La prima lettura sbagliata degli esiti clamorosi del referendum la stanno dando tutti i politici che credono di potersi accreditare il risultato ottenuto. Così come il 60% non è associabile automaticamente a nessun partito, il 40% non rappresenta per nulla un blocco sociale compatto su cui puntare per eventuali proposte politiche future. E neppure per vendette personali!
Più interessante è guardare alla composizione ed all'analisi del voto nelle varie parti del paese. Il 75% di percentuale per il No in regioni maggiormente colpite dalla crisi come la Sicilia e la Sardegna sono già una indicazione importante, così come lo è la percentuale elevata di voto giovanile e femminile che ha scelto il NO. Interessante anche che il SI abbia vinto laddove sono state migliorate le condizioni materiali delle persone, al contrario di quanto è successo nelle zone di maggiore disagio a causa di una diffusa precarietà e dell'aumento della disoccupazione.
Più della riforma delle regole e delle forme della politica, esigenza più che sentita da molti ma con una profondità ben diversa da quella voluta dalla classe al governo attuale, contano i bisogni materiali e le risposte concrete ai problemi materiali delle persone, primo su tutti quello del lavoro.
Industria 4.0
La quarta rivoluzione industriale sta prospettando scenari futuri che pochi stanno comprendendo appieno nelle sue conseguenze. Le implicazioni per il mondo del lavoro saranno profonde (Robot e futuro del lavoro) e si stanno già manifestando oggi in tutti i loro effetti disruptive. Uno di questi effetti è ritrovabile anche nei comportamenti elettorali di ceti operai privati delle loro fabbriche, di ceti medi impoveriti e di giovani precarizzati e senza più la speranza di un lavoro ben pagato e a tempo indeterminato.
Tra le cause dei profondi cambiamenti in atto non ci sono solo cambiamenti epocali di paradigma e modelli economici senza più alternative valide. C'è anche una rivoluzione tecnologica (Il futuro tecnologico raccontato e temuto) potente e invadente, difficile da ostacolare e, in alcune sue espressioni, da comprendere, che lascia ogni singolo individuo nella condizione di decifrarla da solo andandosi a cercare le risposte più adeguate.
Le novità e le innovazioni tecnologiche sono continue e innumerevoli, concrete, e applicabili a molteplici ambiti lavorativi e industriali (Cosa non sanno fare i robot di oggi?). Tutte obbligano gli esseri umani a ripensare la loro relazione con la tecnologia e con le trasformazioni che essa sta portando nella vita quotidiana e del lavoro. A doversi occupare di questi cambiamenti non possono essere solo i politici o gli esperti che si ritrovano ogni anno in qualche consesso internazionale di politica ed economia. Tutti devono assumersi la responsabilità di farlo perchè gli effetti saranno coì dirompenti da interessare tutti i lavoratori, siano essi impegnati in attività manuali o cognitive, di movimento o sedentarie, produttive o legate ai servizi, private o pubbliche.
Riflettere sugli effetti radicali, rapidi e profondi della tecnologia sul mondo del lavoro non significa solo prestare attenzione alle continue notizie di posti di lavoro spariti (in Inghilterra nei prossimi anni sono 15 milioni i posti a rischio, lo dice la Banca nazionale) per essere stati sostituiti da robot o macchine intelligenti. Non significa solo riflettere sulle disuguaglianze crescenti tra lo strato sociale superiore e quelli che per vivere devono prestare il loro lavoro (un tempo chiamati proletari) e oggi a farlo nuove mansioni e a ricercarsi nuove professionalità e abilità. Significa anche riflettere sul ruolo che le tecnologie, e in particolare le sue componenti software, hanno assunto dentro i luoghi di lavoro nella sorveglianza e controllo e nel disciplinamento dei processi di lavoro.
Il taylorismo 4.0
Ai tempi di Taylor il controllo era fatto con misuratori del tempo e delle unità prodotte, oggi il controllo è diventato trasparente, invisibile e digitale ma non per questo meno invadente e repressivo. Devono anche far riflettere anche il conformismo intellettuale che circola sulla cosiddetta sharing economy e le molte notizie false che lo raccontano. Pochi (Eugeny Morozov è uno di questi con il suo libro La dignità ai tempi di Internet) raccontano ad esempio molta parte dell'economia della condivisione in realtà non faccia altro che rendere il lavoro semplicemente più flessibile ingabbiandolo dentro sistemi e meccanismi che trasformano i lavoratori, obbligati a farsi la partita IVA e a eleggersi a imprenditori, in una massa di individui con lavori sempre più precari e sottopagati.
L'ingresso massiccio di robot e la conseguente fuoriuscita di lavoratori in carne cambierà il luogo di lavoro, l'organizzazione del lavoro e i modi di lavorare (Tu chiamala se vuoi flessibilità…ma per molti è una grande fregatura!). Chi ha avuto la fortuna di lavorare in una grande azienda può provare a immaginare cosa potrebbe succedere ai molti spazi allestiti per incontri o lavori di ufficio. Se tutto può essere robotizzato gli incontri potranno essere completamente virtuali, gli open space possono semplicemente sparire, gli algoritmi potrebbero farsi carico dell'operatività quotidiana ma anche della creatività e le intelligenze artificiali potrebbero rendere processi e procedure più efficienti, anche quelli per l'assunzione di nuovi lavoratori, forse anch'essi dei semplici (?) robot.
L'evoluzione delle macchine e le loro crescenti applicazioni e abilità nello svolgere attività umane, stanno cambiando le pratiche lavorative e i bisogni delle aziende incidendo anche sulla domanda e offerta di lavoro. Già oggi molte ricerche di competenze di tipo scientifico, ingegneristico, tecnico o matematico rimangono inevase per la carenza di personale esistente. Al tempo stesso la massiccia introduzione di macchine sul posto di lavoro defisce nuovi modi di lavorare, obbliga a un cambio culturale e rende necessari nuovi skill e nuove competenze non ancora esistenti sul mercato o disponibili in forma limitata (La tecnologia si prepara a cambiare la nostra vita intima, amorosa e sessuale).
Quale futuro per il lavoro
Il futuro del lavoro farà crollare molte delle barriere esistenti, sicuramente quelle geografiche, linguistiche, dipartimentali. Tutti dovranno essere connessi e capaci di inter-operare con colleghi in carne e ossa e anche con macchine e robot, più o meno umanoidi e intelligenti, specializzati o con competenze multidisciplinari.
Con le nuove tecnologie le organizzazioni avranno maggiori opportunità di trarre vantaggi concreti in termini di velocità, flessibilità, efficienza e accuratezza ma l'impatto sulle persone che le compongono sarà grande e profondo, con conseguenze sui ruoli aziendali, siano essi manuali o cognitivi, sulla crescita sociale (opportunità di salire la scala sociale), sul salario, sulle pari opportunità e sull'eguaglianza.
Ciò che sta succedendo è già avvenuto in passato nelle precedenti rivoluzioni industriali nelle quali la tecnica/tecnologia ha creato cambiamenti radicali e di paradigma con vere e proprie disruption. La differenza dei nostri tempi sta nel crollo reale, soprattutto nei paesi occidentali e certamente non soltanto per colpa dell'innovazione tecnologica, di nuovi posti di lavoro e nella rapidità o velocità di fuga assunta dalla tecnologia nell'imporre a sua volontà di potenza e capacità di sostituirsi all'uomo.
Il futuro non prevedebile
I tecnofili guardano avanti, ritengono che tutto ciò che sta succedendo oggi è già accaduto e guardare al futuro in termini negativi non sia la migliore strategia per una visione futura di lungo termine. Quelli con una visione più preoccupata non potendo assumere comportamenti luddisti perchè oggi la tecnologia è interconnessa e distribuita e facilmente replicabile, e non potendo più fare appello a forze politiche o sindacali che li rappresentino, non possono fare altro che scegliere posizioni anti-sistema, populiste, protezionistiche nella speranza di un ritorno al passato che nessuno è più in grado di realizzare.
Una visione e uno sguardo ben diverso da quello della classe creativa o dei lavoratori della conoscenza che dovevano essere il prodotto della società dell'informazione determinando nuove opportunità per tutti. Oggi le opportunità più reali sembrano quelle dei robot che stanno entrando in fabbrica, in ufficio, nei grandi magazzini e nelle case così come nelle banche e nei call center o delle auto e autotreni che si guidano da soli e dei droni che andranno a sostituire portalettere e padroncini DHL o Federal Express. Unica soluzione potrebbe essere un consistente reddito di cittadinanza in modo da permettere a tutti di organizzarsi senza annoiarsi il proprio tempo libero e di disporre delle risorse necessarie a mantenere i consumi elevati a sufficienza per permettere ai robot di continuare a lavorare e di non arrugginire.