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Coronavirus: una esperienza traumatica su larga scala (dialogando con Elisa Forvi)

Coronavirus: una esperienza traumatica su larga scala (dialogando con Elisa Forvi)

21 Maggio 2020 Pandemia e salute
Pandemia e salute
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La quarantena ha portato alla luce la matrice delle relazioni, nella loro funzionalità e nella loro disfunzionalità. Utilizzando una metafora ha svelato il codice “Matrix” di programmazione delle relazioni. Ciascuna persona rispetto alla coppia o a relazioni significative ha giocato poi la sua partita, trovando aggiustamenti efficaci e facendo leva sulle risorse oppure scoprendo la fatica e la difficoltà, o l’impossibilità di stare in quelle relazioni.

Si parla molto delle conseguenze della pandemia in termini di crisi economica e malessere materiale, non abbastanza degli effetti psichici da essa generati. Se ne parla poco perché si ha paura, si è impreparati a farlo, si attivano meccanismi di rimozione e si cerca di non avere paura di avere paura. Già prima della pandemia la nostra epoca tecnologica è stata raccontata come caratterizzata da passioni tristi (Spinoza, Miguel Benasayag), dalla difficoltà di vivere, da sofferenze esistenziali diventate psichiche e patologiche, da tanta solitudine generatrice di angosce e paranoie.

Tutto questo può oggi essere raccontato semplicemente dando visibilità agli innumerevoli eventi, fatti di cronaca, comportamenti e gesti che ben descrivono la realtà attuale. Fatti che trovano espressione in suicidi, gesti di insofferenza e ribellione, proteste (ambulanti, ristoratori, esercenti, eccc.), ricerca di capri espiatori, femminicidi (mai cessati) e violenze domestiche, abuso di alcool e droghe, ecc. SoloTablet.it ha deciso di raccontare tutto questo allestendo uno spazio dialogico e aperto nel quale mettere in relazione tra loro psicologi, psicanalisti, psichiatri, sociologi, filosofi, coach e psicoterapeuti  coinvolgendoli attraverso un’intervista.

In questa intervista Carlo Mazzucchelli, fondatore di SOLOTABLET.IT e autore di 20 libri pubblicati nella collana Technnovisions, ha intervistato Elisa Forvi, psicologa del lavoro e delle organizzazioni.


Buongiorno, per prima cosa direi di cominciare con un breve presentazione di cosa fa, degli ambiti nei quali è specializzato/a e nei quali opera professionalmente, dei progetti a cui sta lavorando, degli interessi culturali e eventuali scuole/teorie/pratiche psicologiche di appartenenza (Cognitiva, Funzionale, ecc.). Gradita una riflessione sulla tecnologia e quanto essa sia oggi determinante nella costruzione del sé, nelle relazioni con gli altri (linguaggio e comunicazione) e con la realtà. 

Elisa Forvi psicologa del lavoro e delle organizzazioni, consulente HR, assessor, coach, formatrice e psicoterapeuta con specializzazione in Analisi transazionale.

Opero da 15 anni nel mondo aziendale occupandomi di progetti di consulenza HR (valutazione, progressioni di carriera, talent management) training per lo sviluppo delle soft skills e manageriali e progetti di coaching nell’accompagnamento di manager, direttori e figure apicali nello sviluppo della leadership, intelligenza emotiva e comunicazione efficace.

In ambito clinico dopo aver fatto una esperienza in un consultorio familiare privato nel periodo 2009-2013, collaboro da 7 anni come Psicoterapeuta presso lo studio privato Legein a Milano. Mi dedico al supporto psicologico di giovani e adulti (difficoltà legate a transizioni di vita e professionali) e a percorsi di psicoterapia individuale legati a disturbi d’ansia, disturbi depressivo, disturbo bipolare, disturbo di personalità borderline.

Rispetto alla tecnologia l’ho sempre guardata con curiosità, mi definirei una utilizzatrice consapevole e critica. Ho da sempre utilizzato pc, agenda elettronica e smartphone per lavoro. Le prime esperienze su piattaforme digitali per gestire training a distanza in azienda le ho fatte nel 2010, e in questi mesi di quarantena sono diventata abile nell’utilizzo di zoom, teams, skype. Utilizzo Linkedin per motivi professionali e per scelta non ho un account facebook e instagram.

Ho chiaro quelle che sono le potenzialità di questi strumenti e da terapeuta sono altrettanto attenta a valutarne le ricadute sulle relazioni soprattutto nell’ambito della nostra vita privata e di relazione in particolare per i soggetti in età evolutiva. Ammetto di guardare il rendiconto settimanale del mio Iphone per valutarne utilizzo e di essere felice di silenziare i miei due telefoni quando mi dedico all’attività clinica con i miei pazienti o quando stacco per il weekend o le vacanze estive. 

 

Davanti alle edicole o ai pochi bar aperti il dialogo tra i pochi avventori verte sui tempi bui che la crisi economica e sociale precipiterà su tutti noi in autunno. Un segnale forte che racconta come numerose persone stiano vivendo la crisi della pandemia, i suoi effetti, le aspettative future, le sue costrizioni e perturbazioni. Il segnale è sintomatico di ciò che avviene dentro il chiuso di molte case, spesso limitate per spazio e vivibilità, in termini di psicosi,(eviteri utilizzo di questo termine improprio in questo contesto dal punto di vista psicologico) angosce, ansie, incertezze, depressioni, insonnie, difficoltà sessuali, rabbia, fobie e preoccupazioni materiali per il futuro lavorativo, familiare e individuale. Lei cosa ne pensa? Crede anche lei che la crisi prioritaria da affrontare sia, già fin d’ora, quella psichica?

La situazione che abbiamo vissuto con l’esperienza della quarantena Covid è stata definita da membri famosi della comunità psicologica italiana (si veda Professor Galimberti, Recalcati etc) come una esperienza traumatica su larga scala.

Il Covid ci ha segnato. Ha segnato un prima e un dopo la pandemia, e ha richiesto alle persone di attraversare un susseguirsi di fasi caratterizzati da emozioni spiacevoli. Nel modello Kubler Ross  teorizzato per la gestione delle situazioni traumatiche relazionali, (perdite, lutti) ma che può essere utilizzato per leggere quanto abbiamo vissuto, di fronte ad un evento imprevisto le persone reagiscono sperimentando uno stato di shock e incredulità, seguita da rabbia e successivamente tristezza per le condizioni di vita mutate e per quanto ci si è lasciati alle spalle per poi accedere ad una fase di accettazione che consente l’adattamento e una riorganizzazione delle abitudini di vita.

Il rischio della vita, le condizioni esterne mutate e le condizioni legate alla necessità di condividere h24 con i nostri cari gli spazi delle nostre case ha fatto crescere e di molto il livello di esposizione delle persone al distress. Ci sono persone che hanno attraversato le diverse fasi e ne sono uscite altre che per diverse ragioni sono bloccate nella rabbia o nella tristezza.

Credo che oltre alla crisi sanitaria ed economica ci siano anche delle sacche di fragilità psichica che il Covid ha portato alla luce. 

Crede che la quarantena e l’isolamento siano serviti a fornire soluzioni positive a disagi psichici precedenti o li abbiano alimentati e peggiorati? Quali sono le malattie psichiche più preoccupanti, anche pensando al futuro sociale e politico dell’Italia? 

E’ chiaro che situazioni relazionali disfunzionali o caratterizzate da fragilità in una situazione di aumentato stress e tensione tendano a peggiorare anche perchè è venuto meno il supporto che spesso i servizi territoriali offrono (penso a situazioni violenza domestica verso donne e minori, nuclei familiari con persone disabili, anziani in gravi condizioni o nuclei con persone con gravi disturbi psichici).

In prospettiva credo che alcune tendenze già evidenziate da Oms in questi anni potrebbero prendere ancora più piede penso in particolare ai disturbi depressivi sino alle conclusioni più tragiche, e ai disturbi d’ansia. In termini generali se le condizioni economiche peggioreranno si potrebbero acuire anche i disturbi della sfera antisociale.

Per non parlare poi degli operatori sanitari a cui stanno dedicando per fortuna progetti specifici legati alla prevenzione e al supporto di sintomi post traumatici PTSD.

Queste tendenze le descriverei come rischi potenziali, ossia come situazioni che si potranno generare se non si provvederà tramite campagne e interventi specifici.

Credo che il lavoro degli psicologi sia nei prossimi anni essenziale, non più derogabile e spero che vengano fatti investimenti in termini di salute pubblica e prevenzione psichica potenziando i servizi sul territorio. Il Covid ha acceso i riflettori su alcune questioni psicologiche e mi sembra che anche alcune istituzioni nazionali e internazionali si stiano muovendo. Penso al numero verde promosso dal Ministero della salute e dalla protezione civile dove operano più di 2.000 colleghi psicologie e psicoterapeuti e ai tanti articoli comparsi in rete dall’APA (American Psychological Association) con una finalità divulgativa e di sensibilizzazione sui temi della cura di sé e del benessere psicologico in un momento così delicato per tutti. Questo mi fa essere fiduciosa…c’è molto da fare ma alcuni passi sono stati fatti. La psicologia come scienza sociale ha molto da dire e da dare alle persone e può dare grande contributo al miglioramento della società.

Di questo da psicologa sociale ne sono convinta.

Forse si è aperta una nuova stagione di maggior apertura e riconoscimento della utilità di questa disciplina nella vita concreta delle persone. 

Corpo e mente non sono entità separate ma coesistenti all’interno dello stesso organismo complesso che noi siamo. Il coronavirus colpisce il corpo ma con esso anche la psiche, quella individuale e quella collettiva.  La crisi della pandemia è emersa all’interno di una crisi più ampia e globale che ha determinato precarietà della vita e cronica precarietà del lavoro, insicurezza personale, disuguaglianze, crisi finanziarie, povertà e incertezza per il futuro. La frustrazione e il disagio psichico vengono da lontano, la crisi attuale potrebbe esserne il detonatore. Secondo lei cosa può derivare dal disagio crescente e dalla percezione di un passato perduto che non tornerà più? In che modo la pandemia sta determinando l’immaginario individuale e collettivo? Quanto inciderò sulla costruzione del Sé?

Viviamo in un mondo complesso, in rapida evoluzione caratterizzato da scenari economici instabili e negli ultimi anni da processi di globalizzazione accelerata. Tutto ciò a livello macro produce a livello micro nella vita delle persone la costante necessità  a livello professionale di accrescere e spesso riconvertire le proprie competenze, e la necessità di giocare pur nello stesso contesto ruoli che sono disegnati in modo totalmente diverso perché sono mutati i processi chiave che permettono alle aziende di stare sul mercato e fare utili.

Il cambiamento aziendale è costante. In questo scenario spesso si inseriscono situazioni di precarietà e difficoltà occupazionale. Il fatto che oggi io abbia un lavoro e un reddito non mi garantisce che domani sia nelle stesse condizioni. Questo genera grande incertezza e preoccupazione nelle persone. Il Covid ci ha fatto toccare con mano la fragilità delle nostre vite e del nostro sistema economico, ma anche ci ha fatto scoprire per chi ha avuto gli occhi per guardare le cose che contano davvero.

In questi giorni ho parlato con amici e conoscenti che mi hanno detto…sai prima correvo sempre…si certo le preoccupazioni economiche ci sono adesso eccome, ma prima mi sono accorto preso da mille cose non vedevo più bene le cose che davvero contano: il fatto di alzarmi la mattina e di godere di una buona salute, i miei figli, mia moglie/marito, le relazioni care, le piccole cose quotidiane …

A livello di immaginario collettivo credo che siamo meno onnipotenti, e forse ci siamo riscoperti più vicini come essere umani in quanto appartenenti al genere umano. Cosa questo significherà nei prossimi anni lo vedremo. Abbiamo però una possibilità di ripensare le logiche.    

 

Uno degli effetti del disagio psichico crescente può essere l’emergere di passioni/sentimenti furiosi come cattiveria (eviterei il riferimento cattiveria include un giudizio), rabbia e ira. Il disagio che cova potrebbe far crescere e dilatare la rabbia facendola esplodere improvvisamente nel momento in cui la crisi economica si acutizzerà. Nella storia la rabbia e l’ira (descritte da Remo Bodei) hanno sempre giocato un ruolo sociale e politico importante, spesso non sono controllabili e degenerano in cambiamenti indesiderabili. Si alimentano di vittimismo, rancore, odio, voglia di vendetta e ricerca di capri espiatori, e poco importa quanto essi siano reali o immaginari.  Tutto ciò si evidenzia oggi nella brutalità del linguaggio che caratterizza molti ambienti tecnologici digitali. La rabbia che emerge da questo linguaggio non è la rabbia civile che si esprime nella ricerca di maggiore giustizia e minori disuguaglianze. E’ una rabbia frutto della paura, pronta per essere usata dal primo politico, populista o manipolatore di turno. Secondo lei può la rabbia essere uno sbocco possibile della crisi pandemica in atto? Può considerarsi un effetto del disagio pischico, delle condizioni di vita materiale o di entrambe?

A mio avviso la rabbia e il linguaggio aggressivo erano presenti da molto tempo ben prima del Covid…non li correlerei…

 

Da questa crisi si può uscire bene ma, come ha scritto Houllebecq, anche senza alcun cambiamento. Il dopo pandemia rischia cioè di essere tutto come prima, anzi peggio. Una situazione che a sua volta potrebbe alimentare la rabbia e l’ira appena menzionati. Come ogni crisi anche la pandemia del coronavirus può essere un’opportunità. In ogni caso inciderà in profondità su quello che siamo e per anni su quello che saremo. In termini personali, culturali, psichici, economici e politici. Il mondo che ne uscirà potrà essere peggiore ma anche migliore: autoritario o più democratico, egoista o più solidale, autarchico o aperto, isolazionista o comunitario. Lo scenario che prevarrà dipenderà da: diagnosi e scelte che faremo, strade che percorreremo, impegno che metteremo. In lentezza, con prudenza, con determinatezza. Uno sbocco possibile prevede una maggiore solidarietà, locale e globale, tra persone vicine e lontane, tra popoli, tra stati, con l’obiettivo di scambiare informazioni e conoscenze e cooperare. Lei cosa ne pensa? Possono solidarietà, collaborazione e maggiore umanità essere gli sbocchi possibili della crisi in atto? Cosa succederebbe se non lo fossero?

Vede io sono una ottimista. Non potrei fare la terapeuta se non avessi fiducia nelle persone e nel genere umano.

Mi auguro che questa pandemia possa essere l'occasione di una evoluzione positiva nel senso di una maggiore solidarietà e cooperazione ma soprattutto in Italia di un maggior senso di unità e appartenenza.

Mi piacerebbe vivere una stagione tipo quella vissuta dai miei nonni negli anni 50, dove c’era fermento, voglia di fare e idee su come costruire il collettivo e la comunità. Mi piacerebbe che questa situazione ci restituisse la voglia di volare alto…va bene parlare di bilancio e fatturati, il tema della sopravvivenza e dell’orizzonte breve che è stato molto presente in questi anni in ambito aziendale e istituzionale ma abbiamo bisogno anche di progetti che ci facciano battere il cuore, di sognare un mondo migliore, di orizzonti medio lunghi. 

 

Infine, per completare l’intervista, le chiedo di raccontare qualcosa delle sue attività lavorative/professionali e quanto esse siano cambiate come effetto della pandemia.

Nell’ambito della mia attività professionale ho ovviato ai limiti imposti sostituendo i colloqui in presenza con colloqui Teams, call Whtasupp e alcune aule presenziali in aula a distanza tramite Adobe e Zoom.

Ovviamente non tutte le attività possono essere riconvertite e come molti professionisti della cura e delle relazioni sento la mancanza del contatto professionale diretto non mediato dallo schermo. Parlavo l’altro giorno con un caro amico e collega che mi diceva quanto nel lavoro di supporto e psicoterapia a distanza sia difficile ed estremamente impegnativo cogliere le sfumature, i segnali non verbali e quanto tutto questo compreso le vibrazioni profonde siano facilmente coglibili in un rapporto vis a vis. D’altra parte la tecnologia ci ha permesso di mantenere un contatto, con dei limiti, ma una connessione che altrimenti sarebbe andato perduta o avrebbe conosciuta una battuta di arresto. 

 

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