Principio di s., principio in base al quale si asserisce che fra due possibilità (per es. due ipotesi per una teoria scientifica), a parità di altre condizioni va assegnata maggiore plausibilità a quella che si può formulare nel modo più semplice; il principio consente, almeno in certi casi, di ordinare diversi enunciati in base alla loro probabilità (si noti che la semplicità della formulazione può dipendere anche dal linguaggio usato).
[sem·pli·ci·tà]
Semplicità, una parola difficile
“La semplicità è un prodotto artistico, di riflessione consapevole in cui ordine e chiarezza del progetto sono ottenuti solo con grande sforzo e decisione dopo innumerevoli tentativi e errori”. Questa affermazione di Christopher Hallpike[1] pone il concetto di semplicità in una luce diversa.
Spesso ciò che è semplice è valutato facile e, di conseguenza, gli si attribuisce una bassa considerazione.
Soprattutto nel mondo del lavoro la semplicità è sinonimo di azioni e processi facili, appunto, elementari, banali, ovvi.
Credo, però, che sia capitato a tutti, almeno una volta, di pensare che una decisione, una procedura, una soluzione, una spiegazione, fosse “inutilmente” complicata, che si potesse affrontare in maniera semplice.
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In un certo senso, la semplicità fa paura sia perché è difficile da agire sia perché, abituati a valutare il merito in base a quanto, azioni e processi, siano o appaiano complicati o complessi, si teme, agendo con semplicità, di essere sottostimati. Anche rispetto ai comportamenti, il termine “semplice” tende a descrivere atteggiamenti valutati come ingenui, sprovveduti, candidi; atteggiamenti che si pongono agli antipodi dei modelli rampanti tanto ammirati.
“È curioso a vedere, che gli uomini di molto merito hanno sempre le maniere semplici, e che, sempre, le maniere semplici sono prese per indizio di poco merito”. Questa riflessione di Giacomo Leopardi descrive perfettamente la cultura dominante che mette al primo posto l’apparenza e la volontà di potenza. Ma se c’è qualcosa di buono che emerge dagli ormai lunghi anni di sofferenza economica e sociale, è una nuova tensione verso la ricerca di “semplicità”. Dal cibo alla politica, dalle relazioni personali a quelle istituzionali, dalla percezione dei prodotti ai comportamenti di consumo, caratteri come genuino, chiaro, comprensibile, accessibile, essenziale e sobrio, sembrano rappresentare il vocabolario grazie al quale scrivere un nuovo “contratto sociale”.
Scriveva Lev Tolstoj che “la semplicità è la principale condizione della bellezza morale”. E se la crisi economica che ha segnato e continua a segnare la nostra vita è, come ha dichiarato un altro grande della letteratura, Josè Saramago, soprattutto una crisi morale, la tensione verso la semplicità potrà realmente rappresentare una strategia di uscita e di riconfigurazione della realtà.
Non temere la semplicità ma ricercarla con impegno e disciplina: una scelta che orienta il comportamento verso se stessi, verso “l’altro”, verso il pro-getto nel significato di “gettare in vanti” [2], di immaginare, anticipare e costruire il futuro.
"Che fine ha fatto la semplicità? Sembriamo tutti messi su un palcoscenico e ci sentiamo tutti in dovere di dare spettacolo." (Charles Bukowski)
La semplicità, quindi, come atteggiamento mentale, come modo di porsi verso le cose, come orizzonte esistenziale a lungo termine e attenzione all’altro.
L’ambiguità del significato di semplicità è probabilmente dovuta all’abitudine di considerare semplice e facile come sinonimi. Facile deriva dal verbo fãcere/fare, ed è l’aggettivo che indica ciò che si fa, si ottiene, si comprende senza fatica o sforzo, agevolmente; semplice deriva dall’aggettivo sîmplice, formato da sem/una volta e plex/dùplice, e indica ciò che è composto da un solo elemento. È interessante il tema contenuto in duplice (duplex – duplicis) composto da du/due e plicare/piegare. Così che semplice è ciò che ha “una sola piega” e, pertanto, si presenta come accessibile, comprensibile, chiaro nello spiegarsi (svolgere, aprire ciò che era piegato) e di-spiegarsi (distendere, allargare, sviluppare, diffondere ciò che era piegato). Semplice è così il contrario di complicato, dal verbo complicare/piegare insieme, avvolgere più volte: complicato è ciò che ha molte pieghe e che quindi si presenta inaccessibile, oscuro, incomprensibile. È interessante anche un altro presunto sinonimo: quello tra complicato e complesso. Ciò che è complicato, che si tratti di una situazione, di un ragionamento o di un comportamento, è una elaborazione mentale, è il frutto di un atteggiamento, di un approccio, di un modo di vedere le cose, mentre ciò che è complesso, dal latino complexus cioè "stretto, compreso, abbracciato", è l’espressione della naturale connessione tra sistemi formati da un grande numero di elementi interagenti.
Torniamo alla semplicità.
Alcuni anni fa in visita al MoMa di New York, di fronte ad un disegno di Pablo Picasso, sentii questo commento: “semplice, sarei capace anch’io”.
Il disegno era lo stadio XIV° dell’opera “Evoluzione del toro”:
È vero, se ci proviamo riusciamo anche noi a copiare il disegno di Picasso: quelle poche e “semplici” linee che, nell’insieme, trasmettono l’idea del toro. Ma quella semplicità, quasi infantile o “primitiva”, è il prodotto di una visione, di una competenza, di uno studio profondo, capace di entrare nell’essenza delle cose e di generare forme originali, cioè radicate all’origine e innovative allo stesso tempo. Un processo dinamico di conoscenza capace di cambiare l’ordine delle cose e “rendere nuovo” (innovare) ciò che esiste.
🍒🍒DISORIENTATI E IN FUGA NEL METAVERSO
Tra il 1945 e il 1946, Pablo Picasso produsse “Evoluzione del toro”. Una sequenza che, partendo da una rappresentazione d’ispirazione realistica[3], procede per “sottrazioni” di particolari propri dell’esperienza sensibile, verso la sintesi di un segno inclusivo che contiene in sé concretezza e ideale.
L’esempio di Picasso è il modo più “semplice” per esporre la mia idea di semplicità: come dice Halppike, essa è una sintesi artistica, risultato di un processo fondato su visione, competenza, determinazione e disciplina.
[1] Christopher R. Hallpike, antropologo, è stato docente alla McMaster University, Ontario (in questo periodo ha pubblicato The Principles of Social Evolution, 1986). Professore emerito dal 1998, è tornato in Inghilterra, dove continua la sua ricerca. È stato Bye Fellow del Robinson College di Cambridge e ha ricevuto una onorificenza alla carriera dalla Oxford University.
[2] Martin Heidegger: Essere e Tempo
[3] Il “realismo", movimento pittorico e letterario, indica la traduzione fedele delle qualità del mondo reale nella rappresentazione artistica
AUTRICE
"La Persona al centro" Network, Corporate Culture Consultant, Creative Facilitator, Personal growth