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La tecnologia non è più un semplice strumento!

La tecnologia non è più un semplice strumento!

17 Ottobre 2015 Carlo Mazzucchelli
SoloTablet
Carlo Mazzucchelli
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La scelta di introdurre in classe nuove tecnologie e prodotti come il tablet è oggetto di grandi discussioni tra favorevoli e contrari. I primi sono sicuramente dei tecnofili convinti che usare le tecnologie in classe possa avere effetti positivi sull’apprendimento. I secondi, anche se non lo sono, vengono classificati come tecnofobi, conservatori e un po’ retrogradi. Gli uni e gli altri discutono spesso sul ruolo che la tecnologia ha nel cambiare la testa dello studente senza arrivare ad alcuna sintesi valida. Forse perché ad essere sbagliato è il merito stesso della discussione.

Tecnologia a scuola

Che si discuta molto di tecnologia a scuola è oggi molto importante ma forse l’attenzione non andrebbe posta solo sugli investimenti necessari a portare un tablet su ogni banco di scuola o a dotare gli istituti di banda larga e reti wireless.

Molto più rilevante è la capacità di sfruttare le numerose iniziative di formazione in cantiere per imparare ad accendere e spegnere un tablet e per farlo funzionare ma anche per una riflessione collettiva e allargata sul ruolo che le tecnologie moderne possono avere sulla testa (cervello e mente) degli studenti e sulla loro formazione/maturazione (evoluzione).

La riflessione è tanto più necessaria quanto maggiore è l’inconsapevolezza che molti adulti, laureati e con cultura medio alta, hanno del ruolo assunto dalla tecnologia e dalla crescente digitalizzazione della realtà.

Non si tratta di convenire sull’inutilità di affidarsi a strumenti come LIM e tablet qualora non si siano riviste e ripensate le forme della didattica, gli spazi fisici dell’aula e le tecniche di insegnamento. Si tratta invece di approfondire un tema di fondo, sul quale tutti sono oggi chiamati a riflettere, quello della crescente occupazione degli spazi antropologici da parte di oggetti tecnologici e computerizzati e della ibridazione continua tra cervello e computer che mette a rischio o quantomeno cambia il ruolo dell’essere umano nel mondo.

Ibridazione e digitalizzazione in atto

L’ibridazione e la digitalizzazione sono dati di fatto e non più riconducibili a fasi precedenti. Il loro destino e la loro destinazione al contrario possono ancora essere oggetto di scelte diverse, magari finalizzate a tenere sotto controllo, anche senza imbrigliarla, la volontà di potenza della tecnologia indirizzandola verso mete più umane e legate alla nostra vita e cultura. In questo contesto, il vero problema non è più quanto e se la tecnologia debba essere considerata un semplice strumento o un fine ma quanto e se vogliamo delegare alla tecnologia altre funzioni e compiti tipicamente umani. Nel momento in cui lo facessimo andremmo ad alterare la nostra stessa evoluzione a favore di quella tecnologica.

Per capire quello che sta succedendo bisogna avere uno sguardo lungo, verso il passato vicino e remoto, e soprattutto verso il futuro. Lo sguardo lungo e profondo verso il passato serve a comprendere il percorso compiuto dal genere umano nella comprensione della realtà e di se stesso e l’evoluzione del nostro cervello (il centro del fenomeno umano), da sempre strumento per leggere i dati del mondo e oggi sempre più usato per studiare anche se stesso (una rivoluzione di cui siamo poco consapevoli). Come se fosse esso stesso una semplice macchina computazionale fatta di neuroni al posto di bit, di sequenze di 0 e 1, capaci di spiegare in modo riduzionistico la complessità delle sinapsi umane e dei meccanismi cerebrali.

Per approfondimenti sull'uso del tablet in classe potete leggere l'ebook di Carlo MazzucchelliTablet a scuola: come cambia la didattica.

Il fatto che, grazie alla tecnologia, siamo oggi in grado di comprendere meglio i meccanismi cerebrali è sicuramente positivo, forse lo è meno (dipende dall’uso che se ne fa) quando si usa questa conoscenza per modellare o modificare questi meccanismi, ad esempio quelli legati alla sfera dei sentimenti, dell’attività artistica, della libertà e dei principi etici. Intervenire significa aprire la porta alla tecnologia, significa accettarne le promesse di immortalità e di onnipotenza per il superamento di ogni limite (sesso virtuale, longevità, vita virtuale e parallela, ecc.) e di ogni difetto.

Il rischio è la scomparsa dell'effetto sorpresa, della capacità intuitiva (è a partire dall’esperienza del limite che diamo senso alle cose e comprendiamo i loro significati) e dell’esperienza umana e l’emergere di realtà programmate e gestite come semplici algoritmi computerizzati.

E’ un rischio reale se si considera il ruolo assunto dai profili algoritmici (insieme di dati usati per consocere e analizzare comportamenti, stili di vita e molto altro) di Facebook e dei social network e la loro distanza e differenza con i profili individuali e personali di ognuno (profili in carne e ossa).

Sfide, rischi e opportunità

E’ un rischio che stiamo già correndo perché l’evoluzione della tecnologia è tale da avere cambiato il territorio stesso nel quale cooperiamo con essa, un territorio che prima veniva esplorato e trasformato dal genere umano e oggi deve fare i conti con le trasformazioni da esso determinate, causate dall’uso estensivo che fa della tecnologia.

E qui ritorna il problema, applicabile anche all’ambito scolastico, del ruolo della tecnologia come semplice strumento e mezzo per il raggiungimento di un obiettivo o di un fine. Un ruolo da mettere in discussione perchè la tecnologia attuale non aspira alla semplice operatività e al servizio ma all’autonomia in modo da poter esprimersi nel massimo della sua potenzialità, condizionando in questo modo la nostra stessa evoluzione.

Il tablet introdotto a scuola è l’oggetto della seduzione che cattura e seduce e anche il veicolo per una crescente ibridizzazione. L’insegnante viene catturato dalla facilità e dalla ricchezza applicativa dello strumento, lo studente dal divertimento che ne deriva usandolo, anche come prolungamento del divertimento sperimentato fino alla porta dell’aula con il suo smartphone. L’esito finale è una qualche forma di colonizzazione capace di eliminare qualsiasi forma di resistenza.

Il tema della discussione non è l’introduzione o meno del tablet in classe. E’ inutile opporvisi, perché la tecnologia ha già vinto e sta imprimendo una velocità di trasformazione mai sperimentata prima nella storia dell’umanità. Il tema è come fare a darle un senso e una direzione e come superare il senso di impotenza che deriva dallo sperimentare, da un lato la potenza della tecnologia, e dall’altro la complessità dell’esistenza e della nostra cultura. Una cultura che è all’origine di molte delle nostre difficoltà attuali nel comprendere i fenomeni nei quali siamo immersi e trascinati inconsapevolmente (come esempio l’uso che di Facebook fanno molti insegnanti).

Tecnofili e tecnofobi a confronto

Coloro che non condividono questo tipo di riflessioni o preoccupazioni e tacciano coloro che le esprimono di tecnofobia, dovrebbero leggere il libro ‘Il cervello aumentato – L’uomo diminuito’ pubblicato di recente di Miguel Beanasayag, un filosofo e psicanalista argentino che cerca di comprendere le ricadute antropologiche della rivoluzione tecnologica offrendo al tempo stesso alcuni utili strumenti cognitivi utili alla ricerca di alternative umanistiche al potere pervasivo e tecnocratico della tecnologia che mira alla colonizzazione della vita e della cultura.

In attesa di partecipare a una delle molteplici iniziative di formazione in cantiere per digitalizzare e tecnologizzare la scuola italiana, potrebbe essere utile la lettura del libro o semplicemente riflettere su alcuni degli spunti trattati.

Spunti che potrebbero essere portati in aula e dare luogo a discussioni e riflessioni più approfondite perché fuori dal conformismo e dalla superficialità dilaganti.

Meritano una riflessione altra e aggiuntiva le tematiche seguenti: 

  • Il cervello non è una macchina paragonabile a quella del computer. Non lo è perché non è ipotizzabile l’esistenza e il funzionamento del cervello al di fuori del corpo umano. L’essere umano pensa con il corpo e sempre in contesti situati e definiti. Non essendo una macchina è inutile ridurlo alle sue componenti elementari e tanto meno assimilarle a quelle di un computer (memoria-hard disk, intelligenza-CPU, ecc.). Il fatto che il cervello sia diverso dalla macchina sta nella sua capacità rigeneratrice e compensatrice a fronte di menomazioni o lesioni cerebrali. Può farlo per la sua continua relazione con il mondo esterno e quello interiore.
  • Il ruolo principale del cervello consiste nell’immaginare cosa sia il mondo. Probabilmente non permette di conoscere esattamente il mondo così come è ma quanto basta per dare una conoscibilità e un senso alle cose. Immaginare e conoscere sono un’attività continua che non genera semplici feedback, come quelli generati dalle interfacce delle macchine, ma produce significati e interiorità di cui una macchina non sarà (?) mai capace.
  • La tecnologia attuale ha perso la sua neutralità. Gode di una velocità, di una forza e di una potenza tali da poter aspirare a comportarsi come una specie vivente. Meglio comprendere per tempo le trasformazioni che induce, che cosa stia cambiando e cosa è già cambiato.
  • L’ibridazione con la tecnologia è una realtà. Non serve rimpiangere il passato, non servono le barricate. Il  primo è testimone di grandi rivoluzioni che hanno agito in profondità perché hanno agito in modo impercettibile ma su tempi lunghi. Le seconde sarebbero esse stesse tecnologiche e non servirebbero a nulla. Ciò che serve è cercare di comprendere i significati della rivoluzione tecnologica senza farsi irretire da ciò che “semplicemente funziona” perché risultato di processi e macchine tecnologiche.
  • Sostituire attività umane con strumenti tecnologici non è senza conseguenze. Ad esempio l’introduzione di smartphone e tablet a scuola limita la scrittura manuale. Scrivere a mano mette in movimento reti neuronali, modifica neuroni e sinapsi e impegna il cervello in una pratica esperienziale capace di portare all’apprendimento da cui nascono capacità e comportamenti. Il bambino che compie tutte le operazioni aritmetiche con l’ausilio di un computer non disporrà in futuro dei neuroni, delle connessioni e dei processi utili a eseguirle. Il bambino che questi calcoli li ha fatti, potrà poi passare tranquillamente al calcolo con il computer. Dimenticherà come calcolare la radice quadrata ma se volesse riprovarci ritroverebbe le risorse, le strutture e i meccanismi mentali per farli. Se si usa solo uno strumento tecnologico il rischio è di imparare ad agire come la macchina con sequenze di 0 e 1, acceso e spento, ecc.

  • Bisogna prestare molta attenzione al ruolo degli schermi tecnologici e al loro effetto imbuto che fa sparire tutto ciò che gli sta intorno (vedi il mio ebook E guardo il mondo da un display, edito nella collana Technovisions di Delos Digital) e di produrre un effetto ipnotico che polarizza l’attenzione. Il potere dello schermo tecnologico sta nella sua capacità di venirci a cercare. Questo spiega come mai in metropolitana nove persone su dieci siano sempre impegnate con lo schermo del loro dispositivo. Non possono più farne a meno, lo smartphone chiama, il cervello risponde!
  • Altrettanta attenzione va rivolta alla trasformazione dei nostri profili umani in profili digitali. E’ una trasformazione vissuta con leggerezza e superficialità da parte dei nativi digitali, in modo contraddittorio e sorprendente da parte degli immigrati digitali. Il profilo digitale è una figura composta di dati che, per la sua artificialità e composizione digitale,  non è capace di sentire. E’ un semplice oggetto numerico, composto da dati quantitativi, uno strumento utile per catturare stili di vita, comportamenti e approcci all’acquisto di beni di consumo. Il profilo umano è ricco perché pieno di problematicità e potenziali errori, quello digitale è un prodotto marketing. Il primo nasce come produzione di una relazione con il mondo, il secondo come risultato di calcoli algoritmici e predittivi. Il primo ha un corpo e una sua fisicità, il secondo è piatto, trasparente e in fondo anche molto prevedibile. Il primo è legato a identità mutevoli nel tempo, il secondo mummificato nel suo essere il risultato di dati inseriti in un form digitale.
  • La pedagogia attuale si è trasformata sempre più in pedagogia delle competenze facendo dimenticare una verità condivisa da molti insegnanti per anni, quella fondata sul bambino come obiettivo della scuola in termini di trasmissione di conoscenze e sviluppo. Oggi prevale un'altra verità tutta focalizzata sull'apprendimento di competenze utili, al mercato, al mondo del lavoro e all'economia. Invece di porre ad ogni bambino, nella sua singolarità, un invito al sapere e alla vita, si tende oggi a considerarlo una tabula rasa sulla quale eseguire un programma finalizzato all'apprendimento di competenze, alla loro cancellazione quando non servono più e all'appredimento di nuove. Meglio sarebbe al contrario puntare sulla capacità del bambino a sviluppare una propria struttura cerebrale con la quale essere in grado di apprendere molte altre cose, diversificando e cambiando i centri della propria attenzione e sviluppando propie inclinazioni e tendenze. Senza una struttura cerebrale molti bambini manifestano forme di disagio che li rende più deboli, soprattutto se le competenze acquisite non sono neppure servite a uscire fuori dalla precarietà lavorativa a cui in molti sono oggi destinati dalla crisi e dai modelli economici eistenti.

Alcune semplici conclusioni

Il tablet e le soluzioni tecnologiche possono offrire numerose esperienze aumentate e come tali essere strumenti potenti anche per l'insegnamento e per l'apprendimento. A patto però che si rifuggano sia le posizioni e i punti di vista tecnofobi sia quelle acritiche e superficiali di molti tecnofili. Tutti devono riflettere sulla diversità tra organismo umano e artefatto tecnologico rifuggendo la fascinazione infantile tipica di chi si affida ciecamente alla tecnologia come componente inevitabile di un'altra fase dell'evoluzione umana.

Adottare un tablet va bene, rinviare la decisione per un pò di tempo potrebbe servire per una riflessione destinata ormai necessaria e urgente. La riflessione deve focalizzarsi sulle varie ibridazioni tecnologiche in corso e sui loro effetti su esseri umani ancora in formazione come i giovani adolescenti e i ragazzi che frequentano le scuole di vario grado. Il rischio è di contribuire a implementare le realtà aumentate della tecnologia e a sfornare dalla scuola persone diminuite nel loro potenziale culturale, affettivo e umano.

Carlo Mazzucchelli

 


* Gli spunti di questo articolo sono venuti dalla lettura del libro ‘Il cervello aumentato – L’uomo diminuito’, pubblicato di recente da Erickson, del filosofo e psicanalista   Miguel Benasayag

* Alcuni dei temi trattati nel libro di Nenasayag sono stati oggetto anche del mio e-book E guardo il mondo da un display

* Per chi volesse approfondire gli argomenti trattati in questo articolo suggeriamo di prendere visione della BIBLIOTECA TECNOLOGICA di SoloTablet

 

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