"Diogene […] obiettò una volta che gli si facevano le lodi di un filosofo: “Che cosa mai ha da mostrare di grande, se da tanto tempo pratica la filosofia e non ha ancora turbato nessuno?” Proprio così bisognerebbe scrivere sulla tomba della filosofia della università: “Non ha mai turbato nessuno” (F. Nietzsche, Considerazioni inattuali III.)."
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Tutti sembrano concordare sul fatto che viviamo tempi interessanti, complessi e ricchi di cambiamenti. Molti associano il cambiamento alla tecnologia. Pochi riflettono su quanto in profondità la tecnologia stia trasformando il mondo, la realtà oggettiva e fattuale delle persone, nelle loro vesti di consumatori, cittadini ed elettori.
Sulla velocità di fuga e volontà di potenza della tecnologia e sulla sua continua evoluzione, negli ultimi anni sono stati scritti numerosi libri che propongono nuovi strumenti concettuali e cognitivi per conoscere meglio la tecnologia e/o suggeriscono una riflessione critica utile per un utilizzo diverso e più consapevole della tecnologia e per comprenderne meglio i suoi effetti sull'evoluzione futura del genere umano.
In questo articolo proponiamo l’intervista che Carlo Mazzucchelli ha condotto con Massimo Angelini, Direttore editoriale di Pentàgora
Buongiorno, può raccontarci qualcosa di lei, della sua attività attuale, del suo interesse per le nuove tecnologie e per una riflessione sull'era tecnologica e dell'informazione che viviamo?
Buongiorno.
Dopo avere concluso l’apprendistato universitario e un percorso dottorale, per trent’anni mi sono occupato dei temi che più mi stavano e stanno a cuore: la nonviolenza, la storia delle mentalità, la cultura e la storia rurale, la riflessione per un’ecologia della parola.
Dai primi dello scorso decennio, curo la casa editrice Pentagora.
Secondo il filosofo pop del momento, Slavoj Žižek, viviamo tempi alla fine dei tempi. Quella del filosofo sloveno è una riflessione sulla società e sull'economia del terzo millennio ma può essere estesa anche alla tecnologia e alla sua volontà di potenza (il technium di Kevin Kelly nel suo libro Cosa vuole la tecnologia) che stanno trasformando il mondo, l'uomo, la percezione della realtà e l'evoluzione futura del genere umano. La trasformazione in atto obbliga tutti a riflettere sul fenomeno della pervasività e dell'uso diffuso di strumenti tecnologici ma anche sugli effetti della tecnologia. Qual è la sua visione attuale dell'era tecnologica che viviamo e che tipo di riflessione dovrebbe essere fatta, da parte dei filosofi e degli scienziati ma anche delle singole persone?
Penso che siamo sempre più immersi in un tempo orientato allo smarrimento della relazione con la vita che ci circonda, con quella che ci ha preceduto e appena si intravede, con le altre persone e, infine, con noi stessi. Quattro movimenti di separazione che, attraverso alcune metafore cliniche, potrebbero aiutarci a parlare di questa epoca come un’età segnata dall’autismo e dall’Alzheimer, cioè di perdita, progressiva e pandemica, del contesto e della memoria.
Senza ricorrere a teorie millenaristiche e a simili sensazionalismi, oggi viviamo dentro un passaggio dalla persona (soggetto di relazioni) all’individuo (oggetto di rapporti), dall’abbraccio alla solitudine, dal noi a un io sempre più isolato e sempre più rarefatto del quale possiamo forse trovare le radici già nei primi secoli dello scorso millennio.
Miliardi di persone sono oggi dotate di smartphone usati come protesi tecnologiche, di display magnetici capaci di restringere la visuale dell'occhio umano rendendola falsamente aumentata, di applicazioni in grado di regalare esperienze virtuali e parallele di tipo digitale. In questa realtà ciò che manca è una riflessione su quanto la tecnologia stia cambiando la vita delle persone (High Tech High Touch di Naisbitt) ma soprattutto su quali siano gli effetti e quali possano esserne le conseguenze. Il primo effetto è che stanno cambiando i concetti stessi con cui analizziamo e cerchiamo di comprendere la realtà. La tecnologia non è più neutrale, sta riscrivendo il mondo intero e il cervello stesso delle persone. Lo sta facendo attraverso il potere dei produttori tecnologici e la tacita complicità degli utenti/consumatori. Come stanno cambiando secondo lei i concetti che usiamo per interagire e comprendere la realtà tecnologica? Ritiene anche lei che la tecnologia non sia più neutrale?
La tecnologia non è neutrale, non lo è mai, come non lo è il linguaggio.
Come le parole nella forma della propria origine contengono la radice del proprio senso (anche se nel tempo si diluisce, si perverte o si smarrisce), così ogni strumento della tecnologia contiene nella ragione della propria costituzione il significato del suo uso e la matrice delle conseguenze che dal suo uso (corretto, sublimato o pervertito) potranno derivare. Una pistola è una pistola e serve per ferire (che sia per difesa o offesa, non cambia la sua natura), anche se ci ripromettiamo di usarla per battere i chiodi.
Le machine al lavoro, gli umani senza lavoro felici e contenti!
Temo che, come il lavoro e il denaro (e tanto altro ancora), le attuali tecnologie info e telematiche non servano alle persone più di quanto le persone non servano loro e chi sa controllarle. In altre parole, i fini sono già immersi nei mezzi che li perseguono, dei mezzi non sono una variabile indipendente, e se i fini che più di altri meritano di essere perseguiti - e qui ciascuno dica ciò che crede, io ciò che nel profondo penso - sono l’integrità (salute: dal gr. holos, intero) e la gioia (non la felicità, la gioia: dal sanscr. yuj, unione), allora quei mezzi che nella ragione intima della propria costituzione non recano salute e gioia non sono interessanti.
Secondo il filosofo francese Alain Badiou ciò che interessa il filosofo non è tanto quel che è (chi siamo!) ma quel che viene. Con lo sguardo rivolto alla tecnologia e alla sua evoluzione, quali sono secondo lei i possibili scenari futuri che stanno emergendo e quale immagine del mondo futuro che verrà ci stanno anticipando?
Un mondo di progressivo isolamento, di persone sempre più ridotte a individui, dotate non di un nome e di un volto, ma di codici fiscali, dati biometrici, codici iban, pin e password: un mondo simile a un arcipelago di solitudini.
Secondo alcuni, tecnofobi, tecno-pessimisti e tecno-luddisti, il futuro della tecnologia sarà distopico, dominato dalle macchine, dalla singolarità di Kurzweil (la via di fuga della tecnologia) e da un Matrix nel quale saranno introvabili persino le pillole rosse che hanno permesso a Neo di prendere coscienza della realtà artificiale nella quale era imprigionato. Per altri, tecnofili, tecno-entusiasti e tecno-maniaci, il futuro sarà ricco di opportunità e nuove utopie/etopie. A quali di queste categorie pensa di appartenere e qual è la sua visione del futuro tecnologico che ci aspetta? E se la posizione da assumere fosse semplicemente quelle tecno-critica o tecno-cinica? E se a contare davvero fosse solo una maggiore consapevolezza diffusa nell'utilizzo della tecnologia?
Dialogando in pubblico, a volte per illustrare la mia visione di questo tempo racconto i primi decenni del VI secolo: Odoacre non era alle porte, aveva già regnato, e anche Teodorico. In quel tempo e negli anni successivi, una risposta (efficace) a un inclinazione di progressiva e radicale barbarizzazione fu proposta dal Vivarium, da Montecassino, da Bobbio…
Ecco: quello che oggi mi aspetto e che qua e là sorgano cenobi laici per il terzo millennio dove l’innovazione tecnologica sia accolta con cautela, rispetto dei tempi, attenzione critica, e dove intanto si mantengano i saperi (non le conoscenze, i saperi) legati al buon uso delle mani e dei sensi; e si tengano vive le unità di misura umane, che non sono né i nanosecondi né i terabyte, ma il battito del cuore per il tempo, il passo della gamba per la distanza, il movimento della mano per la velocità, il racconto per la memoria personale e comunitaria.
Mentre l'attenzione dei media e dei consumatori è tutta mirata alle meraviglie tecnologiche di prodotti tecnologici diventati protesi operative e cognitive per la nostra interazione con molteplici realtà parallele nelle quali viviamo, sfugge ai più la pervasività della tecnologia, nelle sue componenti nascoste e invisibili. Poca attenzione è dedicata all'uso di soluzioni di Cloud Computing e ancora meno di Big Data nei quali vengono archiviati miliardi di dati personali. In particolare sfugge quasi a tutti che il software sta dominando il mondo e determinando una rivoluzione paragonabile a quella dell'alfabeto, della scrittura, della stampa e di Internet. Questa rivoluzione è sotterranea, continua, invisibile, intelligente, Fatta di componenti software miniaturizzati, agili e leggeri capaci di apprendere, di interagire, di integrarsi e di adattarsi come se fossero neuroni in cerca di nuove sinapsi. Questa rivoluzione sta cambiando le vite di tutti ma anche la loro percezione della realtà, la loro mente e il loro inconscio. Modificati come siamo dalla tecnologia, non ci rendiamo conto di avere indossato delle lenti con cui interpretiamo il mondo e interagiamo con esso. Lei cosa ne pensa?
A dispetto di tanta agilità e miniaturizzazione, da un punto di vista affettivo e relazionale (ed etico) ci collochiamo poco oltre il neolitico. La brutalità che pervade i nostri rapporti e intesse le asimmetrie tra le persone, le comunità, i generi, non è in alcun modo in adeguata relazione con l’avanzamento tecnologico. Potrei non avere nulla contro l’energia atomica, ma lo stato di evoluzione della coscienza umana non se la può permettere senza rischiare di provocare tragedie.
È necessaria una moratoria, una sospensione dall’attuale ubriacatura tecnologica, non per affermare che non è importante e che non sarà benvenuta, ma per permettere alla nostra evoluzione collettiva di essere all’altezza di disporre responsabilmente di un maggior potere sulla vita e su di noi. Da troppo tempo si mettono armi micidiali in mano a persone non sufficientemente responsabili se non deliranti, si affidano strumenti di grande potere sugli altri a chi non controlla neppure le più elementari pulsioni distruttive, si privilegia la conoscenza fondata su un’intelligenza insipiente purché efficace.
Se il software è al comando, chi lo produce e gestisce lo è ancora di più. Questo software, nella forma di applicazioni, è oggi sempre più nelle mani di quelli che Eugeny Morozov chiama i Signori del silicio (la banda dei quattro: Google, Fcebook, Amazon e Apple). E' un controllo che pone il problema della privacy e della riservatezza dei dati ma anche quello della complicità conformistica e acritica degli utenti/consumatori nel soddisfare la bulimia del software e di chi lo gestisce. Grazie ai suoi algoritmi e pervasività, il software, ma anche la tecnologia in generale, pone numerosi problemi, tutti interessanti per una riflessione filosofica ma anche politica e umanistica, quali la libertà individuale (non solo di scelta), la democrazia, l'identità, ecc. (si potrebbe citare a questo proposito La Boétie e il suo testo Il Discorso sulla servitù volontaria). Lei cosa ne pensa?
Libertà, democrazia, aggiungo diritti, sono parole delle quali da tempo sono stati smarriti i confini. Parole da usare con abbondanza demagogica senza dovercene prendere responsabilità. Si parla senza attenzione. Prendiamo, per esempio, democrazia: perché la parola abbia un senso pieno occorre che sia fondata sull’esistenza e l’autoriconoscimento di un popolo, cioè di una collettività unita su matrici comuni e valori condivisi: la realtà in cui siamo immersi non racconta nulla di tutto questo; ciò che demagogicamente usiamo vestire con la parola democrazia è, nei fatti, oclocrazia e plutocrazia: architetture di potere basate non sulla partecipazione e la responsabilità comune, ma sul consenso, il controllo sociale e la docilità: tre coordinate in rapporto alle quali la calotta infotelematica che avviluppa il nostro pianeta e colonizza le nostre menti ancora una volta non è affatto neutra.
Una delle studiose più attente al fenomeno della tecnologia è Sherry Turkle. Nei suoi libri Insieme ma soli e nell'ultimo La conversazione necessaria, la Turkle ha analizzato il fenomeno dei social network arrivando alla conclusione che, avendo sacrificato la conversazione umana alle tecnologie digitali, il dialogo stia perdendo la sua forza e si stia perdendo la capacità di sopportare solitudine e inquietudini ma anche di concentrarsi, riflettere e operare per il proprio benessere psichico e cognitivo. Lei come guarda al fenomeno dei social network e alle pratiche, anche compulsive, che in essi si manifestano? Cosa stiamo perdendo guadagnando da una interazione umana e con la realtà sempre più mediata da dispositivi tecnologici?
Torno a segnalare la distinzione profonda tra persona e individuo, parole ingenuamente usate come intercambiabili, quasi sinonimi, ma che sbucciate con attenzione rivelano due prospettive profondamente diverse (non differenti, proprio diverse, secondo il significato espresso dal verbo divergere, del quale diverso è participio). Individuo è non divisibile, a-tomo, unità autonoma, bastante a sé stessa, isola, per eccesso hikikomori; persona, pur provenendo da un lemma etrusco, in latino acquista significato come calco del greco prosopon, pros+opsis, colei o colui che sta di fronte allo sguardo e perciò costituita persona proprio dallo sguardo di chi le sta di fronte.
Per questo alla persona si addice la relazione, dimensione orizzontale di reciprocità, mentre gli individui sono legati da rapporti, espressioni di carattere quantitativo, gerarchico, spesso unidirezionale. I canali sociali contribuiscono ad escludere lo scambio basato sul contatto, la compresenza e lo sguardo diretto, non mediato, dunque contribuiscono a erodere quanto della persona resta in noi.
In un libro di Finn Brunton e Helen Nissenbaum, Offuscamento. Manuale di difesa della privacy e della protesta, si descrivono le tecniche che potrebbero essere usate per ingannare, offuscare e rendere inoffensivi gli algoritmi di cui è disseminata la nostra vita online. Il libro propone alcuni semplici comportamenti che potrebbero permettere di difendere i propri spazi di libertà dall'invadenza della tecnologia. Secondo lei è possibile difendersi e come si potrebbe farlo?
Alla fine degli anni ’70, di fronte a una stretta autoritaria giustificata dall’espansione del terrorismo politico (ricordo, a mo’ di esempi, il Decreto Cossiga e la Legge Reale), immaginavo che quando le espressioni del dissenso sono manipolate, al limite criminalizzate o, peggio, integrate e così neutralizzate, non resti che togliere consenso. La sottrazione del consenso – più che l’espressione del dissenso – credo sia ancora oggi una forma efficace di difesa civile, di resistenza. L’uso accelerato – a tratti compulsivo e quasi senza pausa – degli strumenti di calcolo, comunicazione e controllo a distanza, la connessione continua, la tracciabilità totale dei segmenti della nostra esistenza si associano a una vita per la quale le immagini più calzanti sono la ruota del criceto e il tapis-roulant. Togliere consenso è scendere dalla ruota, uscire dalla connessione continua, rinunciare alla reperibilità ininterrotta. Ogni tanto spegnere lo smartphone.
Vuole aggiungere altro per i lettori di SoloTablet, ad esempio qualche suggerimento di lettura? Vuole suggerire dei temi che potrebbero essere approfonditi in attività future? Cosa suggerisce per condividere e far conoscere l'iniziativa nella quale anche lei è stato/a coinvolto/a?
Solo tre titoli: Mario Enrico Cerrigone, La verità non si dice, un saggio illuminante sulla natura intimamente contraddittoria della verità sulla scia della lettura di Pavel Florenskij e della visione di Matrix; Ivan Illich, Il pervertimento del cristianesimo, sul passaggio epocale da tempo iniziato con l’incarnazione a un tempo fondato sulla progressiva escarnazione, sulla virtualità; James Hillmann, La politica della bellezza, sull’abbrutimento generato dalle geometrie architettoniche, urbanistiche (e non solo) del nostro tempo.
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Lo trovo stimolante. Desidero conoscerlo meglio, pesarlo, farlo decantare.