e i tempi di somministrazione.

Mi sembrerebbe davvero riduttivo proporre ad una persona, nell’integrità che questo termine connota, di uscire a fare una passeggiata la domenica piuttosto che passare otto ore al pc.

Le persone sanno, la gente comune non ignora, solo non siamo più disposti a fare fatica per uscire dalle logiche del ritmo regolare quotidiano, già Gregory Bateson parlava di una stabilità creata dalla ripetizione di un sistema malfunzionante o, nel nostro caso, nella ripetizione di schemi cognitivi digitalizzati e applicati di default.

 

Vuole aggiungere altro per i lettori di SoloTablet, ad esempio qualche suggerimento di lettura? Vuole suggerire dei temi che potrebbero essere approfonditi in attività future? Cosa suggerisce per condividere e far conoscere l'iniziativa nella quale anche lei è stato/a coinvolto/a?

Credo di aver detto tutto.

Alaska

* Tutte le immagini di questo articolo sono scatti di viaggio di Carlo Mazzucchelli (USA, Alaska, Cile)

 

 

 

comments powered by Disqus

Sei alla ricerca di uno sviluppatore?

Cerca nel nostro database